Dalla relazione del Dott. Augusto Magliocchetti

1. LA SETTIMANA SOCIALE IN PILLOLE
img147 (1)Il documento delle Settimane Sociali (Instrumentum Laboris di seguito IL) recupera i temi della tradizione del cattolicesimo sociale e intende ispirarsi al magistero di Papa Francesco, da cui ha assunto il titolo, che riprende una frase dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium : «Nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita» (n. 192). Il lavoro è presentato come «un’esperienza umana fondamentale che coinvolge integralmente la persona e la comunità. Esso dice prima di tutto quanto amore c’è nel mondo: si lavora per vivere con dignità, per dar vita a una famiglia e far crescere i figli, per contribuire allo sviluppo della propria comunità. Il lavoro umano è un’esperienza dove coesistono realizzazione di sé e fatica, contratto e dono, individualità e collettività, ferialità e festa. Esso richiede passione, creatività, vitalità, energia, senso di responsabilità, perché nelle imprese, nelle botteghe, negli studi professionali, negli uffici pubblici, la differenza, alla fine, la fanno le persone» (n. 1).
Il centro focale della riflessione che la Settimana ha voluto stimolare è il rapporto fra lavoro e dignità della persona. Si tratta di una relazione così stretta e necessaria che la mancanza di lavoro produce alla lunga un’inevitabile ferita alla dignità personale, mentre nel lavoro la persona esprime se stessa, affermando la sua più profonda identità e costruendo legami vitali, necessari alla vita dell’individuo e alla realizzazione del bene comune.
Da questa rilevanza che per tutti ha il lavoro conseguono alcune sfide che toccano da vicino l’attualità politica e sociale del Paese: fra di esse quelle del lavoro giovanile e della disoccupazione, della salubrità delle condizioni in cui si lavora e della sostenibilità sociale e ambientale di esse.
La domanda che caratterizza ed unisce l’intero sforzo preparatorio è quella di come creare per tutti un lavoro che sia rispettoso della dignità personale e contribuisca al bene comune: la risposta che si individua è che la riflessione deve toccare due livelli. Il primo è quello dell’impresa: «Il lavoro lo crea l’impresa, nella misura in cui risponde in modo adeguato al suo specifico dovere di solidarietà. L’efficienza, rispettosa dei princìpi di sostenibilità sociale e ambientale, oltre a costituire il motore di una azienda ben organizzata e a fruttare dunque profitto, diventa allo stesso tempo un criterio di giustizia sociale».
L’altra via da mettere al centro dell’attenzione è quella dell’educazione: «Promuovere una cultura d’impresa – afferma il testo preparatorio – significa investire sulla capacità di essere protagonisti della propria vita. Per far ciò, crediamo sia necessario sostenere la “creatività” dei giovani: la virtù dell’iniziativa che sgorga dalla soggettività creativa della persona umana, ossia l’inclinazione a cogliere ciò che altri non riescono ancora a vedere. In secondo luogo, educare alla “solidarietà”, ossia al “senso della comunità”, in considerazione del fatto che il lavoro è lavoro con gli altri e lavoro per gli altri. In terzo luogo, educare al “realismo”, cioè alla fatica e ai tempi lunghi necessari per vincere la sfida della creazione del lavoro attraverso l’impresa».

2. PREMESSA Il lavoro è un osservatorio privilegiato della condizione umana e anche un argomento centrale della Dottrina Sociale della Chiesa (di seguito DSC) che si è andata formando storicamente intorno alla “questione sociale”, provocata dall’industrializzazione. Riflettere sul lavoro ci consente di dare un senso all’operare umano e contemporaneamente alle sue connessioni con gli aspetti problematici della società e della politica.
E’ ormai certo, specie dopo il Vaticano II, che l’impegno sociale del laicato cristiano appartenga alla sua vocazione come uomo e come credente. In risposta ad un’anomala enfatizzazione sui valori credo sia necessario riscoprire il significato delle virtù. Se chiediamo al credente una coerenza di vita di fede dobbiamo anche sottolineare che tale afflato non può che condurlo ad una maggiore coerenza nei confronti della responsabilità che egli ha come uomo, cittadino e soggetto politico. img149 (1)
Nell’operare nel mondo il cristiano si troverà di fronte a problemi sempre nuovi per i quali la sua coscienza richiederà una risposta. Ricordiamoci che Cristo ci ha liberati dalla legge nel senso che ha affidato al criterio di discernimento individuale e comunitario lo sforzo maggiore di lettura della storia e dei principi di carità ed amore che sono a fondamento della fede del credente. Ma nell’affrontare questi problemi il cristiano non è una monade, perché si troverà accanto altri uomini che egli deve comprendere (il Vangelo usa il termine amare) e con i quali deve essere pronto a dialogare e collaborare avendo sì coscienza dell’importanza dei valori, ma anche dell’assoluta necessità di renderli operativi nei contesti sociali in cui opera..
Vedremo come il lavoro è uno degli ambiti dove maggiore è l’esercizio di una collaborazione.

