Educare alla ricerca della verità e del bene | ilcantico.fratejacopa.net

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L’educazione secondo la cultura attuale
Le idee oggi più diffuse sull’educazione sono conformi al contesto culturale che non dà risposte alle domande fondamentali sull’uomo (chi è? che senso ha la sua vita?…), anzi cerca di nasconderle con l’ebbrezza del consumismo, del piacere, del divertimento, del non pensarci. Piuttosto che dar forma ad un essere autenticamente umano che cerchi un senso alla vita ponendosi in relazione con l’Altro e con gli altri, l’educazione sembra dover servire a vivere nel proprio mondo anche a costo di condurre una vita superficiale in cui non si riflette sul senso della vita, ma la razionalità è riservata alle competenze tecniche e l’esperienza è abbandonata alla pura emotività.
Il testo pubblicato dal Comitato per il Progetto Culturale della CEI: “La Sfida Educativa”, evidenzia due modelli di educazione che dividono la componente razionale dell’uomo da quella affettiva e perciò non danno vita allo “sviluppo integrale della persona”, ma alla sua schizofrenia. Il primo modello educativo punta sulla “funzione dell’acquisizione di conoscenze, abilità, competenze coerenti con l’assetto tecnologico del mondo contemporaneo… L’educazione, in definitiva, si risolve in trasmissione di informazione e di capacità, e in socializzazione culturale… Il secondo modello, all’opposto, valorizza la spontaneità… pensa anzitutto in termini di autoeducazione, con al centro le qualità del soggetto, la sua espressività e la sua creatività, intesa come spontaneismo soggettivo” (Comitato per il Progetto Culturale della CEI, La Sfida Educativa, Bari 2009, p.9).

Si delinea così un soggetto schizofrenico, scisso in se stesso tra esperienze in cui sperimenta la fredda razionalità che organizza il mondo del lavoro e all’opposto altre esperienze in cui l’affettività è avvertita come relazione calda con gli altri e con il mondo, ma al di fuori dell’orizzonte della ragione. In questa cultura la figura dell’educatore è molto opaca perché non è un formatore delle coscienze, ma un informatore di competenze razionali, utili per il mondo del lavoro. Si ritiene infatti che la coscienza dell’individuo debba vivere la propria affettività senza limiti alla propria libertà.
Ma di quale libertà si parla?
Secondo la cultura attuale la libertà è ridotta a pura possibilità di scelta ed è indipendente da contenuti che facciano riferimento ad una verità, ad un bene oggettivo. In questa visione della vita il bene non esiste, la verità non esiste, ma ognuno può avere le proprie idee sul bene, sulla verità…
L’io si ritiene dio di se stesso in quanto capace di dare a se stesso una morale autonoma come espressione della sua coscienza libera da ogni riferimento alla verità o al bene. Ma in questo modo si arriva ad una situazione paradossale: come si fa ad obbligare qualcuno a rispettare i diritti altrui, senza togliergli la libertà che è un suo diritto?
Così i doveri cedono la priorità ai propri diritti, fino quasi a scomparire!
“Ne consegue che una società dei diritti, contrariamente a quanto spesso si pensa, tende ad essere una società passiva e deresponsabilizzata, una società inerte e prona, incapace di dire di no perché solo i doveri fanno dire di no, i diritti fanno dire invece di sì” (Stefano Fontana, Per una politica dei doveri dopo il fallimento della stagione dei diritti, Siena 2006, p.45).

Gli altri non sono visti come soggetti con cui entrare in relazione per costruire la propria coscienza, ma come dei rivali che si oppongono alla nostra volontà, degli assoluti che contendono la nostra assolutezza, che limitano la nostra libertà. Come diceva Hobbes: “homo homini lupus”. In una società in cui si enfatizzano i diritti derivanti da una coscienza che si assolutizza (ab-solutus= sciolto da), l’educatore, che non si occupi di pura informazione tecnica da utilizzare nel mondo del lavoro, non è considerato un dono, ma un castigo, poiché limita la libertà intesa come pura autonomia.

