Azione liturgica ermeneutica del Creato

Don Stefano Culiersi

INTRODUZIONE
La liturgia, insegna il Concilio, è il luogo in cui il Mistero di Cristo e l’identità della Chiesa si svelano. E questa manifestazione avviene non per una mistica rivelazione, ma proprio per l’azione rituale che coinvolge con la vita i fedeli stessi che vi partecipano.
La liturgia […] contribuisce perfettamente a che i fedeli vivendo esprimano e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa (SC 2).

C’è nella liturgia una dimensione fisica, creaturale che permette all’uomo l’esperienza di Dio, così che in analogia con l’Incarnazione, ancora adesso Dio si rende accessibile nell’elemento sensibile. Per la sua incarnazione il Verbo di Dio si è offerto all’esperienza dei discepoli, che hanno potuto così vedere, udire, toccare, contemplare colui che nella Carne si è reso accessibile.
Vorrei condividere alcune considerazioni su questa dimensione fisica della liturgia, che coinvolge il Creato, sul suo valore, sulla sua importanza per poter permettere anche oggi l’esperienza di Dio agli uomini.

1. LA LITURGIA È FATTA DI COSE
image--007Un punto di partenza, non mi chiedo qui se è il migliore oppure no, è quello della dimensione materiale della liturgia. La celebrazione è fatta di cose, al punto che la loro assenza impedisce di celebrare. Senza il pane, il vino, non c’è eucaristia; senza acqua, senza olio non c’è iniziazione cristiana, ecc.
Questo anche solo da un punto di vista minimale, occupandoci della validità del Sacramento.
Ma ad uno sguardo appena più vasto, la celebrazione comporta tanti oggetti materiali: vesti, luci, suoni, libri, edifici, mobili, stoviglie, senza le quali non sarebbe possibile alcuna celebrazione.
Proviamo di entrare dentro questa esperienza sensibile.

1.1 Le cose della celebrazione
Le cose materiali che intervengono nella celebrazione sono numerosissime e contribuiscono a quella dimensione comunicativa della liturgia, per cui durante il rito noi tocchiamo, vediamo, gustiamo, in una parola sentiamo “qualcosa”.
Se la celebrazione può esprimere il Mistero di Salvezza (SC 2) è perché qualcosa di sensibile tocca i nostri sensi, ed anzi, l’esperienza di salvezza è proprio accessibile grazie a questa “sensazione”:
[Nella liturgia], la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi (SC 7).

Il segno sensibile è significativo, e in questa sua significanza realizza la santificazione.
Le cose materiali dunque entrano nella celebrazione e la qualificano, insieme alle preghiere e non con una certa tolleranza, ma proprio nel suo posto d’onore, indispensabile alla esperienza del Mistero di Salvezza.
Nel loro ingresso dentro l’azione rituale, le cose materiali si portano dietro non solo se stesse, ma anche il loro uso umano. Esse si inseriscono per il loro valore antropologico e culturale, perché nella società degli uomini hanno quel significato, senza quindi il bisogno di essere purificate dall’uso umano.
Il pane spezzato è segno di condivisione anche nel nostro pasto comune e proprio per questo anche nella celebrazione diventa capace di dire il mistero salvifico. image--008
L’acqua pulisce, disseta, getta via lo sporco, e proprio per questo diventa importante per il Battesimo: La materia del sacramento si inserisce nell’azione liturgica proprio per il suo carico umano e culturale, che diventa lui stesso materia del sacramento, insieme all’elemento chimico. C’è allora tutto un mondo umano che vive nella Creazione che entra dentro la celebrazione, anzi le dà forma, si offre come base per l’esperienza di Salvezza.
Paolo ci ricorda che “ogni volta che mangiamo il pane e beviamo il vino noi annunciamo la morte del Kyrios(1Cor 11,26). La sicurezza dell’Apostolo ci rassicura che il Mistero della salvezza è così annunciato nel gesto umanissimo e fisico della frazione del pane nel pasto, nella condivisione del calice di vino: non solo nell’elemento, ma anche nel suo uso conviviale di condivisione.

