Implicanze pastorali, pedagogiche e progettuali  dell’impegno sociale e politico

Relazione di Mons. Mario Toso* in apertura del Convegno “Custodire l’umano. Il bene della famiglia”
Bellamonte, 27-29 agosto

1. PREMESSA
TosoPresentare l’Evangelii Gaudium non è esulare dal tema generale che avete scelto per il Seminario di questi giorni. Si è in perfetta continuità. Anzi, il tema conduttore del Seminario si inserisce benissimo nel contesto più ampio offerto dall’Evangelii Gaudium (=EG). L’Esortazione insegna, infatti, a coltivare: il bene della famiglia umana, il bene che sono i poveri, la società, la pace, il dialogo sociale, l’ambiente. I beni elencati sono «luoghi» in cui si deve realizzare l’umano in pienezza, secondo quella pienezza di vita che è venuto a portare Gesù Cristo incarnandosi. La presentazione dell’EG non è, dunque, qualcosa di estemporaneo. Consente di inserire la tematica della famiglia in un contesto più vasto, che è quello dell’evangelizzazione compiuta dalla Chiesa, e che ha come obiettivo la liberazione e la promozione umana, di tutto l’umano.
Fatta questa premessa, una piccola osservazione: leggendo l’EG, che possiamo definire una specie di programma pastorale di papa Francesco, notiamo che c’è un capitolo, il quarto, che parla di dimensione sociale dell’evangelizzazione. Noi ci fermeremo soprattutto su questo quarto capitolo.
Potremmo subito chiederci “come mai questo capitolo”, che evidenzia l’urgenza della dimensione sociale dell’evangelizzazione? Perché nella sua Esortazione apostolica papa Francesco inserisce questo capitolo?Uno potrebbe dire che qui il Papa esula da quello che è il grande discorso dell’evangelizzazione.
Niente affatto. Il papa sottolineando la dimensione sociale dell’evangelizzazione vuole proprio approfondire il discorso su di essa e vuole dire che tante volte l’evangelizzazione che noi facciamo ne dimentica la parte relativa al sociale, inteso in senso ampio, che comprende la politica, la famiglia umana, la famiglia domestica, le relazioni tra i popoli, il diritto internazionale.
Già da quanto detto si comprende perché papa Francesco ha inserito un capitolo sulla dimensione sociale della fede e dell’evangelizzazione. Non perché vuole andare fuori tema ma perché vuole proprio approfondirlo e offrirne una visione più completa, meno riduttiva di quella che di solito, noi e le nostre comunità, diamo e offriamo, ad esempio facendo la catechesi ma non inserendo in essa gli aspetti sociali della vita dell’uomo.
Dunque: come mai questa urgenza per papa Francesco? Perché è così importante la dimensione sociale? Risponde il Papa stesso al numero 176. Perché se questa dimensione non viene debitamente esplicitata e vissuta si corre il rischio di sfigurare la missione evangelizzatrice della Chiesa. Sono parole forti. Detto altrimenti: chi non si cura dell’evangelizzazione del sociale, della vita sociale, rischia di ridurre la missione evangelizzatrice della Chiesa.
Chi non porta il Vangelo nell’economia, nella politica, nelle relazioni fra gli Stati, nella finanza, nell’impresa, nella famiglia; chi non porta in queste realtà la vita di Cristo, rischia di ridimensionare arbitrariamente la missione evangelizzatrice della Chiesa, cioè rischia di non realizzarla.
La vita nuova di Cristo va portata ovunque, va vissuta ovunque, dove si è, dove si vive, come singoli, come gruppi, come comunità, come famiglia, come organizzazione, come movimento. Allora, non deve avvenire che noi ci dimentichiamo della dimensione sociale della nostra fede e dell’evangelizzazione.
Papa Francesco ne offre un’altra ragione: perché il kerigma, il primo annuncio, l’annuncio essenziale della salvezza, possiede un contenuto che è inevitabilmente sociale. Nel cuore del Vangelo, dice il Papa, vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri, per gli altri (cf EG n. 177). Nel cuore del Vangelo c’è l’impegno per la giustizia. Ciò è richiesto dal realismo dell’incarnazione. Cosa vuol dire «realismo» dell’incarnazione? Vuol dire che Gesù Cristo si è realmente incarnato, non è rimasto al di fuori dell’esistenza dei singoli, al di fuori della storia e delle società. Non è venuto sulla terra solo per visitarla, rimanendone estraneo. Si è realmente incarnato, e cioè si è calato dentro l’umanità, ha assunto ognuno di noi.
