Relazione alla Scuola di Pace (Roma, 3-5 gennaio 2013)

S.E. Mons. Mario Toso, Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

benecomune-pace

UN  NESSO IMPORTANTE
Che relazione hanno i mercati finanziari con la pace? Si tratta di un nesso molto importante. Infatti la pace, bene per eccellenza, da invocare come dono da Dio, come ha detto Benedetto XVI, nell’omelia del 1 gennaio 2013, è bene pressoché equivalente al bene comune della famiglia umana. Orbene, il bene comune e, per conseguenza, la pace richiedono la realizzazione di un insieme di condizioni sociali, economiche, finanziarie, giuridiche, politiche, religiose, culturali, senza le quali non possono concretamente esistere. Perché vi sia pace e vi sia il bene comune occorre che siano realizzate, fra le altre condizioni, anche quelle finanziarie. In particolare, occorrono condizioni finanziarie funzionali allo stesso bene comune, ovvero sistemi finanziari e monetari liberi, disciplinati da un adeguato quadro giuridico, trasparenti, democratici, ministeriali alle persone, ai gruppi, alla famiglia, alle imprese, alle comunità locali, ispirati ai valori della carità nella verità. I mercati finanziari debbono essere visti non solo come realtà negative, come invece si tende a fare in questo periodo, insistendo sulla loro crisi e sugli effetti devastanti che essi producono sull’economia reale. I mercati finanziari nelle Riflessioni del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale (Libreria Editrice Vaticana 2011, 3.a ristampa) vengono definiti come “bene pubblico” (cf p. 29), perché i mercati finanziari sono un elemento essenziale per l’economia e per lo sviluppo dei popoli. Chi è interessato allo sviluppo integrale dell’uomo e della famiglia umana non può fare a meno di prenderli in considerazione. C’è bisogno di mercati finanziari e monetari, però – come si diceva poco fa –, ministeriali al bene comune e alla pace. Attualmente essi non appaiono tali. Il sistema finanziario internazionale sta mostrando, con le sue ricorrenti crisi, molteplici disfunzioni che pregiudicano la sua tenuta e la sua ministerialità al bene comune della famiglia umana.
Se noi desideriamo realizzare il bene comune, lo sviluppo sostenibile per tutti e la pace, dobbiamo preoccuparci che i mercati finanziari e monetari siano mercati liberi, ossia non dominati dall’illegalità, da forze occulte, da una pianificazione totale e globale: liberi non significa, peraltro, che siano privi di regole; per essere tali abbisognano, invece, di giuste regole, di un quadro giuridico certo. I mercati, inoltre, devono essere: stabili, non in continua crisi o poco consistenti; trasparenti, vale a dire che quello che avviene al loro interno deve essere leggibile, non deve essere nascosto, non deve appartenere ad un “mercato ombra”; democratici, cioè non oligarchici, ma partecipati il più possibile da tutti i soggetti economici, non solo da pochi che ne detengono il monopolio; funzionali, ossia al servizio dell’economia reale, del lavoro, delle imprese, delle famiglie, delle comunità locali, delle amministrazioni locali che hanno bisogno di prestiti, di credito, per garantire beni, servizi pubblici. In definitiva, i mercati devono essere efficienti ed efficaci, non iperprotetti da politiche nazionali paternalistiche, non indeboliti da deficit sistematici delle finanze pubbliche, che di fatto impediscono ad essi di operare in un contesto mondiale come istituzioni aperte e concorrenziali (cf Per una riforma, p. 24).
Se la finanza non è ministeriale al bene comune è facile che cresca la disoccupazione, e che si alimentino crisi alimentari ed ecologiche. Se il sistema finanziario non funziona non si realizza né il bene comune né la pace.