3. IL LAVORO È UN MEZZO O UN VALORE?
Il lavoro, insieme agli affetti ed ai tempi di socializzazione, rappresenta una parte importante della vita di tutti e di ciascuno. Esso occupa il nostro tempo ma insieme assorbe energie e fatiche ed è fonte di soddisfazioni, di delusione, di frustrazioni. Sia l’individuo sia la società attribuiscono al lavoro un valore culturale.
La dottrina sociologica parla di significato del lavoro quando si riferisce al singolo e di cultura del lavoro quando il referente è la società. Proviamo ed esplicitare meglio cosa si intende con il termine cultura del lavoro. La concettualizzazione di lavoro non può che cambiare in relazione al tipo di società, alla sua struttura economica, allo sviluppo tecnologico ed alla forma politica che quella determinata società si è data.
Questi elementi influenzano il significato che ogni uomo attribuisce al lavoro nell’ambito della propria vita seppure il significato del lavoro non sia così omogeneo come la cultura del lavoro per via della dimensione soggettiva che lo caratterizza.
Normalmente sono due le modalità con cui approcciamo la relazione dell’uomo con il lavoro.
Si lavora per vivere, cioè per ottenere i mezzi che sono necessari alla vita umana. In questo senso lavorare è una attività spesso problematica perché ci costringe ad accettare forme di lavoro che non riteniamo gratificanti, vuoi per le modalità con cui questo lavoro si esplicita, vuoi per il rapporto di esso rispetto all’entità della retribuzione. (in inglese compensation).
Ma se il lavoro che non ci piace è percepito come mortificazione, ciò vuol dire che l’aspetto economico non esaurisce il valore del lavoro ma che dallo stesso ci aspettiamo anche un mezzo attraverso il quale la nostra umanità si senta realizzata; e il sentirci utili alla società e agli altri contribuisce a dare senso alla nostra esistenza.
Non appare illogico aspettarsi che una civiltà del lavoro possa tener conto di entrambi gli aspetti e far crescere insieme il benessere fisico e quello motivazionale del lavoratore. Tenere insieme questi due aspetti è difficile e richiede una concezione del lavoro che poggi sull’uomo piuttosto che su fattori meccanicistici siano essi meramente economici piuttosto che ideologici o sociali. E quello che l’I.L. raccomanda al punto 2.6 dando al capitolo il titolo: mai senza volti per ricordarci che “alla base dell’impegno ci debbono essere, come antidoto ad ogni ricetta tecnocratica, i volti delle donne e degli uomini che lavorano”. Ma con la stessa onestà, perché il nostro ragionare sia incarnato in una realtà storica, non dobbiamo dimenticare i fattori esterni all’uomo stesso, le esigenze cioè della produzione, dello sviluppo della tecnica, delle attese del consumatore/ cliente, dei meccanismi di mercato.

4. I CONTENUTI DEL LAVORO Ogni lavoro si giudica in base alla sua fecondità; se non è produttivo non realizza la sua finalità, ma è mero esercizio hobbistico. Si lavora perché qualcosa prenda forma e si costituisca come un bene o un servizio pronto a soddisfare i bisogni dell’uomo.
img151Dire lavoro significa dire attività imprenditoriale, che produce comunque ricchezza, da cui scaturisce lavoro. Al n. 2.8 dell’I.L ci viene ricordato che è buon imprenditore, o artigiano, o professionista colui che si prende cura della propria organizzazione; il suo compito non può esaurirsi nella creazione di “occasioni di lavoro” ma deve tradursi in reddito che permetta a chi ne beneficia di utilizzarlo per una ricerca di qualità della vita. Giovanni Paolo II sottolineava il valore della moderna “economia d’impresa“ riconoscendole la natura etica e religiosa e inquadrandola all’interno di un moderno sistema di regole (Centesimus Annus n. 42).