Sicché noi viviamo in Lui, siamo in Lui, ci muoviamo in Lui. San Paolo arriva a dire che per noi vivere è Cristo. Ecco, il realismo dell’incarnazione. È vivendo in ciascun uomo, in ciascuna donna, che Gesù Cristo stesso può dire: se voi non mi amate, non mi riconoscete nei più piccoli, non mi avete realmente amato, non mi avete riconosciuto. Alla fine della nostra vita saremo giudicati sul fatto se saremo stati capaci di riconoscerlo presente nei piccoli, negli ultimi, soprattutto nei più poveri, in tutte le persone: in mio padre, in mia madre, in mio fratello, in mia sorella, nell’immigrato, nel prigioniero, nell’imprigionato, nel carcerato, insomma in tutti. Qualche volta si sorride sul fatto che i cristiani insistono molto sulla fraternità, ma la fraternità deriva da questo, dal fatto che in tutti c’è Gesù Cristo, tutti siamo figli– nel Figlio – dello stesso Padre, di un unico Padre.

2. EG: UNA NUOVA TAPPA PER L’EVANGELIZZAZIONE DEL SOCIALE
Muovendo dal realismo dell’incarnazione e della fraternità, dall’urgenza dell’opzione preferenziale per gli ultimi, la EG viene a proporre il progetto dell’inclusione sociale dei poveri, la prospettiva di una nuova tappa dell’evangelizzazione del sociale. Poiché c’è la dimensione sociale della fede e dell’evangelizzazione, la Chiesa non può dimenticare che occorre sviluppare la evangelizzazione del sociale e una pastorale conseguente, la pastorale sociale. La Chiesa oggi, poiché si trova a vivere in condizioni mai verificatisi prima, deve mettere in campo una «nuova» evangelizzazione del sociale e, per conseguenza, è chiamata ad una conversione pastorale e missionaria. Ecco cosa comporta, dal punto di vista degli impegni abituali: se, ad esempio, nelle nostre comunità parrocchiali la catechesi si è fatta senza pensare alla dimensione sociale della evangelizzazione, occorre una conversione pastorale: bisogna cambiare modo di farla, modo di educare alla fede.
A questo proposito, segnalo l’uscita degli Orientamenti “Incontriamo Gesù”, per l’annuncio e la catechesi in Italia, dopo che è stata promulgata l’EG. Chi fa catechismo dovrebbe conoscerli. Leggendoli, la cosa che può amareggiare è che in essi non si trova né accennato né sviluppato un discorso sulla catechesi sociale e nemmeno un riferimento all’evangelizzazione del sociale. La domanda che sorge spontanea: come mai gli Orientamenti per la catechesi in Italia dimenticano il quarto capitolo dell’EG? Forse – si può rispondere – sono stati preparati prima dell’uscita dell’EG. E, comunque, è certo che essi vanno integrati. Occorre colmare la lacuna, altrimenti si corre il pericolo che Papa Francesco desidera che sia evitato, quello di sfigurare la missione evangelizzatrice della Chiesa e la conseguente opera educatrice e di testimonianza.
Come si può vedere nell’indice, l’EG, nel IV capitolo si concentra su due grandi aree dell’evangelizzazione del sociale. Il Papa in proposito dice: vi parlo della dimensione sociale dell’evangelizzazione con riferimento a due grossi problemi di oggi. Questo non significa dimenticare gli altri problemi che rientrano nell’evangelizzazione del sociale.
Per gli altri problemi rifatevi al Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa, che non è nient’altro che la sintesi aggiornata di tutto l’insegnamento sociale della Chiesa, dei pontefici, da Leone XIII, e anche prima, ad oggi. Per ora, evidenzio per l’evangelizzazione del sociale solo due aree urgenti: l’inclusione sociale dei poveri – prima area – e poi il bene comune e la pace sociale, con il connesso dialogo – seconda area.