1.2 Sospensione dell’ordinarietà
Se è vero che la Creazione, non solo come “oggetti”, ma anche come “umanità che vive nella Creazione”, entra dentro la celebrazione e le offre la possibilità di esistere, è anche vero che questa non basta.
Il Sacramento non coincide con l’elemento creato e con l’umanità che lo utilizza. Non basta cenare insieme per fare il Sacramento, non ogni cena è cena del Signore per il fatto stesso che noi spezziamo il pane e beviamo un calice di vino. L’elemento della creazione deve incontrare anche la potenza di Dio, la Parola del Signore. Così Agostino ricordava il principio della Sacramentaria: Accedit Verbum ad elementum et fit Sacramentum (In Io 80,3). Nella manualistica tridentina questo è stato coniato come la “forma”, ovvero le parole della formula sacramentale che trasformano l’elemento.
Non basta fare il bagno per essere battezzati, ungersi la parte malata per ricevere l’Unzione dei malati, ecc. C’è un surplus di significato nella simbologia del rito che diventa efficace per far fare esperienza del Mistero di Salvezza.
Se la Creazione entra nella celebrazione, essa però non vi rimane inalterata, immodificata. Le sue dinamiche fisiche e le sue implicanze antropologiche devono essere trasformate dall’uso rituale, arricchendosi di significati ulteriori che servono l’esperienza di salvezza.
Vale la pena di richiamare le considerazioni di Romano Guardini, che 100 anni fa scriveva della liturgia che al pari dell’arte e del gioco, aveva una dimensione ludica che la portava a sfuggire alle logiche economiche di profitto, di resa, di finalità, per esprimersi invece con una libertà straordinaria, nell’ordine delle attività umane piene di senso seppur prive di scopo.
Quando noi giochiamo, l’elemento creaturale e la sua implicanza antropologica salta completamente, non è più sufficiente a spiegarsi. 22 persone che in braghini corti rincorrono una palla di cuoio, stanno giocando a calcio. Non c’è scopo, non c’è finalità, né utilità. Se uno avesse bisogno di un po’ cuoio per fare una riparazione ad un paio di scarpe… perché non potrebbe prendere il pallone? Dopo tutto non serve a niente di costruttivo e di rilevante. Eppure il gioco del calcio è tutt’altro che insensato.
Anche nel rito noi prendiamo elementi della creazione, insieme con il loro carico antropologico, e li mettiamo in opera però senza rispettare più le regole ordinarie della vita. Ci vestiamo sì, ma indossiamo abiti scomodi per fare qualsiasi cosa, dai colori determinati secondo regole che non sono quelle della moda. Apparecchiamo una tavola, è vero, ma per farlo usiamo fino a tre tovaglie, mettiamo candele e fiori, arriviamo in processione cantando… nessuno in casa apparecchia la tavola così!
La liturgia quindi trasforma la Creazione per renderla espressione e manifestazione del Mistero di Salvezza, secondo regole che non permettono più di confondere un pasto qualsiasi con l’Eucaristia, un bagno qualsiasi con il Battesimo.

1.3 Ancora sulla simbologia
Tutto il creato è coinvolto nella celebrazione, e il mondo antico che non conosceva tecnologia ed elementi sintetici, lo percepiva con più evidenza.
I rituali gallicani dicono che la veste del celebrante deve essere di seta bianca perché si vestiva di risurrezione. Non solo il colore della luce è attinente con la risurrezione, ma anche il tessuto, perché il baco da seta, che “risorge” dal suo bozzolo è simbolo della vittoria sulla morte e della trasformazione in nuova creatura.
La lana, che ricorda il gregge, è l’elemento della casula, perché è la pecora smarrita che il Risorto porta dal dirupo verso il gregge al sicuro.
I libri liturgici sono fatti di pelli di animali e le legature di tendini. Il richiamo simbolico è per le vittime dei sacrifici antichi che immolate per annunciare il mistero della salvezza ora sono compiute in Cristo Gesù.
Le candele sono di cera d’api, che per una credenza medievale ricordata dall’Exultet, erano immagine di Cristo per la generazione verginale dall’ape regina.
La pietra dell’altare doveva essere di pietra naturale e doveva toccare il terreno, cosa che, quando non c’era un altare di unica pietra, avveniva attraverso lastre che toccavano la mensa e il terreno. Era necessario celebrare sulla terra.
Le chiese assumevano l’aspetto di boschi di pietra, intagliata, in cui animali di tutti i regni (terrestre, aereo, acquatico) e pure animali fantastici venivano rappresentati, perché tutto il Creato partecipasse alla celebrazione.
Emblematico da questo punto di vista è l’icona, che utilizza elementi tutti naturali, permettendo così agli elementi di annunciare il Mistero di Salvezza perché composti nella immagine evangelica che vogliono svelare.