L’educazione secondo natura
Invece negli orientamenti pastorali della CEI: “Educare alla vita buona del Vangelo” la figura dell’educatore acquista un notevole risalto. Egli è molto più di un informatore, è un testimone che esercita la sua autorevolezza acquistata nel tempo e maturata alla scuola di altri maestri. Egli sente la responsabilità di restituire ciò che ha ricevuto, educando alla libertà, poiché “senza educazione della libertà non si forma la coscienza” (Educare alla vita buona del Vangelo, n.29). Questo linguaggio è chiaramente molto diverso da quello corrente che non si pone nemmeno il problema dell’educazione della libertà.
È il linguaggio di “un altro filone di pensiero secondo il quale la coscienza non è originaria, ma derivata…
In noi c’è qualcosa che non dipende da noi…
L’io fa esperienza della trascendenza prima di tutto in se stesso…
La trascendenza è costitutiva dell’io: nell’immanenza l’io si atrofizza e muore su se stesso…” (Stefano Fontana, ibidem, p.52-53).

Secondo questo filone di pensiero l’io non si autocostruisce o non sceglie la sua verità in base ai suoi interessi, ma è libero quando riconosce e aderisce alla verità, che è data, fuori di lui. L’espressione evangelica: “la verità vi farà liberi” (Gv 8,32) significa che l’io è libero paradossalmente quando si lega ad una verità che è più grande di lui! La libertà evangelica non è la libertà moderna.
Giovanni Paolo II in una celebrazione al monte Sinai espresse in maniera chiara il significato della libertà evangelica dicendo che essa è libertà “dalle false divinità che riducono l’uomo in schiavitù: l’amore di sé sino all’esclusione di Dio, l’avidità di potere e di piacere che sovverte l’ordine della giustizia e degrada la nostra dignità umana e quella del nostro prossimo…” È la libertà “di amare, di scegliere ciò che è bene in ogni situazione, anche quando farlo è un peso” (Giovanni Paolo II, Celebrazione al monastero di S. Caterina sul monte Sinai, 26-2-2000).
Ma nella cultura moderna l’uomo ha ignorato la sua natura di essere creato ad immagine e somiglianza col Dio della comunione, sentendosi libero solo se autonomo. “Questo è tutto il dramma dell’umanità. Ma in verità questa autonomia è sbagliata e questo entrare nella volontà di Dio non è un’opposizione a sé, non è una schiavitù che violenta la mia volontà, ma è entrare nella verità e nell’amore, nel bene” (Benedetto XVI, Triduo pasquale, momento di grazia per i cristiani, Catechesi per l’Udienza generale del mercoledì, 20-4-2011).

Questo filone di pensiero potrebbe sembrare riservato ai credenti. In realtà nel cuore di ogni uomo, anche non credente, è iscritta una legge morale naturale universale che corrisponde alle sue profonde aspirazioni e che gli consente di perseguire il bene comune anche a prescindere dai contenuti della fede cristiana. Deve però essere disposto a compiere un cammino di umanizzazione, cercando, riconoscendo e aderendo alla verità fuori di sé e non abbandonandosi ad un comodo relativismo, oggi molto di moda.
D’altra parte l’ordine morale naturale è iscritto nell’uomo solo germinalmente, perciò, se non viene coltivato, finisce per morire sopraffatto “dalla forza distruttiva dell’egoismo, dell’odio e della menzogna” (Giovanni Paolo II, ibidem)… e la società diventa violenta!
Ecco perché l’aiuto di un educatore che sia testimone di una vita condotta facendo crescere quel germe naturale che è in noi, può costituire un grande aiuto per compiere un cammino in cui le esperienze non siano vissute nell’emotivismo, ma servano a riflettere e a cercare la verità, il senso della vita, il bene comune… per lo sviluppo integrale dell’uomo.

Graziella Baldo