3. L’EVANGELIZZAZIONE DEL SOCIALE È ESPRESSIONE DALL’INCONTRO PERSONALE E COMUNITARIO CON GESÙ CRISTO
Prima di procedere ad illustrare le due priorità presentate da papa Francesco per l’evangelizzazione del sociale odierna, preme sottolineare che, per l’EG,testo tosol’evangelizzazione del sociale è espressione dell’incontro personale e comunitario con Gesù Cristo, redentore e salvatore di tutto l’uomo e di ogni uomo, e quindi anche delle relazioni sociali, delle società, dei popoli. Occorre sottolinearlo, perché, se non è ben chiaro ciò, si rischia di non comprendere e di non dare la giusta importanza all’insegnamento sociale che propone papa Francesco.
Detto in parole semplici: ci si sente convinti dell’importanza dell’evangelizzazione del sociale dopo che ci si è incontrati con Gesù Cristo, dopo che ci si è innamorati di Lui. Questo non va mai dimenticato. Se non sono innamorato di Gesù Cristo, della salvezza integrale che egli realizza, l’evangelizzazione del sociale non mi importa più di tanto. Detto in altre parole ancora: per essere protagonista convinto e responsabile dell’evangelizzazione del sociale è pregiudiziale che io sia innamorato di Gesù Cristo, che io mi incontri costantemente con Gesù Cristo. La nuova evangelizzazione, anche quella del sociale, parte proprio da un rinnovato incontro con Gesù Cristo.
Al centro di una nuova evangelizzazione del sociale sta, dunque, il rinnovato incontro con Gesù Cristo. Se non si parte di qui è difficile capire il perché ci deve essere anche un’evangelizzazione del sociale. Perché è centrale questo rinnovato incontro con Gesù Cristo?
Perché, altrimenti, non segue una conversione in ambito della catechesi e della pastorale, non si pensa in maniera diversa a Gesù Cristo. Se prima lo pensavo come uno che redimeva solo la mia vita interiore, devo pensare che Egli redime anche le mie relazioni con gli altri, la mia attività professionale, le istituzioni, la famiglia. È decisivo questo punto originario: se io non sono innamorato di Gesù Cristo, come Colui che fa nuove tutte le cose, quelle della terra e quelle del cielo, non sono neanche convinto che lui venga per ricapitolare in sé tutto e renderci partecipi della sua pienezza, del suo amore trasfigurante.
Tutto nell’impegno di evangelizzazione e di testimonianza deve essere visto a partire da questo nucleo centrale: Gesù Cristo non è solo colui che mi consola, che redime solo il mio spirito ma è Colui che redime tutto me stesso, anche la mia corporeità, le mie relazioni con gli altri, le società, i popoli. Questo cosa comporta?
Che il disegno di salvezza deve essere visto come un disegno che consiste nel fare nuove tutte le cose vivendo uniti in Gesù Cristo, vivendo la nostra vocazione nel sociale. Noi, in quanto battezzati, siamo uniti a Gesù Cristo, ricapitolatore e rinnovatore di tutte le cose. Vivendo uniti a Lui, sono chiamati a far nuovi i cieli e la terra, a rinnovare il mondo, a renderlo migliore.
In quanto battezzati, e inseriti in Cristo che redime tutto, abbiamo una vocazione a redimere e a migliorare il mondo, a renderlo uno spazio di fraternità, di giustizia, dove si possa vivere tutti secondo dignità.
Per quanto detto, non possiamo affermare: mi disinteresso della politica, di come vanno le cose nel mondo. No, non posso, perché possiedo una vocazione al sociale e, se pure io non vivo in Parlamento perché non sono stato eletto per servire, vivo comunque le mie attività tenendo conto di quello che fa il Parlamento, cercando di influire attraverso i miei rappresentanti sulla sua azione, su ciò che avviene nella Comunità Europea, su ciò che avviene all’Onu.

4. SOGGETTO DELLA EVANGELIZZAZIONE DEL SOCIALE È LA COMUNITÀ ECCLESIALE CON TUTTE LE SUE COMPONENTI
tavUn’altra affermazione centrale, in vista dell’evangelizzazione del sociale a cui ci sollecita papa Francesco, desumibile da una lettura attenta della EG è la seguente: il soggetto dell’evangelizzazione del sociale è la comunità ecclesiale per intero, ossia la comunità con tutte le sue componenti.