1.4 Cristo sommo sacerdote
L’azione liturgica ha la capacità di rendere accessibile il Mistero di Cristo, in analogia con l’Incarnazione, perché la Chiesa crede che Cristo non sia affatto assente dal suo popolo, ma che egli sia presente e agisca nelle azioni liturgiche. Lui non smette di prendere in mano il pane e il vino, quando la Chiesa li prende per obbedire al suo comando. È per questo che la Chiesa ha la ferma fiducia che l’elemento rituale permetta l’esperienza religiosa e trascendente di colui che ora vive alla destra del Padre e non è più legato al tempo e allo spazio di questa creazione.
image--009Lui è nel cielo, nella trascendenza ma noi no, e quindi ogni nostra esperienza può essere solo esperienza fisica, umana. È il motivo per cui abbiamo bisogno di “segni sensibili che significhino la salvezza e per questo la realizzino” (Cfr. SC 7).
Il Cristo esercita ancora il suo sacerdozio e la sua mediazione tra il cielo e la terra, in favore di tutti gli uomini, attraverso la celebrazione… attraverso il Creato, che nelle sue mani diventa quello per cui è stato offerto agli uomini.
Nella celebrazione il giardino del paradiso torna ad essere il luogo del passeggio di Dio con l’umanità, luogo dell’incontro consolante e rigenerante, per cui il paradiso è anticipato e la nuova creazione si annuncia nell’esperienza dei credenti.
La Liturgia è fatta dal Cristo, è fatta dalla Chiesa, è fatta dal Creato.

2 LA LITURGIA ERMENEUTICA DEL CREATO
Abbiamo visto che la creazione è parte integrante della celebrazione e quindi dell’esperienza del Mistero di Salvezza offerto all’umanità. Ugualmente da sola la Creazione, sia come elementi, sia come dinamismo antropologico, non basta all’esperienza di Dio e della sua Redenzione.
Vorrei proporre alcune considerazioni sul valore e sul significato della Creazione a partire dall’esperienza liturgica.

2.1 Il valore dell’esperienza sensibile
Il creato è insostituibile. È ancora dall’origine in poi il luogo in cui l’uomo incontra Dio e i fratelli. Come ogni parola di Dio è senza pentimento, anche le parole del creatore sul tutte le sue creature sono inalterabili. A noi che non siamo angeli, è offerta la via della carne per fare esperienza, anche per fare esperienza di Dio. È per questo che il Figlio si è manifestato in una carne come la nostra, perché noi potessimo incontrarlo. Ancora adesso ciò che si offre ai nostri sensi ha la possibilità di veicolare l’esperienza di Dio, nella misura in cui ci riporta alla parola originaria e non alla ribellione di Adamo.
Come nella liturgia gli elementi della creazione ci fanno fare esperienza della Salvezza perché sono usati da Cristo, secondo la sua volontà (benedire il Padre, rendere a lui onore e gloria) così anche per ogni altro elemento. Quando è usato dal Cristo, perché noi siamo uniti a lui, secondo la volontà del Padre, allora quell’elemento mi fa fare l’esperienza di Dio. Questo come prolungamento della celebrazione, e in dipendenza da essa.

Cristo è colui per mezzo del quale e in vista del quale tutte le cose sono state create. Egli è ancora Signore della Creazione, nonostante la ribellione del peccato, perché unita a sé la Chiesa, continua ad esercitare la sua regalità nell’esercizio del sacerdozio regale di tutti i fedeli, che in nome di lui, con la sua autorità e la forza del suo Spirito, prendono la Creazione e ne esercitano responsabilmente il dominio di Cristo.

