Interviste al Cardinale Ravasi e Enzo Bianchi
A cura di Fabio Colagrande

assisi1Si è chiusa sabato sera 6 ottobre ad Assisi una nuova tappa del “Cortile dei Gentili” dedicata al tema “Dio questo sconosciuto”. Per due intense giornate la struttura vaticana del dicastero della Cultura, dedicata al dialogo con i non credenti, ha radunato nella città di San Francesco 40 relatori per nove incontri su temi spirituali, culturali, ma anche sociali ed economici. A conclusione di questa nuova tappa del “Cortile dei gentili”, l’inviato di Radio Vaticana ad Assisi, Fabio Colagrande, ha chiesto di esprimere un’impressione e un bilancio al primo promotore di questa iniziativa, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura:

R. – Da un lato, il discorso ha mantenuto il livello alto della comunicazione, il livello alto dei contenuti, il livello del quadro generale, della progettazione nella dimensione anche etica e politica nella terminologia più alta, nella dimensione anche religiosa più significativa. Dall’altra parte, però, c’è stata questa concretezza che è diventata soprattutto partecipazione, adesione, anelito quasi dell’assemblea che mai – in nessun’altra circostanza – ha vissuto questi temi con una sintonia, una simbiosi con chi parlava, con la convinzione che questi temi fossero nel profondo della propria esperienza. E’ per questo che il risultato è veramente straordinario.

D. – Un tema ricorrente è stato quello delle nuove generazione e dei giovani, ai quali si guarda spesso con preoccupazione. Questo dialogo, basato su un umanesimo integrale, deve guardare soprattutto a loro?

R. – Io ho posto il problema anche della “morte progressiva” del concetto di futuro, proprio perché l’orizzonte sembra essere così colmo di macerie o di delusioni. In realtà, noi abbiamo i giovani che, è vero, hanno chiuso occhi e orecchie rispetto al mondo in cui siamo inseriti, proprio perché non trovano degli orizzonti aperti. Tuttavia, io ho trovato – e ne ho fatto un’esperienza proprio incontrandoli in uno dei Cortili più affollati dedicati a loro – una sorta quasi di apertura e di attesa. Per cui, noi generazioni precedenti e soprattutto il mondo della Chiesa e anche il mondo della cultura laica non dobbiamo questa volta cercare di deluderli e soprattutto non dobbiamo cercare di pensare che questa generazione giovanile sia una generazione, in pratica ormai scontatamente, non dico perduta, ma sicuramente da archiviare.

D. – Infine, che nota in più ha aggiunto al Cortile dei Gentili il teatro della città di Francesco?

R. – Guardando nella vallata, idealmente possiamo dire che avevamo lo stesso sguardo di Francesco che vedeva questo mondo, queste campagne,queste presenze anche della natura. Dall’altra parte, però, direi anche l’arte che è in Assisi e che fa sì che anche coloro che arrivano con delle domande – penso ai giornalisti – che sono immediate, scontate e qualche volta – diciamolo – anche banali, qui idealmente stanno ad ascoltare anche qualcosa di più alto e tendono a registrare, invece, come ha voluto fare anche il presidente della Repubblica, il respiro che è il respiro della vera spiritualità e della vera laicità. A sottolineare l’ampio orizzonte di dialogo che le varie tappe del “Cortile dei Gentili”, compresa quella appena conclusa di Assisi, hanno saputo finora sviluppare con credenti e non credenti è uno dei protagonisti dell’incontro umbro, il priore della Comunità ecumenica di Bose, Enzo Bianchi, al quale Fabio Colagrande ha chiesto di spiegare il senso profondo di questa manifestazione.

R. – Significa proprio quello che il Concilio voleva e che Paolo VI ha sintetizzato nell’Ecclesiam Suam: la Chiesa si fa dialogo. Qui, abbiamo un’esperienza della Chiesa che si fa dialogo con tutti, con tutte le componenti di altre religioni, ma anche con quelli che non professano alcuna religione. E’ decisivo per il futuro dell’umanità che ci sia questa complicità tra credenti e non credenti nel cercare ciò che fa diventare l’uomo più uomo e, in questo senso, realizza anche la volontà e il piano di Dio sull’uomo.

D. – Si è parlato di contemplazione e di meditazione: la Chiesa deve aver paura di altri metodi che arrivano da altre tradizioni o da altre religioni?

assisi2R. – No, io credo che la pluralità dei metodi rappresenta tutte vie umane che possono servire anche alla meditazione e alla contemplazione cristiane. I cristiani devono solo ricordare che ciò che li salva non è un metodo, non è la meditazione, non è la contemplazione, ma ciò che li salva è ancora Gesù Cristo e soltanto Lui. Quindi, non scambieranno gli strumenti con ciò che è il fondamento.

D. – Lei ha detto, però, che a volte c’è timidezza nel ricordare questo…

R. – Sì, c’è timidezza, c’è paura oggi. Certamente, manca una certa speranza e una certa fiducia negli uomini e nei loro cammini. Noi siamo un po’ come paralizzati davanti a una certa audacia del dialogo. Ma il Concilio deve essere una forza che ci spinge e ci rende audaci, facendo cessare le nostre paure.

D. – Sta per cominciare il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, al quale lei partecipa: quali le sue speranza, i suoi auspici?

R. – Io partecipo al Sinodo chiamato da Benedetto XVI come esperto e ho una buona speranza. Mi sembra che il cammino fatto fin qui indichi davvero una prospettiva fedele al Vaticano II su cosa sia la nuova evangelizzazione: una vera proposta di buona notizia, nessuna imposizione.

Da Radio Vaticana 6/10/2012