L’incaricato dell’evangelizzazione del sociale, dunque, non è solo il sacerdote che ha ricevuto dal vescovo il compito di seguire l’ufficio della pastorale sociale. Niente affatto. Tutti i battezzati, in quanto hanno la vocazione al sociale, sono soggetti di evangelizzazione del sociale e di questo ne devono prendere coscienza. Se non ne abbiamo preso coscienza fino adesso dobbiamo convertirci, dobbiamo cambiare mentalità.
Sono responsabili tutti i componenti della comunità, tutti, tutti i battezzati, tutti i soggetti singoli, quindi ogni singolo credente, ma anche tutti i soggetti collettivi: la famiglia, che è chiesa domestica, le organizzazioni ecclesiali di ispirazione cristiana, i movimenti, le organizzazioni cattoliche sono tutti soggetti all’interno del grande soggetto che è la comunità ecclesiale. Tutti sono soggetti e protagonisti dell’evangelizzazione del sociale. Questa va vissuta come un compito comune, nella comunione e nella diversità dei ministeri.
A proposito di questo, e cioè delle diverse competenze, sono interessanti alcune affermazioni che fa papa Francesco. Esse aiutano a sciogliere alcuni nodi o corto circuiti che si creano anche nelle teste dei nostri laici più volonterosi, i quali talvolta dicono: caro prete, caro Vescovo tu non devi interessarti di economia e di finanza o di politica, me ne interesso io, tu interessati delle cose di Dio e basta, non parlare perché se no fai il «politicante».
Beh, a proposito di questo leggiamo le parole di Papa Francesco, al n. 184: “Tutti i cristiani, e anche i pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore”. Tutti, dunque, compresi i sacerdoti, i vescovi, le suore di clausura. Al numero 182 si legge: “I pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni” – quindi di parlare, il diritto.. oltre che il dovere, altro che state zitti… – “hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano.
Non si può affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato, alle sacrestie, e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna…” .
Dunque, i Vescovi devono parlare di economia, finanza e politica. Certo, devono farlo dal punto di vista della loro competenza, che è quella etica e religiosa. Non devono farlo da un punto di vista prettamente tecnico. Se toccheranno gli aspetti tecnici – ma staranno ben attenti a farlo -, dovranno farlo solo dal punto di vista morale. Mentre prepareranno pronunciamenti su temi di loro non stretta competenza, dovranno farsi aiutare dai laici che ne sono competenti, specie allorché saranno coinvolti aspetti tecnici. Quindi, anziché zittire il proprio parroco, il proprio Vescovo, perché si interessano di finanza o di economia o di politica, c’è da preoccuparsi di aiutarli perché si pronuncino nella maniera più pertinente. Proprio per il munus docendi, per il dovere di insegnare, il Vescovo non può tacere.
Il soggetto dell’evangelizzazione del sociale, quindi, è tutta la comunità ecclesiale, con tutti i suoi soggetti, compresi i Vescovi, i laici, le famiglie e così via. Tutti insieme debbono realizzare l’evangelizzazione del sociale, secondo la loro competenza: le famiglie per quel che riguarda loro, le associazioni per quel che riguarda loro, i Vescovi per quel che riguarda loro. E tutti devono integrarsi tra di loro. Vescovi e laici, sacerdoti e laici, devono muoversi nella comunione, pur avendo ministeri e carismi diversi, in vista della stessa missione. Non devono combattersi, opporsi tra di loro. Devono, piuttosto aiutarsi. Non devono essere divisi, bensì uniti.
A questo proposito, faccio un riferimento alla mia visita in Corea del Sud, dove mi sono recato prima che andasse il papa, perché il presidente della Conferenza Episcopale mi aveva invitato a presentare proprio gli aspetti sociali dell’EG. Lì mi son trovato di fronte a una Chiesa giovane, attiva, ricca di vocazioni, ma non esente da alcune problematiche, tra le quali questa: per alcuni, l’impegno per la giustizia sociale non sarebbe così centrale nel Vangelo, bensì un qualcosa di cosi delicato e complesso da trattare con estrema cura, sino quasi a tenerlo sotto osservazione costante, perché pericoloso per la comunità.
Sappiamo, invece, che per Papa Francesco, come risulta dalla Evangelii gaudium, l’impegno per gli altri, l’impegno per la giustizia, è nel centro del Vangelo. A causa anche della particolare storia della Corea del Sud e della sua collocazione geografica si è potuto percepire qualche tensione tra vescovi e vescovi, tra laici e vescovi.