Per effetto della recente crisi finanziario-economica, il cui inizio si può far risalire al 2007, nel mondo sono andati perduti oltre 200 milioni di posti lavoro. Secondo un recente studio dell’International Labour Organization-ILO, Global Employment Outlook: Bleak Labour Market Prospects for Youth, l’impatto della crisi dell’euro, seguita alla crisi statunitense, si sta estendendo all’Asia dell’Est e all’America Latina, aggravando la situazione di molti giovani disoccupati. Sempre secondo tale studio, il tasso globale della disoccupazione giovanile raggiungerà il 12,9 % entro il 2017, ovvero con un aumento di 0,2 punti percentuali rispetto alle previsioni per il 2012. Ora è risaputo che chi è disoccupato, oltre a rimanere ai margini del mercato, è anche ai margini della vita democratica e della realizzazione del bene comune.
È noto, poi, che alle crisi alimentari, con le avversità climatiche e l’assenza di adeguate politiche per incentivare la produzione agricola, concorrono oggi le speculazioni finanziarie legate, ad esempio, alla compravendita di fondi di investimento. Si tratta spesso di contratti di tipo futures sui prodotti agricoli che non vengono più solo acquistati da chi ha un interesse diretto in quel determinato mercato, seguendo le leggi tradizionali della domanda e dell’offerta, ma anche mediante fondi di pensione, che sono investiti con l’obiettivo esclusivo di ottenere il miglior rendimento.
I meccanismi perversi del sistema finanziario hanno ricadute drammatiche specie sulle popolazioni più deboli, prime fra tutte quelle africane. Vi sono Paesi in cui la gente destina più dell’80% del proprio reddito al fabbisogno alimentare e che, nell’attuale congiuntura, non sono assolutamente in grado di far fronte all’aumento dei prezzi del cibo. I dati statistici forniti dalla Food Security Risk Index informano che il 75% del continente africano rischia molto. Si temono, nel 2013, per l’ennesima volta, le cosiddette «rivolte del pane». Stando agli analisti di Maplecroft, per il prossimo giugno i prezzi delle materie prime alimentari potrebbero subire incrementi fino al 15 per cento, con il conseguente aumento di inedia e di pandemie. Anche l’indice dei prezzi pubblicato dalla FAO (Food and Agricolture Organisation) ha segnalato, lo scorso ottobre, per i cereali, un aumento del 7 per cento rispetto allo stesso mese del 2011.
Crisi alimentare e conseguente crescita dei prezzi dei beni di prima necessità rappresentano fattori di fragilità per le democrazie su scala planetaria. A parte l’esigenza di garantire una maggiore stabilità geopolitica attraverso la risoluzione di conflitti in zone come Sudan occidentale (Darfur) e Somalia, occorre intervenire, in sede internazionale, con un’agenda che preveda politiche per incentivare la produzione agricola, puntando sulla ricerca e le nuove tecnologie. Inoltre, è necessario stabilizzare le quotazioni e quindi i redditi dei produttori; favorire la conoscenza e la trasparenza dei mercati, con regole il più possibile condivise su scala globale. Il cammino è tutto in salita per la difficoltà di realizzare una gestione globale in una stagione dominata dalla crisi finanziaria-economica, in cui gli Stati fanno fatica a delegare a organismi sovranazionali «spicchi» di propria sovranità (cf Giulio Albanese, Pane della rivolta, in Messaggero di Sant’Antonio, dic. 2012, p. 31).

LA DIFFICOLTÀ DI UNA GESTIONE GLOBALE
Il cammino è tutto in salita per la difficoltà di realizzare una gestione globale in una stagione in cui ci sarebbe bisogno di istituzioni proporzionate ai problemi globali e in cui gli Stati fanno fatica a delegare spicchi della propria sovranità ad organismi sovranazionali.
Va, poi, tenuto presente che, se i mercati finanziari sono sregolati, oltre che l’economia reale, mettono in crisi se stessi. Molti sostengono che i mercati finanziari devono obbedire solo alle proprie leggi poiché una “mano invisibile” (Adam Smith) li farebbe funzionare automaticamente per il bene comune, nonostante i fallimenti. In realtà, come l’esperienza dimostra, questo non avviene. Padoa Schioppa, in un suo volume apparso postumo, ha scritto che l’autoregolamentazione, prima e durante la crisi, si è dimostrata carente e che l’intervento regolatore degli Stati e delle istituzioni internazionali è inevitabile, sebbene debba mantenersi entro giusti limiti (cf Regole e finanza, Il Mulino 2011).
