Sulle tracce della persecuzione dei cristiani

lilliLa sera del 5 gennaio 2015, durante la Scuola di Pace, abbiamo presentato con il Regista Cesare Bastelli una delle puntate della serie televisiva “I militi ignoti della fede”, firmata Pupi Avati che ormai da più di un anno va in onda sulla Tv2000.
In questa serie si raccontano le grandi figure che hanno pagato col martirio la loro opposizione ma anche e soprattutto i tanti sconosciuti, suore, frati e laici che con lotte e sacrifici hanno consentito alla Chiesa di sopravvivere uscendo vittoriosa da un periodo storico tanto buio. Fu proprio Papa Wojtyla a definire questi uomini: “I militi ignoti della grande causa di Dio”. Per Giovanni Paolo II il martirio non è solo un capitolo di storia antica.
Papa Wojtyla lo considera una realtà contemporanea, che vede intrecciata con la sua esperienza di giovane operaio, quando condivideva i pericoli e le angustie dei suoi compagni di lavoro, e intrecciata anche con la sua esperienza di giovane sacerdote quando si trovava a contatto col sacrificio di tanti uomini e tante donne che per la fede rischiavano di perdere il posto di lavoro, e alcuni anche di subire il carcere o rischiare la condanna a morte. Da qui l’insistenza di Wojtyla nel sollecitare il recupero della “memoria” dei martiri contemporanei.
Come ci ha spiegato Roberto De Mattei, durante il Convegno “The Fall of Communism Conference: 1989-2009 – Lessons learned” Zagabria – del 4 dicembre 2009, tra tutte, la persecuzione più estesa e sistematica è stata quella condotta contro il cristianesimo dal comunismo.
Il Libro nero del comunismo curato da Stéphane Courtois, ha sollevato un velo sui crimini del comunismo. Sul piano giuridico, la posizione del comunismo nei confronti della religione è riassunta dall’art. 124 della Costituzione sovietica del 1936 secondo cui “la libertà di praticare culti religiosi e la libertà di propaganda antireligiosa sono riconosciute a tutti i cittadini”. Religione e antireligione non sono sullo stesso piano. La libertà religiosa è ristretta al culto privato. L’antireligione ha invece il diritto di propaganda e l’appoggio dello Stato.
L’ateismo deve espandersi occupando lo spazio pubblico, mentre la religione deve estinguersi, anche perché il sistema comunista nega la dimensione privata dell’individuo in nome del primato del pubblico e del collettivo.
Tutto ciò che apparteneva alla Chiesa, non solo proprietà e beni economici, ma seminari, scuole, orfanotrofi, ospedali, vennero nazionalizzati. Fu vietato l’insegnamento della religione e l’uso visibile di simboli religiosi, come icone e croci, perfino sulle tombe. Tutte le funzioni religiose e le manifestazioni pubbliche della religione, quali battesimi, matrimoni, funerali, dovevano essere prive di ogni riferimento religioso.
Cattedrali, chiese e cappelle destinate al culto furono trasformate in stalle per animali, in magazzini, in fabbriche, in sale cinematografiche. Si organizzarono “carnevali antireligiosi” nel periodo delle grandi feste liturgiche. Furono prodotti film antireligiosi e creati musei dell’ateismo, spesso nelle chiese.
Sono tante, tantissime le persone perseguitate durante il regime comunista. Sicuramente non era possibile raccontare la storia di ognuno ma qui percorriamo le grandi figure di prelati cattolici che si opposero al comunismo in quegli anni terribili.
Infatti, la prima puntata di questa serie, dal titolo “In nome della libertà: la sfida di don Popieluskzo”, è dedicata al sacerdote polacco che il 19 ottobre 1984, di ritorno da un servizio pastorale, fu rapito e ucciso da tre funzionari della polizia segreta polacca. Il suo corpo fu ritrovato il 30 ottobre nelle acque della Vistola vicino a Włocławek.
Durante il periodo dello “stato di guerra” in Polonia la Chiesa cattolica fu l’unica forza che poteva avere una certa possibilità di critica. Le omelie di don Jerzy Popieluszko venivano regolarmente trasmesse da Radio Free Europe. Per tale ragione venivano considerate “scomode” dal regime comunista polacco. i militi ignoti
Ai funerali, che si svolsero il 3 novembre, parteciparono più di 400.000 persone, compreso il leader di Solidarnosch Lech Walesa. In Ucraina fu la volta dell’Arcivescovo uniate di Leopoli, Joseph Slipyi.