Che dire? Certo i Vescovi non devono parlare di politica partitica, ma della politica come deve essere organizzata, cioè come attività a servizio del bene comune, possono e debbono farlo. Occorre sicuramente essere prudenti e vagliare le situazioni particolari. Non si può tacere di fronte a gravi ingiustizie, a poveri maltrattati ed emarginati. Si deve parlare a favore della giustizia, a favore dei diritti dei più deboli. È un dovere che deriva dall’annuncio del Vangelo. L’impegno di cambiare il mondo, di fare della vita sociale uno spazio di fraternità, di giustizia, di dignità per tutti, è intrinseco alla missione evangelizzatrice. L’impegno per la giustizia e per la pace sgorga inevitabilmente dalla missione religiosa della Chiesa, una missione che concerne la redenzione di tutto l’uomo. Chi opera nell’ambito sociale e in politica deve essere cosciente che sta rendendo attuale, rimanendo unito a Cristo, l’azione redentrice e trasfiguratrice di Lui.

5. ALCUNE DOMANDE
Ora vorrei proseguire con alcune domande, che potete trovare nel breve saggio “Il Vangelo della gioia – Implicanze pastorali, pedagogiche, progettuali per l’impegno sociale e politico dei cattolici” (pagg 11, Ed. Coop. Soc. Frate Jacopa, 2014).
Riconosciamo, anche come cristiani di avere una vocazione al sociale? Ci pensiamo? Da quello che abbiamo detto, da quello che ci ha detto papa Francesco, noi dobbiamo pensare di avere una vocazione al sociale. Sono consapevole che ho una vocazione al sociale non solo come cittadino ma anche come cristiano? Il cristiano non annulla l’umano.
Siamo qui a parlare della salvezza dell’umano. Anche come cristiano io ho una vocazione al sociale. Su che cosa fondo questa vocazione al sociale? Io che sono cristiano, che mi dico credente, fondo la vocazione al sociale solo sulla natura umana o la fondo anche sul mio essere in Cristo? Guardate che è più profonda l’idea di una vocazione al sociale fondata nella mia vita in Cristo. E’, poi, più motivante.
Pensiamo – altra domanda – di essere chiamati a vivere la nostra dimensione sociale in Cristo, costruendo il nostro vivere sociale su Cristo?
Altra domanda: Ci dedichiamo a fare dello spazio sociale, comunitario, in cui siamo ed operiamo, uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti?poveri
Ultima domanda: Reputiamo la dottrina sociale della Chiesa, il Compendio, un elemento essenziale della nuova evangelizzazione, cioè li conosco, specie se faccio catechismo, se sono impegnato nei percorsi di formazione all’interno del mio movimento? Conosco il Compendio della dottrina sociale della Chiesa? Perché qui trovo gli elementi essenziali circa l’evangelizzazione riguardante il lavoro, l’economia, la destinazione universale dei beni, la pace, la salvaguardia dell’ambiente, la finanza, la società politica, la società internazionale. Lo conosco, dunque, il Compendio?
Un’altra domanda: Tornando a casa, a vivere nella mia parrocchia, avrò il coraggio di dire al mio parroco, con rispetto per la sua persona e il suo ministero, che l’EG suggerisce di considerare più adeguatamente la dimensione sociale dell’evangelizzazione e quindi suggerisce di sviluppare anche una catechesi sociale adeguata, una formazione corrispondentemente alla vocazione sociale che ciascuno di noi ha, anche in quanto battezzato? Avrò il coraggio di dire, nel consiglio pastorale di cui faccio parte, queste cose?
Da indagini fatte risulta che l’80% dei catechisti non conosce la Dottrina Sociale della Chiesa, la ignora. C’è da chiedersi: i catechisti che così generosamente si prestano per la catechesi nelle nostre parrocchie sono all’altezza di quello che propone papa Francesco? Non dobbiamo aiutarli ad aggiornarsi, a fare meglio la catechesi? Non dobbiamo aiutare i nostri parroci a impegnarsi di più, anche nelle omelie, a sottolineare la dimensione sociale della fede?

6. PRIORITÀ NELL’EVANGELIZZAZIONE DEL SOCIALE: L’INCLUSIONE DEI POVERI
Andiamo alle due priorità che Papa Francesco assegna alla evangelizzazione del sociale: l’inclusione sociale dei poveri e la realizzazione del bene comune e del dialogo sociale. Dice Papa Francesco: Volete essere protagonisti di una nuova evangelizzazione del sociale? Non dimenticatevi di queste due questioni.