Occorre, dunque, regolare i mercati affinché siano fedeli anche alla loro funzione fondamentale di prestare denaro. Senza regolamenti il mercato, specie quello ombra, continua ad agire come un far west. Di questo ne sono oramai tutti coscienti. Nel 2011 il Pil mondiale lordo ammontava a 70 mild. di dollari mentre il valore dei derivati era di 650 mild. di dollari, ovvero quasi dieci volte tanto. Il valore della carta-finanza pesava 10 volte di più di quanto producevano materialmente le persone.
Si potrebbe pensare che la lezione del fallimento della Lehman Brothers abbia insegnato qualcosa e che dal 2008 ad oggi le cose siano cambiate. In realtà, non è così. Se nel 2008 c’erano 9 dollari di derivati per 1 dollaro di Pil, nel 2010 il rapporto era salito a 10 a 1 per tornare nel 2011 a 9 a 1, ma poi ha ricominciato a risalire.
In sostanza, solo se si hanno a disposizione sistemi finanziari e monetari liberi, trasparenti, solidi, democratici, resi funzionali all’economia reale e al bene comune, tramite la regolazione e l’orientamento da parte delle attività politiche e dei vari corpi sociali, è possibile conseguire uno sviluppo integrale per tutti e la pace.
La necessità di simili sistemi finanziari e monetari è oggi globale. Per poterne disporre sono urgenti istituzioni globali. A realtà globali devono corrispondere istituzioni globali. Questo è un grande presupposto su cui ha fatto leva l’insieme delle Riflessioni del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

PER RIDARE PRIORITÀ ALLA POLITICA RISPETTO ALLA FINANZA
Tali Riflessioni in particolare fanno riferimento ad un’autorità pubblica a competenza universale e – in una situazione in cui la finanza ha preso il sopravvento sulla politica – appellano al recupero del primato della politica sulla finanza.
Se la politica è responsabile del bene comune, e quindi della realizzazione delle condizioni che consentono il bene comune [e tra le condizioni vi sono anche quelle finanziare], allora la politica deve potere sorvegliare i mercati finanziari, deve poterli orientare, regolare.
L’idea che sta alla base delle suddette riflessioni è la seguente: bisogna che rispetto a nuove situazioni, a nuovi meccanismi, a nuove realtà globali, ci siano istituzioni corrispondenti, altrimenti non si riesce ad orientare la stessa globalizzazione alla realizzazione del bene comune della famiglia umana né alla realizzazione della pace.
Spesso si tralascia superficialmente il discorso delle istituzioni! Abbiamo sì bisogno dell’etica, dell’ispirazione cristiana, dell’aspetto teologico, della spiritualità, ma anche di istituzioni stabili, trasparenti, innovate. Abbiamo bisogno che la comunità politica sia dotata di mezzi sufficienti, di nuovi strumenti giuridici, nonché di istituzioni adeguate per poter realizzare le condizioni sociali che consentano di pervenire al bene comune e alla pace.
Le Riflessioni del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace rilevano, fra l’altro, che le istituzioni attualmente esistenti, cioè la Banca mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’ONU e il G 20, non incarnano e non rappresentano ancora l’idea dell’autorità pubblica a competenza universale di cui ci sarebbe bisogno. Esse rappresentano, nonostante l’impegno profuso, tentativi parziali di realizzarla a vari livelli. Occorre, pertanto, procedere ad una loro graduale riforma: alla riforma dell’ONU, della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, del G 20, specie in senso democratico. Bisogna, in particolare, prendere coscienza che il G 20 non costituisce nessuna autorità sovranazionale. Il G 20 appare come un club di Stati amici che non ha nessuna legittimazione politica e non rappresenta tutti gli altri Stati del mondo (cf Per una riforma, pp. 30-31). Non appare un’istituzione globale capace di fornire orientamento alla globalizzazione, sulle varie questioni relative alla finanza, all’ambiente, all’energia e al cibo, alla pace.

L’APPELLO PER UNA VERA AUTORITÀ POLITICA MONDIALE
L’appello che si fa nelle Riflessioni del Pontificio Consiglio è quello di una vera autorità politica mondiale. E questo richiede la riforma delle istituzioni già esistenti, dell’ONU e delle altre. L’adeguamento delle istituzioni ai problemi globali richiede anche l’innalzamento di istituzioni nuove, come sta avvenendo in Europa con la creazione e il graduale rafforzamento della Banca Centrale Europea. Per governare fenomeni sovranazionali bisogna che il mondo si doti di nuove istituzioni a diversi livelli. Come? A piccoli passi, secondo le Riflessioni del Pontificio Consiglio. Non si può ottenere tutto dall’oggi al domani. Bisogna essere realisti e, quindi, occorre muoversi secondo gradualità!
A chi dice che è utopico pensare ad un’ONU riformata nel senso di un’autorità politica mondiale; a chi afferma che il cammino è troppo lungo e che sarebbe meglio accontentarsi solo dei piccoli passi possibili, si può rispondere che per muovere i piccoli passi nella direzione giusta occorre avere a disposizione un punto di riferimento chiaro, altrimenti si finisce per orientarsi in una direzione sbagliata. Un’autorità politica universale, seppur non definita in tutti i suoi aspetti, deve essere almeno prospettata come meta, perché, senza di essa dinnanzi, non si sa verso dove dirigere i passi per riformare le istituzioni esistenti.
Alcuni, dopo aver letto le Riflessioni hanno sollecitato ad interessarsi di più ai poveri anziché perdere tempo a parlare di autorità politica mondiale, realtà che una certa letteratura dipinge come inevitabile incarnazione del Maligno. A costoro si può rispondere che chi, specie oggi, non si interessa delle istituzioni, in particolare di quelle globali, fa il più grande danno ai poveri. Se si lasciano intatti tutti i meccanismi finanziari sovranazionali, per di più concentrati nelle mani di pochi, c’è il rischio che questi aggravino le condizioni dei poveri. Proprio per difendere i più poveri bisogna prodigarsi affinché ci siano istituzioni politiche globali che abbiano la capacità di regolare i mercati finanziari ed economici in vista della realizzazione di uno sviluppo sostenibile per tutti. Se si vuole interessarsi dei poveri, non in maniera platonica o solo mediante forme assistenzialistiche, occorre preoccuparsi della riforma delle istituzioni internazionali, affinché i poveri non siano ulteriormente penalizzati e spogliati.
La proposta del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace poggia sull’idea che oggi le condizioni di realizzazione del bene comune sono tali per cui si deve quanto prima arrivare all’istituzione di un’autorità politica mondiale. Se non c’è questa autorità politica mondiale, non si realizzano le condizioni che sostanziano il bene comune della famiglia umana.
Come dev’essere, però, intesa questa autorità?
Tale autorità deve essere intesa come un’autorità che esautora tutte le autorità nazionali e concentra il potere in un punto unico superiore a tutti? No. Essa non va concepita come un Leviatano, come un superpotere assoluto che esautora, sostituendoli, tutti gli altri centri di autorità nazionale e regionale. Al contrario, il suo compito è di riconoscerli tutti e di rispettarli nella loro autonomia e libertà, secondo il principio di sussidiarietà. L’autorità politica mondiale va istituita dal basso, democraticamente, ad un livello superiore rispetto alle autorità nazionali, ossia su un piano sovranazionale, specie per alcune questioni rispetto alle quali le autorità nazionali o anche i gruppi di Stato non appaiono competenti o proporzionate. Quindi, l’autorità politica mondiale non dev’essere istituita per avocare a sé tutte le questioni sociali e giuridiche. Essa dev’essere innalzata per creare, sul piano mondiale, un ambiente sociale e civile che consenta a tutti i popoli di raggiungere il loro bene comune, entro il contesto del bene comune mondiale, ossia entro un contesto di solidarietà e di collaborazione internazione e sovranazionale.
L’autorità politica mondiale, che come già detto dovrebbe essere costituita dal basso, democraticamente, è un’autorità da intendersi soprattutto come forza morale, normata dal diritto, dalla legge morale naturale che precede il diritto positivo. Non è un superpotere slegato da ogni riferimento, assoluto. È un’autorità partecipata, condivisa dai popoli e dai cittadini, limitata dal diritto internazionale, poliarchica, ossia un’autorità che prevede altri livelli di esercizio, oltre al proprio: livelli diversi che però collaborano tra di loro, reciprocamente, rimanendo interconnessi. Non la si può identificare con l’idea di un super Stato illimitato, paternalistico, tecnocratico ed egemone. Va pensata, piuttosto, come una realtà politica sorretta da una società di popoli, uniti da una comune coscienza sociale sempre crescente.
Si tratta, dunque, di un’autorità limitata, competente specialmente per ciò di cui non sono competenti i singoli Stati. Ci sono questioni internazionali che un singolo Stato non può risolvere da solo. Per esempio, i problemi dell’inquinamento, delle immigrazioni, delle crisi alimentari ed ambientali, della fame e della povertà, dello sviluppo sostenibile per tutti non possono essere risolti da un singolo Stato. Occorre una governance mondiale, un’autorità politica mondiale, come ha suggerito Benedetto XVI nella Caritas in veritate al numero 67.
L’autorità di cui parla papa Benedetto non è, però, un’autorità di semplice coordinamento dei vari Stati, un’autorità alla pari con la loro, senza la possibilità di comandare o di sanzionare gli Stati che non obbediscono alle decisioni prese.
Si tratta di un’autorità che, come già detto, dev’essere validata sì con metodo democratico, limitata dal diritto, partecipata, ma deve avere la possibilità di comandare secondo ragione, cioè sulla base dell’ordine morale, del diritto internazionale.
Secondo le Riflessioni del Pontificio Consiglio, allora, «nel cammino della costituzione di un’Autorità politica mondiale non si possono disgiungere le questioni della governance (ossia di un sistema di semplice coordinamento orizzontale senza un’Autorità super partes) da quelle di un shared government (ossia di un sistema che, oltre al coordinamento orizzontale, stabilisca un’Autorità super partes) funzionale e proporzionato al graduale sviluppo di una società politica mondiale. La costituzione di un’Autorità politica mondiale non può essere raggiunta senza la previa pratica del multilateralismo, non solo a livello diplomatico, ma anche e soprattutto nell’ambito dei piani per lo sviluppo sostenibile e per la pace. A un Governo mondiale non si può pervenire se non dando espressione politica a preesistenti interdipendenze e cooperazioni» (pp. 27-28).
Questa proposta, ha suscitato non poche reazioni negative, anche nel mondo cattolico. Prima di tutto perché spesso si confonde il potere con l’autorità e poi perché si ritiene (sotto l’influsso di alcune scuole economiche) che l’autorità politica non abbia responsabilità nei confronti dell’orientamento dell’economia. Politica ed economia sono da concepirsi come entità autonome, per cui la politica non deve sorvegliare l’economia e la finanza, non ha la responsabilità del bene comune e, non avendo la responsabilità del bene comune, non è chiamata ad orientare l’economia e la finanza alla realizzazione del bene comune. Al contrario, la Pacem in Terris, citata dallo stesso BenedettoXVI, propone un’autorità politica mondiale, esigita dalla realizzazione storica del bene comune.
Altri cattolici non hanno condiviso la proposta del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace perché secondo loro nella Dottrina sociale della Chiesa non esiste l’idea di una tale autorità. Che dire? Innanzitutto che è davvero singolare come un discreto numero di persone costituite in responsabilità nella Chiesa e nelle sue Organizzazioni siano così digiune dei contenuti della Dottrina sociale. La proposta di un’autorità politica mondiale è stata avanzata già da Pio XII, da tutti i pontefici successivi. L’idea della costituzione di una vera autorità politica mondiale si riscontra nei loro discorsi all’Onu, nei loro Messaggi per la Giornata Mondiale della Pace! Perché, allora, questa negazione ostinata di un qualcosa che è così palese nei documenti del Magistero sociale, da parte di persone pur dotate di buona cultura e che occupano posti di responsabilità nelle associazioni cattoliche? La spiegazione più plausibile è quella della prevenzione ideologica. Non si vuole vedere ciò che è affermato dai pontefici soprattutto perché si è condizionati negativamente dal proprio settorialismo professionale, da una cultura preconcetta che induce ad essere fortemente selettivi rispetto alla Dottrina sociale.
Altri credenti ancora, hanno sostenuto che nei pronunciamenti della Chiesa è davvero strano che si parli dell’esigenza di un’autorità politica mondiale, fondandola sul bene comune, dal momento che non esiste una concezione condivisa di esso.
Se non esiste un bene comune condivisibile è tempo perso interessarsi della costituzione di un’autorità responsabile del bene comune sul piano mondiale. Anche qui cosa rispondere? Innanzitutto che un bene comune, nazionale e mondiale, nonostante i diversi approcci da parte di singoli e popoli, esiste, come è dimostrato dall’insieme dei beni personali e collettivi che la famiglia umana deve coltivare. In secondo luogo, va risposto che se davvero si fosse consequenziali con la prospettiva sostenuta si dovrebbe convincere i politici del proprio Paese ad abbandonare i Parlamenti, come anche l’ONU. Se davvero non ci fosse il bene comune delle Nazioni e della famiglia umana, tutti coloro che lavorano alla loro realizzazione, sia pure imperfetta, lavorerebbero invano, sarebbero inutili per le società e per il mondo.
Orbene, la Chiesa propone la costituzione di una vera autorità politica a livello mondiale perché è profondamente convinta che il bene comune della famiglia umana esiste come bene che è comprensivo dei beni comuni dei vari popoli e li trascende. Nella Caritas in Veritate (n.67) troviamo un chiaro elenco delle ragioni per cui dev’essere costituita un’autorità politica mondiale. Esse rappresentano le maggiori e molteplici esigenze storiche del bene comune mondiale odierno: « Per il governo dell’economia mondiale; per risanare le economie colpite dalla crisi, per prevenire peggioramenti della stessa e conseguenti maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmo integrale, la sicurezza alimentare e la pace; per garantire la salvaguardia dell’ambiente e per regolamentare i flussi migratori – si legge nella Caritas in veritate – urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII». «Una simile Autorità – continua Benedetto XVI – dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità. Tale Autorità inoltre dovrà essere da tutti riconosciuta, godere di potere effettivo per garantire a ciascuno la sicurezza, l’osservanza della giustizia, il rispetto dei diritti. Ovviamente, essa deve godere della facoltà di far rispettare dalle parti le proprie decisioni, come pure le misure coordinate adottate nei vari fori internazionali. In mancanza di ciò, infatti, il diritto internazionale, nonostante i grandi progressi compiuti nei vari campi, rischierebbe di essere condizionato dagli equilibri di potere tra i più forti. Lo sviluppo integrale dei popoli e la collaborazione internazionale esigono che venga istituito un grado superiore di ordinamento internazionale di tipo sussidiario per il governo della globalizzazione e che si dia finalmente attuazione ad un ordine sociale conforme all’ordine morale e a quel raccordo tra sfera morale e sociale, tra politica e sfera economica e civile che è già prospettato nello Statuto delle Nazioni Unite» (n. 67).
Ciò premesso, e lasciando agli uditori la lettura completa delle Riflessioni, vado alle indicazioni più dettagliate offerte dal Pontificio Consiglio.

PISTE DI RIFLESSIONE
A fronte della necessità di governare il mercato ombra dei derivati, di avere a disposizione istituzioni bancarie capaci di offrire credito alle imprese e di realizzare la giustizia sociale in ambito finanziario su un piano nazionale ed internazionale, il testo del Pontificio Consiglio, nella sua parte finale, offre alcune piste di riflessione che non rappresentano affermazioni dogmatiche e definitive. Tali piste di riflessione, dopo vari mesi dalla pubblicazione, rimangono attuali, come sono attuali i problemi a cui esse si riferiscono.
Il Testo propone:
* di dedicare una particolare attenzione, in vista di un opportuno controllo, allo Shadow Banking System, al sistema bancario ombra, regno opaco delle grandi Investment Banks e degli Hedge Funds. Si tratta di una questione nodale, dal momento che, com’è noto, il sistema bancario e finanziario ombra è stato, e continua ad essere, il soggetto generativo e diffusivo della finanza predatoria su scala planetaria. Nel sistema bancario ombra vegeta un capitalismo finanziario artificiale e labirintico in cui è possibile vendere anche quello che non si ha né in proprietà né in prestito: un capitalismo in cui il falso diventa vero, in cui l’irreale si fa reale. Per una disciplina più efficace dei «mercati- ombra», privi di controlli e di limiti, appare necessaria una rigorosa demarcazione tra le tipologie di Banca Commerciale e di Banca di Investimento, tra economia produttiva ed economia speculativa.
* di pensare a forme di ricapitalizzazione delle banche anche con fondi pubblici, condizionando però il sostegno a comportamenti virtuosi e finalizzati a sviluppare l’economia reale. Si tratta, allora, di vigilare in modo che le banche che ricevono il prestito, ad esempio, dalla Banca Centrale europea, realmente lo eroghino fornendo credito alle piccole imprese, alle famiglie, alle comunità locali, in modo che non avvenga quello che è accaduto finora.
* di prendere in considerazione, per motivi di giustizia sociale, possibili misure di tassazione delle transazioni finanziarie. Numerose associazioni cattoliche da tempo si sono fatte promotrici di questo. È noto, poi, che in Europa, hanno aderito al progetto 11 Stati. In Italia, con la legge della stabilità si è pure arrivati a proporre la Tobin Tax. Naturalmente questa tassazione va modulata con misura e saggezza. Va usata soprattutto per scoraggiare la finanza di alta speculazione, di breve termine, in modo da favorire l’altra finanza, la finanza che fornisce credito all’economia reale. Si tratta, in particolare, di varare nuove politiche fiscali. Rispetto alla cosiddetta Tobin tax viene costantemente fatta l’obiezione che essa non può essere efficace se non è introdotta in tutto il mondo. I capitali fuggirebbero. In realtà, i problemi nodali sono ben altri. Il giornale cattolico Avvenire ha fatto, in proposito, un ottimo servizio di spiegazione e di accompagnamento, in particolare sull’impegno, da parte del governo Monti, circa l’introduzione della cosiddetta Tobin Tax. Ha spiegato in maniera semplice che certi luoghi comuni sono falsi. Il mito più radicato – quello che, per produrre vantaggi, occorre che la tassa sia in vigore in tutto il mondo – è smentito dal fatto che una tassa simile è vigente in una quarantina di paesi, senza che sia intercorso un accordo internazionale e senza che vi siano state fughe ingenti di capitali verso i Paesi che non l’hanno adottata. La Gran Bretagna, che si oppone alla Tobin Tax, in realtà realizza al suo interno qualcosa di simile ad essa. La stamp-duty ( ossia un’imposta di bollo e di registro) che vige da anni in tale Paese non ha impedito alla Borsa di Londra di essere, insieme a Wall Street, la principale piazza finanziaria del mondo.
C’è, poi, il falso mito secondo cui tale tassa ricadrebbe sulle spalle dei risparmiatori. In proposito vi è uno studio del Fondo Monetario Internazionale, del 2011, secondo il quale la tassa sarebbe progressiva. L’impatto maggiore sarebbe su chi effettua enormi transazioni in tempi ristrettissimi, cioè sarebbe sulla speculazione «supersonica», e non tanto sui piccoli risparmiatori, sugli investimenti di lungo periodo.
Concludendo, è necessaria la regolazione dei mercati finanziari, perché siano al servizio della realizzazione della pace e del bene comune. C’è bisogno della loro istituzionalizzazione etica, di un intervento regolatore dell’autorità politica. Non basta un intervento regionale. Occorre anche un intervento a livello mondiale. (Tratto dalla viva voce)