Quando i sovietici gli offrirono di divenire patriarca ortodosso di Mosca, purché rompesse con Roma, egli preferì continuare la sua vita nei gulag dove trascorse 17 anni e poi in esilio. Con lui va ricordato il beato Alessio Zaryckji (1912-1963), di nazionalità ucraina, deportato a Karaganda in Kazakistan, dove morì martire della fede nel 1963. Anche la Jugoslavia ebbe un suo simbolo eroico in Mons. Alòjzije Stepìnac (1898-1960), arcivescovo di Zagabria, arrestato il 18 settembre 1946.
In una delle puntate realizzate in Croazia abbiamo raccontato la sua storia. Era accusato di condiscendenza verso il nazismo, ma il reale movente era la lettera pastorale del 23 settembre 1945, con cui l’episcopato da lui guidato rivelava che 243 membri del clero erano stati uccisi, 169 imprigionati e 89 scomparsi. Sottoposto a processo, fu condannato a sedici anni di lavori forzati, trasferito al carcere di Lepoglava e successivamente al domicilio coatto nel suo villaggio natale di Krašiæ, dove rimase strettamente sorvegliato dalla polizia fino alla morte per avvelenamento nel 1960. Fu beatificato nel 1998 da Giovanni Paolo II.
In Ungheria, l’arresto del Card. Jozsef Mindszenty (1892-1975), il 26 dicembre 1948, manifestò le intenzioni del regime. I comunisti lanciarono contro di lui una campagna di diffamazione analoga a quella lanciata contro Stepinac. A causa della sua eroica opposizione fu torturato per quaranta giorni consecutivi e costretto a firmare documenti di cui non conosceva il contenuto.
Tutti gli ordini religiosi furono dichiarati fuorilegge (1950) e circa diecimila religiosi furono costretti a trovare altri modi di vivere.
Nel 2009 è stato beatificato Mons. Zoltan Meszlenyi (1892-1951), vescovo ausiliario di Esztergom, successore del cardinale Mindszenty, morto in campo di concentramento nel 1951. È il primo beato della dittatura comunista ungherese. Due altri nomi celebri sono quelli del Card. Stéfen Wyszinski (1907-1981) Arcivescovo di Varsavia e Primate di Polonia e del Card. Josef Beran (1888- 1969), Arcivescovo di Praga, in Cecoslovacchia.
Quando il cardinale Beran, arcivescovo di Praga, morì, nel 1969, fu segretamente fatto cardinale Stephan Trochta (1905-1974), che morì, a sua volta, nel 1974 dopo un brutale interrogatorio. Con lui va ricordato il Beato Vasil Hopko (1904- 1970), greco-cattolico, arrestato e torturato, e il Vescovo clandestino, Jan Korec, nato nel 1923, oggi cardinale, animatore della resistenza cattolica in Slovacchia.
In Lituania, “terra delle croci”, dal 1972, la rivista clandestina “Cronaca della Chiesa cattolica in Lituania” ha documentato gli atti di arbitrio e di violenza commessi contro il popolo lituano.
Ancora negli anni Ottanta, in Lituania, i sacerdoti venivano minacciati, picchiati, uccisi, come p. Bronius Laurinavicius (1913-1981) e p. Juozas Zdebskis (1929-1986). In Albania, preti e laici furono uccisi a migliaia dai comunisti di Enver Hoxha, passato negli anni Sessanta, dal comunismo filo-sovietico a quello cinese. I gerarchi del Partito comunista si compiacevano ad affermare che l’Albania fosse divenuta “il primo Stato ateo del mondo”, come si legge nella costituzione approvata nel 1976. Tra le figure di spicco della resistenza va ricordato p. Mikel Koliqui (1902- 1997), creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 1994. Era stato condannato ai lavori forzati nel 1945, con l’accusa di ascoltare le radio straniere.
In Bulgaria, paese a larga maggioranza grecoortodosso, la Chiesa ortodossa bulgara divenne nel 1950, un organismo pubblico, al servizio dello Stato. P. Eugenio Bossilkov (1900-1952), oggi Beato, fu arrestato, torturato, condannato a morte e gettato in una fossa comune nel 1952.
In Romania, le chiese, le scuole, gli ospedali cattolici vennero chiusi o trasferiti agli ortodossi. Mons. Iuliu Hossu (1885-1970), nominato cardinale in pectore da Paolo VI, rifiutò di rinnegare la propria fede e morì in prigione, come il servo di Dio Anton Durcovici (1888-1951), vescovo di Iasi. In Moldavia, i Vescovi Aron Marton (1896-1980) di Alba Iulia e il p. Alexandru Todea (1912-2002), poi cardinale passarono la loro vita in prigione e agli arresti.