Oggi è urgente l’inclusione sociale dei poveri. E, così, è importante costruire comunità e società politiche fraterne e giuste. Noi pensavamo di avere incluso tutti, soprattutto i più poveri, in realtà ci accorgiamo che anche in un contesto di globalizzazione (globalizzazione che alcuni ritengono essere dotata di un potere taumaturgico, cioè naturalmente inclusivo nel benessere) ci troviamo di fronte ad alti tassi di povertà. Si è di fronte a questo per la ragione che la globalizzazione non è stata adeguatamente orientata alla realizzazione del bene comune della famiglia umana. E così sono aumentate le diseguaglianze, oltre che le povertà, anche all’interno dei paesi ricchi, con la quasi sparizione della classe media. Molti dicono: dobbiamo buttare a mare la prima repubblica perché ha combinato molti guai! In realtà, la prima repubblica, pur con tutti i suoi limiti, ha consentito lo sviluppo e una grande mobilità, cioè il passaggio dagli strati più infimi agli strati più alti della scala sociale. Rispetto a questo, oggi sembra si stia tornando indietro, a causa di un neoliberismo sfrenato e illimitato, che mette in serio pericolo l’esistenza dello Stato di diritto sociale e la democrazia inclusiva e partecipativa.
Oggi permane, dunque, il problema dell’inclusione dei poveri: inclusione vuol dire integrare nella società, non tenere la gente ai margini della vita economica, della vita del mercato, della vita politica. Cosa bisogna fare? – si domanda Papa Francesco.
Risponde proponendo alcune soluzioni di tipo generale. Queste, costituiscono punti di riferimento per i cattolici che sono impegnati in politica, ma non solo per loro, anche per gli uomini di buona volontà.
Per integrare i poveri, rammenta il pontefice argentino, non bastano piani assistenziali, bisogna superarli, bisogna sconfiggere le cause strutturali della povertà (cf EG n. 202). In sostanza, papa Francesco dice: cari credenti non basta essere impegnati nella Caritas diocesana. Questa è sicuramente importante, ma non è tutto. Bisogna soprattutto lottare contro le cause strutturali della povertà.
Che dire delle parole di papa Francesco? Bisogna riconoscere che molti cattolici sono impegnati nell’assistenza, nel volontariato, ma meno nella politica. Anzi, tendono a ritrarsi. Si interessano di più del pre-politico. Ciò è sbagliato. Almeno, secondo gli orientamenti dati da Papa Francesco. Per sconfiggere le cause strutturali della povertà occorre anche entrare nella camera dei bottoni, che è la politica. Questo l’avevano capito i cattolici già nell’800. Si vuole, allora, regredire rispetto ai quei cattolici che nell’800 avevano compreso questo, con san Vincenzo de’ Paoli? San Vincenzo de’ Paoli, che pure si dedicava all’assistenza, aveva compreso che i cattolici dovevano superare ed integrare questa fase, importante sì ma non sufficiente, per aiutare più efficacemente le persone.
Si devono superare i piani semplicemente assistenziali, per aggredire le cause strutturali della povertà e dell’esclusione. Ebbene cosa suggerisce, in particolare, Papa Francesco? Suggerisce che occorre pensare:
a) a una politica economica strutturata sulla base dei principi del bene comune e della dignità umana (cf EG n. 203), offrendo a tutti istruzione, assistenza sanitaria e lavoro (cf EG n. 192);
b) non solo a una crescita economica ma anche a uno sviluppo integrale e sociale, inclusivo e sostenibile;
c) a una politica e a politici che cerchino il bene comune;
d) a una sana economia mondiale (cf EG n. 206);
e) a una riforma etica della finanza (cf EG n. 58);
f) a superare le teorie neo-liberistiche dell’economia, che non vuol dire buttare a mare le borse e condannare indiscriminatamente la speculazione, il profitto e così via; significa semplicemente far sì che le borse, i mercati e il profitto siano a servizio del bene comune, del bene di tutti.
compendioLa Dottrina Sociale della Chiesa, e Papa Francesco, non propone di chiudere i mercati. Domanda che siano più liberi, stabili, trasparenti, funzionali alle famiglie, alle imprese, alle comunità locali, alla famiglia umana in generale. Propone cioè che i mercati siano non dei «mali pubblici», bensì dei «beni pubblici » per tutti, al servizio di tutti.
