sinodo famiglia«La questione vera di questo Sinodo è aprire un panorama nuovo sulla famiglia, far sentire il profumo del giardino del “principio”, spalancare la vera bellezza della famiglia che è in Italia e nel mondo. Direi anche, curare quella solitudine che spesso rende l’“inciampo” di un momento una frattura irreversibile e che quindi frena il cuore. Se mettiamo come cura una famiglia accanto a un’altra, molte delle crisi si possono trasformare in una relazione ancora più ricca di comunione. Don Paolo Gentili, direttore nazionale dell’Ufficio Cei per la Pastorale delle Famiglia, coglie le novità salienti inerenti al prossimo Sinodo ordinario della Famiglia che si aprirà in Vaticano il prossimo 4 ottobre.

Sabato 3 ottobre 2015, vigilia dell’apertura della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (4-25 ottobre), con il tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”, si svolgerà una grande veglia di preghiera in Piazza San Pietro, organizzata dalla Cei.
Chi non si troverà in piazza potrà partecipare anche da casa?
«Abbiamo predisposto una preghiera domestica per consentire di partecipare dalla proprie case, penso soprattutto alle persone anziane, a chi ha bambini molto piccoli. Avremo anche forme di preghiera comunitaria: alcuni si stanno organizzando per vegliare tutta la notte per aderire all’invito del Santo Padre alla preghiera. C’è un’iniziativa che si chiama “Le famiglie illuminano il Sinodo”, l’idea è di pregare tutti insieme il 3 sera ponendo come segno un lume alla finestra, in modo da illuminare tutta l’Italia con la bellezza della famiglia». Materiali e informazioni si possono scaricare dal sito www.chiesacattolica.it.

Per quale motivo possiamo definire storica questa assise? «Fare due Sinodi a poca distanza l’uno dall’altro, due consultazioni di popolo così estese, indica come la Chiesa abbia a cuore l’umanità di questo tempo e si interroghi su come annunciare in modo nuovo il Vangelo della Famiglia. È un po’ come ritornare agli albori del Concilio Vaticano II quando la Chiesa cercò di rivestirsi dell’abito nuziale, di essere più bella e incisiva in questo mondo proprio per rendere fresco l’annuncio di Gesù».

Quali saranno i temi principali trattati durante i lavori sinodali, considerato che i vescovi partecipanti provengono da ogni angolo del mondo e le problematiche familiari variano da Continente a Continente? «L’“Instrumentum Laboris”, documento preparatorio al Sinodo del 2014, ha allargato moltissimo gli orizzonti e l’attenzione sulle varie situazioni della Famiglia. Penso alla sfida della terza età, che nell’Occidente è un problema sempre più emergente, molti nuclei familiari si ritrovano con tanti anziani e con un peso notevole da dover portare all’interno della Famiglia stessa. Penso alla sfida della disabilità, a quella delle migrazioni, in questo momento un tema di grande attualità. Certo, ci sono alcune differenze da Paese a Paese, ma probabilmente si è anche un po’ indebolito il cuore degli uomini e delle donne nell’affrontare la scelta sponsale. C’è un nuovo desiderio di famiglia ma anche un’incapacità di vivere il “per sempre”. Spesso c’è una grande solitudine per chi si avventura nel viaggio nuziale: c’è bisogno che le nostre comunità profumino di più di famiglia».

Il Pontefice ha chiesto a tutti i pastori di accompagnare le persone “che sono in situazioni matrimoniali irregolari”, perché le famiglie non devono essere lasciate sole. È anche questo un modo di evangelizzare? «Fin dall’inizio Papa Francesco ci ha sollecitato a essere una Chiesa che cura i feriti con Misericordia, a essere questo “ospedale da campo” che si fa prossimo a tutte quelle situazioni di fragilità affettiva o di rottura di legami matrimoniali che producono una grande sofferenza, ancor più quando ci sono dei figli di mezzo. Qui la questione non è solo dottrinale, è proprio pastorale, nel senso che chiede un nuovo sguardo della comunità cristiana meno giudicante, sulle orme del Buon Samaritano.
Rispetto a chi crede di conoscere bene le regole, lui ci indica “la regola” che è la centralità della persona. Per questo si ferma, dona il suo tempo, scende fino ad abbassarsi all’umanità ferita e ad andare ancora più in basso riconsegnandola alla Locanda dell’uomo ferito, cioè a una novità di relazioni umane che è la comunità, la Chiesa. Ciò vuol dire anche un nuovo sguardo su chi ha vissuto il fallimento del matrimonio, anche riscoprendo quella famiglia come una risorsa. Spesso chi è passato attraverso una separazione e un divorzio ne sa molto di più sul legame matrimoniale rispetto a qualche persona sposata. Questo può essere un dono per tutta la comunità ».

Tratto dall’intervista di Alessandra Stoppini (Sir)