Vladimir Ghika (1873-1954), morto in un carcere comunista, in seguito alle torture della Securitate e quello del francescano padre Clemente Gatti (1880-1952), anch’egli morto in seguito ai maltrattamenti ricevuti in carcere. In Romania vi fu qualcosa peggio di Auschwitz. Nessun lager o gulag eguagliò il carcere di Pitesti, a nord di Bucarest, tra il 1949 e il 1952, vero e proprio teatro degli orrori, dove il carceriere Eugen Turcanu aveva inventato i supplizi più efferati, per rieducare i prigionieri attraverso la tortura fisica e psichica, praticata a vicenda tra i detenuti politici.
Ai seminaristi veniva infilata ogni giorno la testa in un secchio pieno di urina e di escrementi, mentre le guardie inscenavano una parodia del rito battesimale: Turcanu obbligava i seminaristi a partecipare a messe nere, che lui stesso organizzava, specialmente durante la settimana santa e il venerdì santo.
In Bosnia ed Erzegovina, i partigiani di Tito, nel 1945, in due giorni uccisero 66 frati francescani.
La causa di beatificazione è in corso.
La Jugoslavia è stata sempre vista come un paese molto aperto e molto più tollerante rispetto agli altri paesi del blocco sovietico. Tito all’estero suscitava simpatia e il fatto che la Jugoslavia fosse l’unico paese comunista est europeo ad avere i rapporti diplomatici con la Santa Sede, faceva pensare che la libertà di confessare la fede fosse molto più presente rispetto agli altri paesi con il regime comunista. Nel periodo durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra la chiesa cattolica ha dovuto pagare un prezzo altissimo.
La vita delle persone per tutta l’esistenza del regime titoista era condizionata in tutto e per tutto. Il territorio croato è tutt’oggi pieno di fosse comuni nascoste, di tanti militi ignoti della fede e il numero delle vittime probabilmente rimarrà soltanto una stima approssimativa .
milit ign 3La caduta del muro di Berlino portò con sé la fine dei regimi comunisti e, mentre gli altri paesi dell’est europeo iniziarono in piena libertà a manifestare il credo religioso, nei paesi dell’ex Jugoslavia scoppiò l’ultima guerra che aprì una nuova grande pagina triste della storia e fece crescere non di poco il numero delle vittime. Il processo di metabolizzare tutto il male fatto nel quasi intero XX secolo non ebbe mai inizio.
Una delle tre puntate inedite che abbiamo visto, legate alla storia croata realizzate quest’estate ha presentato due isole, soprannominate Isole del sacrificio. La prima è Daksa, un’isola a forma di boomerang, poche centinaia di metri di distanza dal porto di Dubrovnik, dove ogni anno, soprattutto d’estate, passano milioni di turisti di tutto il mondo. Un isolotto privato, oggi in vendita (attualmente il prezzo stimato è di 2.5 milioni di euro).
I croati lo chiamano “Isola maledetta”. Ma probabilmente una volta trovato l’acquirente acquisterà anche un diverso soprannome. A Daksa nel 1944 i partigiani di Tito appena “liberata” Dubrovnik, presero i 53 cittadini e senza alcun processo (e nessuna colpa) li fucilarono. E mai nessuno osò parlare di questa storia per mezzo secolo della dittatura comunista.
Un’altra isola è il carcere Goli Otok (isola calva) dove dal 1948 Tito chiudeva gli oppositori politici del regime comunista jugoslavo . Il suo nome deriva dalla pressochè totale assenza di vegetazione che la caratterizza. Una delle crudeltà di questo carcere era che gli stessi detenuti dovevano punire, anche fisicamente, altri detenuti.
A Goli Otok ci ha portato uno degli ultimi perseguitati politici croati. Sebbene siano passati ormai diversi decenni dalla caduta del muro di Berlino, girando per i nostri documentari ci siamo accorti che ancor oggi c’è tanto timore, a volte la paura di raccontare le esperienze tragiche vissute.
Una profonda riflessione l’abbiamo trovata durante l’ultima omelia del 2014, nel Te Deum in San Pietro, quando papa Francesco ha citato Benigni: “Diceva qualche giorno fa un grande artista italiano che per il Signore fu più facile togliere gli israeliti dall’Egitto che togliere l’Egitto dal cuore degli israeliti”.

A cura di Ljiljana Dzalto, giornalista