E potremmo continuare il discorso dicendo anche che, oltre a tutto ciò, bisogna realizzare una democrazia inclusiva, che è diversa da quella «a bassa intensità», che prevede alti livelli di povertà, poca integrazione sociale dei poveri e degli emarginati.
Bisogna realizzare una democrazia inclusiva e, quindi, un’economia inclusiva, perché non si dà democrazia inclusiva senza un’economia inclusiva. Le teorie neo-liberistiche vanno contro l’idea di un’economia inclusiva. Tendono a escludere, a scartare, tendono a considerare «inutili» i poveri. Si realizza una democrazia inclusiva tramite politiche che rendano accessibili a tutti l’istruzione, il lavoro e la sicurezza sanitaria.
Papa Francesco dice: volete che i poveri siano integrati? Bisogna andare per questa strada. Proponendo, ad esempio, il lavoro per tutti, va contro la dogmatica attuale del mercantilismo o della finanza che si muove solo sulla base della speculazione senza limiti, per la quale il lavoro non è un bene fondamentale ma è marginale rispetto alla produzione delle ricchezza nazionale. Secondo l’attuale finanza il lavoro non è la principale risorsa per la produzione della ricchezza delle nazioni. Per la dottrina finanziaria che assolutizza il profitto per il profitto, il profitto a breve, brevissimo termine, il lavoro è una variabile dipendente delle borse, dei mercati finanziari e monetari. Il lavoro non è un bene fondamentale, essenziale per personalizzarsi, socializzarsi, fare una famiglia, per contribuire al bene comune, per realizzare la pace.
Papa Francesco dicendo semplicemente che dobbiamo realizzare una democrazia inclusiva, che prevede istruzione per tutti, lavoro per tutti, assistenza sanitaria per tutti, in sostanza va contro l’attuale mentalità dominante. Si può dire che rispetto alla mentalità corrente, è un grande riformatore, non certo un moderato. I cattolici in gran parte, sono preoccupati di essere moderati… Evidentemente, non è il caso di coloro che desiderano seguire per davvero la Dottrina Sociale della Chiesa.

7. SECONDA AREA DI PRIORITÀ: REALIZZARE IL BENE COMUNE E IL DIALOGO SOCIALE
Veniamo alla seconda priorità segnalata da Papa Francesco che rappresenta un’altra via per integrare i più poveri: la costruzione di popoli che vivono in pace, in giustizia e fraternità. La pastorale della evangelizzazione del sociale in vista dell’inclusione dei poveri, deve tenerne conto. Ciò implica un approfondimento dell’insegnamento del papa argentino e che ci si domandi cosa vuol dire in concreto una sana economia mondiale, riforma etica dei mercati finanziari. Non basta andare in piazza San Pietro, applaudire il Papa, ma poi dal punto di vista pratico, a livello politico, fare poco o nulla.
Non basta lodare il Papa per quello che dice. Se si vuole amare il Papa (e soprattutto amare Gesù Cristo, perché il Papa non è il nostro salvatore, è Gesù Cristo colui che ci salva ed è Gesù Cristo che ci propone certe esigenze), occorre agire di conseguenza e fare le cose che lui propone. Bisogna andare al di là dell’emotività, bisogna operare, occorre passare all’azione trasfiguratrice, perché è a questo che siamo chiamati.
La seconda esigenza che Papa Francesco pone all’evangelizzazione del sociale è, dunque, quella di realizzare il bene comune e il dialogo sociale.
Per realizzare il bene comune occorre che noi impariamo quello che coloro che ci hanno preceduto hanno insegnato, dobbiamo cioè essere realmente un «popolo» unito dal punto di vista morale, culturale, unito nella vocazione verso il bene comune, il bene di tutti. Non si può lasciar fuori dal bene comune molti cittadini perché si crede nelle idee neo-individualistiche che pensano solo al bene di alcuni ma non di tutti, o perché si professa il neo-utilitarismo, per il quale è importante il bene per la maggioranza ma non per tutti. Dobbiamo essere realmente «popolo» – dice il Papa – e per essere «popolo» ci sono quattro principi da seguire. Ve li elenco semplicemente.