La raffigurazione biblica del lavoro come fatica fisica (il sudore della fronte) è poeticamente bella, ma incarna ancora il paradigma della trasformazione della materia esterna. Oggi il lavoro manuale diventa sempre più marginale e perfino in questo ambito, dalla rivoluzione industriale in avanti, tra le mani dell’uomo ed il prodotto del suo lavoro si è inserita la tecnologia delle macchine. Ma c’è perfino un altro fattore che caratterizza l’oggi dell’homo faber; quello cioè che si è passati da una società industriale ad una post industriale nella quale l’attività di servizio, organizzazione, progettazione ed utilizzo di risorse immateriali ha preso il sopravvento. Oggi l’utilità sociale del lavoro appartiene a soggetti che nella visione ideologica marxista non producono alcun plus-valore.
Gli obiettivi del lavoro tendono ad espandersi e a concretizzarsi in servizi che rendono possibile la soddisfazione di bisogni anche elevati. Ma proprio perché questi “proto-tipi” di lavoro non consentono di cogliere i suoi frutti materiali ma richiedono una nuova coscienza, non è più sufficiente espletare bene il proprio compito (efficacia) ma è richiesto ai lavoratori di maturare la partecipazione consapevole ai processi in cui sono coinvolti. Credo sia questo la corretta modalità di interpretare la raccomandazione di Papa Francesco contenuta al n. 192 dell’Evangelii Gaudium “nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale l’essere umano esprime ed accresce la dignità della propria vita”.
Spetta al laico (nelle sue responsabilità di operatore in un contesto storico) dare corpo e senso a questo richiamo. Prendiamo ad esempio il concetto di creatività che non può essere letto come riferito all’inventività che in questo senso sarebbe precluso alla maggior parte di chi lavora. Essere creativi nel lavoro, cogliendo il senso profondo della parabola dei talenti, significa dare valore alle doti personali, alle attitudini, allo sforzo del cambiamento, dello studio e dell’applicazione. Per dirla con Luigi Enaudi “noi abbiamo la febbre del lavoro perché per noi il lavoro non è solo fatica ma gioia e vita”.

5. IL LAVORO E LA DIMENSIONE POLITICA
La costante evoluzione del lavoro nella società contemporanea accresce enormemente i rapporti di esso con la politica.
Non è solo il dettato costituzionale a rendere ineludibile per la politica l’argomento lavoro ma la stessa necessità di contribuire a creare una società di dimensione umana rende indispensabile che gli attori politici favoriscano la creazione delle condizioni per mezzo delle quali il cittadino, attraverso il lavoro, contribuisca alla crescita della civitas.
Ogni politica del lavoro deve confrontarsi con due esigenze diverse spesso in conflitto tra di loro.
Da una parte si confronta la crescita della qualità del lavoro, che si concretizza da una parte in dimensioni normative (tutela giuridica e sociale, organizzazione del lavoro, tempo del lavoro e tempo libero) ed economica, dall’altra in aspetti quantitativi (creazione dei posti di lavoro, minimizzazione della disoccupazione, quadro economico labour frendly ).
Ad esempio, assicurare un reddito di cittadinanza può apparentemente calmare la rivolta sociale, ma posti di lavoro inutili non solo drenano risorse economiche rilevanti, ma producono un senso di frustrazione ed enfatizzano la percezione di inutilità sociale (tralascio gli aspetti psicologici di una società di rentier che è l’esatto contrario del dettato costituzionale).
Una politica del lavoro dovrebbe invece privilegiare il miglioramento dell’habitat economico al fine di trovare gli spazi per posti di lavoro che rispondano alle reali esigenze della vita sociale, nei confronti della quale il soggetto che lavora apporta ricchezza invece di sottrarla.
In aggiunta, una politica del lavoro non può produrre risultati confliggenti con una crescita della cultura sociale. Nei paesi evoluti le organizzazioni sono chiamate a perseguire finalità non solo meramente economiche, come il profitto e l’interesse in quanto questi vanno armonizzati con variabili diverse, quali il rispetto dell’ambiente, l’utilizzo delle risorse naturali, il rispetto delle generazioni future, i flussi migratori. A questo si aggiunga che i processi economici non si limitano a generare solo prodotti fisici ma tendono ad incorporare, sempre di più, saperi, informazioni e servizi. Questo se da un lato arricchisce la fecondità del lavoro, aprendola alla dimensione morale, sociale e politica, dall’altro richiede un più elevato grado di comunicazione e di cooperazione.
Il lavoro stesso è un linguaggio di comunicazione tra gli uomini. Se il lavoro impedisse la comunicazione e fosse d’ostacolo al processo politico dell’eguaglianza e della libertà, allora la società politica ne soffrirebbe fino al punto di restare gravemente compromessa. Nella misura in cui l’organizzazione del lavoro si va facendo sempre più complessa e richiede una cooperazione sempre più vasta, il lavoro assume una sempre più grande importanza per il bene comune ed il pieno sviluppo della vita politica. Come si può pensare che uomini che non sanno lavorare insieme possano vivere insieme nella città politica? Come si può pensare che lavoratori privi del senso di servizio nei confronti dei colleghi possano poi essere cittadini attenti al bene comune?
La dimensione dell’integrazione esclude un’identificazione dell’uomo come lavoratore totalmente astratta dall’uomo soggetto sociale, perché una vita umana piena e fiorente presuppone uno sforzo di armonizzazione del cittadino sia come lavoratore, che come consumatore e soggetto politico.