Comunicazione indiretta e fraternità | ilcantico.fratejacopa.net

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Porsi alla scuola di S. Francesco non significa assumere un atteggiamento di ossequienza inerte. Egli non voleva che gli altri compissero i suoi stessi atti. In fin di vita come testamento disse ai suoi frati: “Io ho fatto il mio dovere; quanto spetta a voi, ve lo insegni Cristo!” (FF 804). Una persona non può sviluppare se stessa se non si stacca dal maestro. S. Francesco non ha voluto livellare gli uomini, ma risvegliare in essi il senso della propria personalità. Ciò non significa favorire forme di individualismo, ma costruire la fraternità quale luogo che rende possibile la crescita delle singole persone.

Per creare una fraternità occorre il metodo della comunicazione indiretta, anziché della comunicazione diretta. Quest’ultima è affermativa, impositiva, senza zone di incertezza: “Tu devi fare così!”. La comunicazione indiretta, invece, non dilaga, ma fa sì che la persona cresca e si interroghi. La comunicazione indiretta è un porgere, un testimoniare che non avvince una persona, che non pretende di trasmetterle i propri schemi. La persona è tale nella misura in cui comunica. E può comunicare in modo autentico solo nella forma indiretta che consente ai singoli, uguali tra loro per dignità, di crescere sviluppando i loro diversi carismi e le loro peculiarità.

La comunicazione indiretta è una forza che aiuta l’altro a essere se stesso nella sua unicità irripetibile e insostituibile. Più io comunico in modo indiretto, più l’altro diventa diverso da me e sempre più se stesso. L’importante è mantenere e promuovere la diversità dell’altro e non credere di arrivare a perfezione quando si ha una massificazione. Perché ci sia il dialogo occorre la diversità degli orizzonti tra gli interlocutori. Nel dialogo si passa dallo scontro iniziale a un incontro, dalle divergenze alle convergenze. Tuttavia le divergenze non potranno mai essere del tutto cancellate. Questo significa che il dialogo continuerà fino a quando ci saranno le diversità di orizzonti.

La diversità è, dunque, una ricchezza, perché apre nuovi spazi al dialogo. Perché ci sia il dialogo occorre che i dialoganti sentano l’espressione di ciascuno come un arricchimento per se stessi. Se, invece, si ritiene la propria espressione come totale e assoluta, si sopprime l’alterità e rimane solo un monologo. La diversità nel dialogo favorisce il superamento del proprio limite nell’accettazione, nel rispetto dell’interlocutore che non deve mai essere dominato, assimilato, annullato. Quando Cristo lancia il suo messaggio non dà ordini, ma propone delle beatitudini, ovvero uno stato che va conquistato personalmente, poiché solo la comunicazione indiretta fa crescere in modo autonomo e creativo.

Lucia Baldo