Il tempo è superiore allo spazio: per costruire un popolo in pace, in fraternità e in giustizia si deve seguire questo principio. Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, non come fanno i politici attuali. “Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio-politica – sottolinea papa Francesco – consiste nel privilegiare gli spazi di potere, al posto dei tempi dei processi.” In sostanza, egli dice: quelli che sono stati eletti per servire sembrano principalmente preoccupati, a occupare lo spazio, il posto, non sono invece preoccupati ad attivare processi di vera trasformazione, processi per politiche di lavoro per tutti, processi per educazione per tutti, processi per sanità per tutti. Noi stiamo praticamente andando in senso contrario rispetto a ciò che ci si era prefissati in passato: la sanità sì, ma solo per alcuni, solo per quelli che possono permettersela; il lavoro solo per alcuni, l’educazione per pochi… Papa Francesco, al contrario, dice: istruzione, sanità, lavoro per tutti. Dopo quanto ci ha proposto papa Francesco, non dobbiamo rivedere un po’ le nostre posizioni? Non lo debbono fare anche quei cattolici che sono al governo?
Un secondo principio indicato è: l’unità prevale sul conflitto. Un terzo ancora è: la realtà è più importante dell’idea, ovvero le persone sono più importanti di certi progetti che i politici stanno conducendo in avanti. Alcuni giornali si sono meravigliati che Renzi insistesse molto sulla riforma del Senato e non insistesse invece sulle politiche del lavoro per tutti. La Signora Camusso, segretario generale della CGIL ha affermato: ogni giorno noi abbiamo l’annuncio di una riforma epocale ma in realtà per quanto riguarda la disoccupazione e lo sviluppo industriale non vediamo quasi niente. Questa non è una critica frontale rivolta a chi governa per dire che non si sta facendo niente. È un rilevare che non sono chiare le priorità e si procede quasi a caso. Il principio “la realtà è più importante dell’idea” aiuta a trovare tali priorità. Le persone e i loro bisogni reali prevalgono su questo o quel progetto.
Un quarto principio offerto da papa Francesco: il tutto è superiore alla parte. In un contesto globale, di multiculturalismo e di multireligiosità noi dobbiamo realizzare dei popoli in pace, in fraternità, capaci di dialogare, capaci di mettere insieme le differenze e le diversità, senza che vi siano contrapposizioni, eliminazioni dell’altro. Non è una cosa facile. È richiesta la inclusione. Cioè il povero non va eliminato, bensì integrato. Alcuni coltivano progetti assurdi per l’eliminazione della povertà: far nascere meno persone tra i poveri.

8. CURARE LA SPIRITUALITÀ PER ESSERE NUOVI EVANGELIZZATORI
Desidero terminare con l’accenno ad alcuni aspetti relativi alla spiritualità. Papa Francesco dice: vogliamo essere realmente protagonisti della nuova evangelizzazione del sociale? Dobbiamo curare la spiritualità.pace
In fondo a questo libretto (cf. “Il Vangelo della gioia” ibidem) si possono trovare alcuni tratti caratterizzanti i nuovi evangelizzatori del sociale. Li elenco. I nuovi evangelizzatori: non possono considerare il proprio compito come una mera appendice della loro vita, debbono identificarsi con la missione evangelizzatrice, non possono impostare la loro esistenza su un relativismo pratico che consiste nell’agire come se Dio non ci fosse, come se tutto dipendesse da noi. Bisogna che le loro scelte siano sorrette da motivazioni e da una spiritualità adeguate, pena una condotta poco serena praticata senza gioia; è necessario che non si lascino catturare da quel pessimismo sterile che impedisce di scoprire il grano in mezzo alla zizzania; devono poter contare su una vera esperienza di fraternità, sulla mistica di vivere insieme, di mescolarsi, di incontrarsi, di prendersi in braccio, di appoggiarsi, di partecipare a una carovana solidale; sono chiamati a coltivare un impegno che non si stacca da Dio, non cercano una mondanità spirituale, sono promotori del vangelo della fraternità e della giustizia, si sentono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione umana dei poveri – ritorniamo al discorso della salvaguardia dell’umanità – in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società.
Quanto detto spero che vi solleciti a leggere con più calma l’EG e a metterla a frutto nella vostra attività di catechisti, di formatori, di animatori.

Mons. Mario Toso segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace