L’animatore della comunicazione e della cultura
Un nuovo Ministero della Comunità
Rossano Calabro, 22/9/2011

Comunicazione e missione | ilcantico.fratejacopa.net

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Con ogni probabilità, nell’odierna società dei consumi, il temine “animatore” sta a indicare l’animatore del villaggio turistico, che intrattiene i vacanzieri proponendo attività antinoia, prevalentemente fisiche (giochi, balli, gare di abilità etc.), da eseguire in gruppo. In realtà “animare” viene da “anima”, e suggerisce l’idea di infondere lo spirito, vivificare, e successivamente incoraggiare. È a questa accezione originaria che esplicitamente si richiama il Direttorio sulle Comunicazioni Sociali nella missione della Chiesa della CEI, “Comunicazione e missione”, del 2004, quando identificando l’urgenza di una figura come questa a proposito dell’ambito della comunicazione e della cultura, afferma che

In questo campo servono operai che, con il genio della fede, sappiano farsi interpreti delle odierne istanze culturali, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione non come tempo di alienazione e di smarrimento, ma come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli

Operai innanzitutto: l’animatore non è uno specialista, un esperto; non ha una conoscenza settoriale e tecnica, né tantomeno astratta. Il suo compito ha piuttosto a che fare con le opere, la concretezza, l’azione, l’impegno nella realtà, il servizio alla comunità. L’animatore della comunicazione e della cultura è una sentinella (ruolo che indica colui che ascolta – da sentire – e che è mandato a vigilare proprio vicino al pericolo) che continuamente richiama l’attenzione sulla fonte alla quale attingere la vita, e sul fatto che tutte le “meravigliose opere dell’ingegno umano” ci mettono prima di tutto in contatto, per usare un’immagine potente e condivisa, “con il dito creatore di Dio” (A. Spadaro “Svolte di respiro” p. 35).

Da qui discendono i compiti: l’animatore della comunicazione collabora in spirito di servizio alla triplice azione di

  1. interpretazione e discernimento rispetto al tempo presente
  2. incorporazione dei media nell’azione pastorale, cercando forme nuove per abitare questo ambiente, nella comune ricerca della verità
  3. valorizzazione delle risorse umane, soprattutto dei giovani, e ridefinizione dell’autorevolezza come capacità di ascolto e amore per l’umano nella sua integrità.

Sono passati alcuni anni dalla pubblicazione di questo documento, tuttavia il testo del Direttorio rimane molto attuale e si rivela retrospettivamente quasi profetico nel riconoscere la necessità di figure di riferimento, motivate e competenti, capaci di articolare, nella concretezza della relazione faccia a faccia, una comunicazione a più livelli, tra Chiesa, territorio e media: “opinion leader” che siano espressioni della comunità ma esprimano anche sensibilità ecclesiali più sviluppate e una “familiarità riflessiva” rispetto ai media; capaci di produrre aggregazione, attivare risorse, mobilitare consapevolezza.

Paolo VI nella Evangeli Nuntiandi, descriveva il nostro tempo come segnato da una “rottura tra vangelo e cultura” (n. 20). È questa frattura che oggi va sanata, perché impoverisce la cultura, separando e contrapponendo ciò che invece è unito: materia e spirito, finito e infinito, libertà e legame… Lo scriveva anche McLuhan: “esistono due aspetti in ogni cosa, l’uno concreto e l’altro mistico, entrambi utili e fecondi” (La luce e il mezzo, p. 31). Mentre nella concezione religiosa del mondo l’intero precede le parti (basti ricordare gli esempi evangelici della vite e dei tralci, o quelli paolini del corpo e delle membra), la cultura razionalistica ha proceduto alla frantumazione dell’intero in parti. Così il “pensiero meditante” viene cancellato da quello “calcolante”, che perde il senso della gratuità e della bellezza e resta schiacciato sull’utile immediato. La cultura contemporanea è settoriale, frammentata e promuove la segmentazione dell’esperienza e persino del corpo, che non è più considerato come un tutto ma come una somma di parti (smontabili, sostituibili, ritoccabili).

Educare alla comunicazione | ilcantico.fratejacopa.net

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Ascoltare questo tempo significa anche cogliere la deriva disumanizzante di una concezione materialistica e meccanicistica della vita e del corpo, e proporre invece il messaggio dell’integrità della persona e della sacralità della vita.
– In questo senso la Chiesa può offrire oggi un punto di vista profondamente alternativo a quello di una cultura sempre più arida e disumanizzante. Il prezzo di questa lacerazione infatti, oltre al materialismo che ci rende un’“epoca delle passioni tristi”, è l’incapacità critica, la banalizzazione, il senso di rassegnazione che si respirano in tanti ambienti. Come sosteneva McLuhan: “Uno degli effetti dell’innovazione è il sonnambulismo. Quando le persone sono in preda a una forte pressione psicologica, tendono a diventare ‘zombi’. Lo ‘zombismo’ e’ attualmente un modo normale per resistere all’innovazione tecnologica” (La luce e il mezzo, 81). Qualità della vigilanza sono invece l’attenzione, la sensibilità, la capacità di perforare il velo delle apparenze. Vigilare significa “guardare con attenzione”, un guardare che non è solo degli occhi. Vigilare significa anche prendersi cura, custodire, ciò che abbiamo conosciuto come importante, prezioso e bello. Solo ciò che viene custodito può durare, perché l’oblio della nostra cultura basata sull’istantaneità tende a cancellare ogni cosa. Il cristiano oggi sa vigilare e sa anche essere originale, perché non si dimentica dell’origine, di quella fonte dalla quale ha avuto e costantemente riceve la vita, e questo rende il suo sguardo più acuto e la sua prospettiva “eccentrica” rispetto alla dittatura del dato di fatto che domina nei discorsi di oggi.

Nell’opera di discernimento dei tempi i laici, se stanno dentro al mondo con atteggiamento vigile, possono svolgere un ruolo cruciale, e la cultura digitale pone oggi nuove sfide e nuove opportunità in questa direzione. Essa rappresenta certamente una sfida per la Chiesa. Una sfida che deve essere colta con attenzione, con responsabilità ma anche con umiltà, perché solo “ascoltando” il nuovo contesto che va prendendo forma si può esprimere una parola capace di intercettare i bisogni, destare l’attenzione, accendere la speranza. E i laici possono contribuire molto non solo condividendo esperienze, significati e competenze, ma persino offendo spunti per vedere la rete non come un sostituto, ma come un luogo che consenta una nuova intelligenza (intus-legere) della fede, a fronte di una generalizzata “negligenza”, indifferenza (nec-legere). E, d’altra parte, esplorare le potenzialità della rete alla luce dell’esperienza di fede consente di coglierne le opportunità di umanizzazione e di sottrarsi alle logiche orchestranti della tecnica come dispositivo; sviluppando la nostra capacità di vivere la nostra integrità di esseri senzienti, pensanti, desideranti, in relazione tra noi e aperti all’infinito che ci costituisce e continuamente ci libera.

tratto dalla relazione di don Domenico Pompili, Direttore Ufficio Naz. Comunicazioni Sociali