“Grande Papa, coraggioso cristiano, instancabile apostolo”. Con queste tre espressioni Papa Francesco ha tratteggiato il ritratto di Paolo VI nell’omelia della Messa di beatificazione celebrata domenica 19 ottobre, a conclusione del Sinodo straordinario sulla famiglia. “Nei confronti di questo grande Papa, – le parole del Santo Padre – davanti a Dio oggi non possiamo che dire una parola tanto semplice quanto sincera e importante: Grazie! Grazie nostro caro e amato Papa Paolo VI! Grazie per la tua umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa!”. “Il grande timoniere del Concilio”, ha detto il Papa, “ha saputo condurre con saggezza lungimirante il timone della barca di Pietro senza perdere mai la gioia e la fiducia nel Signore”.
Paolo VI “ha saputo davvero dare a Dio quello che è di Dio dedicando tutta la propria vita” a quello che lui definiva un “impegno sacro, solenne e gravissimo: continuare nel tempo a dilatare sulla terra la missione di Cristo”. Tutto ciò, “amando la Chiesa e guidando la Chiesa perché fosse”, come scriveva nella sua prima enciclica, l’Ecclesia suam, “madre amorevole di tutti gli uomini e dispensatrice di salvezza”.

paoloVIPaolo VI è beato. La sua proclamazione arriva senza forzature e senza fretta: una beatificazione meditata. Un po’ di stile montiniano, insomma: si arriva al punto ma con misura. Si tiene il punto ma senza clamore.
Avvenne così anche per il Concilio Vaticano II. Anzitutto non lo chiuse anticipatamente, come volevano le correnti più tradizionaliste, ma lo portò a termine dando continuità all’intuizione del suo predecessore. E poi lo tradusse in documenti e poi lo sostenne di fronte alle critiche che arrivavano da ogni dove. Perché la crisi della Chiesa non dipendeva certo dal Concilio, ma c’era chi (e ancora oggi c’è chi) criticava il Concilio fondando le proprie argomentazioni sulla riduzione dei fedeli, delle vocazioni, delle messe e dei matrimoni. E qui ci volle quel coraggio montiniano di resistere senza far la guerra a nessuno, sapendo tenere la posizione con saggezza e intelligenza. E senza cercare di mediare: pur con i tempi, i movimenti lenti e le parole miti che apparterrebbero più alla pratica della mediazione o del compromesso.
In realtà la vera mediazione Montini la ricercò col mondo, con la sua cultura: scambiare una parola, un dialogo, imbastire una conversazione nella giusta convinzione che con la modernità si deve ragionare, sia per evangelizzare la cultura sia per purificare la ragione, non per calare dogmi che appesantiscono solo le spalle dei fedeli. In realtà la vera mediazione Montini la cercò con la storia, nella convinzione che il Vangelo illumina le strade della vita di ogni persona e di ogni Paese: Cristo è il centro e la guida della storia. Stare nella storia significa stare nel mondo con Gesù, comprendere il linguaggio dell’incarnazione, il Verbo che si fa carne, materia. La storia non è nemica di Dio. Non si tratta di compiacere al mondo (ad un certo mondo, soprattutto), ma di fondare le proprie ragioni, le proprie istituzioni e la propria pastorale partendo dal mondo.
Il mondo, insomma, non è quel luogo cattivo per definizione: anzi, il fedele si rapporta ad esso con simpatia. Il papato di Francesco sembra recuperare – con toni più moderni – questa simpatia e apertura al mondo.
Senza paura. La parola misericordia, spesso citata dall’attuale papa, dice molto di una chiesa cattolica che vuole essere più madre che maestra. Questo papa sta recuperando il pensiero montiniano con rapidità e con decisione. paolo VI 2
Il papato di Francesco sembra ispirarsi a questo grande papa bresciano, che non si limita a denunciare i mali del mondo, perché sa che il realismo cristiano chiede di capire le cause senza nascondersi, di proporre e intervenire e perciò di dare speranza. Per questo la Populorum progressio rappresenta bene il “punto montinano”, il suo stile e il suo modo di stare nel mondo senza essere del mondo.
Recuperare Paolo VI, oggi, significa esattamente recuperare il rapporto col mondo. Significa uscire dalla propria terra fatta di certezze e di linguaggi interni per affrontare il viaggio che ci porta tra le periferie del mondo, dove manca la speranza.

Roberto Rossini – BeneComune.net