2.2 La sconfitta dell’idolatria
L’esperienza di fede della liturgia è quella di colui che crede oltre il segno, e nel segno tocca l’immateriale. La sospensione dell’ordinarietà che coinvolge gli elementi fisici del rito è temporanea. La celebrazione finisce e ritornano le logiche umane del Creato: fame, freddo, socialità, generazione, quelle che ci portano ad ottimizzare gli sforzi in vista di uno scopo ben preciso. L’esperienza di Dio, nel tempo, è solo temporanea. Quando la si tradisce nella sua provvisorietà e la si rende definitiva, si crea l’idolatria e il fanatismo violento.
La costruzione di un’immagine idolatrica risponde alla necessità di fissare alla disponibilità degli uomini e alla sua esigenza la presenza di Dio, che riconosciuta e identificata con l’immagine, è prigioniera e a servizio degli uomini.
Anche la liturgia corre questo rischio se non la si salvaguarda nella sua dimensione “straordinaria” e quindi anche la sua dimensione fisica non si coglie per la sua insufficienza.
Noi rischiamo di trattare gli elementi del mondo come idolatrici, e attenderci da essi un bene salvifico. Crediamo che quell’oggetto, quella cosa materiale abbia qualche potere su di noi e da essa dipenda la nostra realizzazione o il nostro fallimento.
Il Creato perde il suo valore assoluto e totalizzante per assumere una condizione temporanea e servile. Chi è il servo e chi è il padrone? L’elemento è a servizio e il Signore è da servire. Non viceversa, non è l’elemento da servire, la creatura, qualunque creatura.
Nell’esercizio della celebrazione la Chiesa incontra il Salvatore e per questo si serve di elementi. Alcuni per molto tempo (icone, edifici) altri per qualche istante (il pane, il vino)… ma tutti in transito perché degno di ogni onore e gloria è solo il Signore onnipotente.

2.3 La tensione escatologica
Dio sarà tutto in tutti. Con queste parole lapidarie ed enigmatiche, l’Apostolo ci descrive la fine di ogni cosa, come una partecipazione di tutti gli uomini alla vita di Dio. Altrove ci viene annunciato che anche le Creature sono coinvolte in questa trasfigurazione, e per quanto gemano e soffrano nell’attesa che i figli di Dio si rivelino nella loro partecipazione alla vita del Padre, sono attese da un rinnovamento, da una rigenerazione che li presenterà come nuovi: nuovo cielo, nuova terra.
Questa tensione futura, che la liturgia anticipa sempre, permette di profetizzare per questo mondo e per tutte le sue creature, una fine gloriosa. Questo libera dall’ansia di vedere il tempo e lo spazio presenti come il luogo in cui il regno deve compiersi. Non è qui. Non è qui il risorto e non è qui neanche il suo regno.
Il risorto è alla destra del padre e il tempo e il luogo del suo regno non spetta a noi conoscerli, ma sono appannaggio del Padre. image--010
Il nostro tempo è il tempo dell’annuncio e della fede nel regno che verrà. Per questo, nella fede, nell’esperienza sacramentale noi possiamo fare esperienza del regno e del risorto, dell’assente, dell’atteso, che riempie di sé il cuore dei credenti.
Dove abbiamo smarrito la tensione escatologica della fede, abbiamo fatto delle lotte terrene delle vere e proprie “Armagheddon”, con l’intima convinzione che debba cominciare una dimensione storica del Regno di Dio.
Anche il Creato ha un suo compimento che è fuori di questo tempo. La sua bellezza è destinata a sfiorire e a cessare, perché è una nuova terra che noi aspettiamo, al pari dell’esperienza umana che come per il corpo glorioso e spirituale del Cristo, dopo essere stato seminato corruttibile e debole, rinasce incorruttibile e vittorioso.
L’ordine della vita della Chiesa che non è statico ma in cammino verso il cielo, dice anche la qualità del nostro impegno sulla terra e del suo obiettivo. Anche nella salvaguardia del Creato, noi siamo impegnati ad annunciare il Regno di Dio. Per alleviare le creature, è necessario essere sempre più Figli di Dio, perché questo è quello che aspetta il Creato: la nostra rivelazione.

Padre misericordioso,
concedi a noi,·tuoi figli, di ottenere
con la beata Maria Vergine e Madre di Dio, con gli
apostoli e i santi, l’eredità eterna del tuo regno,
dove con tutte le creature,
liberate dalla corruzione del peccato e della
morte, canteremo la tua gloria,
in Cristo nostro Signore,
per mezzo del quale tu, o Dio,
doni al mondo ogni bene.

Don Stefano Culiersi
Direttore Ufficio Liturgico Diocesi di Bologna