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Nell’VIII centenario dell’incontro di S. Francesco col sultano di Babilonia, vogliamo dedicare il calendario di quest’anno al grande carisma del santo di Assisi che consiste nella sua capacità di intessere relazioni, di aprire il proprio cuore al cuore degli altri, di creare un clima di ascolto anziché di indifferenza, di fiducia anziché di diffidenza, di speranza anziché di disperazione, di coraggio anziché di paura.
Il carisma di S. Francesco lo rende sempre proteso a favorire il dialogo inteso come “forma di incontro”, per usare un’espressione di Papa Francesco (EG 239), allo scopo di far crescere la pace e liberare la mente dai pregiudizi che imbrigliano l’altro nei nostri preconcetti su di lui, e ci impediscono di conoscerlo così come egli è realmente.Il conoscere di S. Francesco è prima di tutto un atto d’amore fraterno che permette di far risuonare in noi le ragioni dell’altro in modo che egli si senta accolto benevolmente, anche quando ciò non significa necessariamente approvazione e consenso.
Il Vangelo ci sollecita a non escludere nessuno, anche “quelli che sono un po’ strani, le persone difficili e complicate” (GE 89).Non si tratta di un processo facile, poiché “richiede una grande apertura della mente e del cuore” (ivi) e l’accettazione “di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo” (ivi), perché il tempo è superiore allo spazio (EG 222), anche se richiede pazienza, umiltà, attesa e molta speranza. “Si tratta di essere artigiani della pace, perché costruire la pace è un’arte che richiede serenità, creatività, sensibilità e destrezza”. Ma “seminare pace intorno a noi – dice Papa Francesco – questo è santità” (GE ivi).Dalla vita di S. Francesco, impariamo un tipo di santità aperta a tutti, anche ai più indesiderabili: il lupo, il saraceno che aveva promesso la taglia di un bisante d’oro a chi gli avesse portato la testa di un cristiano, i briganti, i lebbrosi, i violenti…
In particolare dall’incontro di S. Francesco col sultano, comprendiamo come presupposto indispensabile per la pace sia l’incontro tra i popoli e le culture, anche le più diverse tra loro, di cui le religioni costituiscono la forza e l’anima. Se manca l’incontro tra le chiese, sarà difficile realizzare ogni altro incontro, sia interpersonale sia tra i popoli. La religione è via alla pace e il dialogo interreligioso può programmare proposte nuove per inedite intese. Quando gli uomini si rivolgono a Dio con sincerità e purezza di intenti, in loro si generano rapporti nuovi generatori di pace.
Eppure oggi nella nostra cultura secolarizzata, delle religioni sono considerate degne di attenzione solo le forme estreme del fondamentalismo che nulla hanno a che vedere con il cuore delle religioni, ma sono piuttosto espressione di progetti umani volti al predominio e alla negazione dell’altro, per l’affermazione del proprio interesse egoistico che porta oggi come ieri a costruire nuove torri di Babele foriere di confusione e di incomprensione reciproca: nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, in parrocchia, tra i governanti, tra i popoli…
Là dove Dio è sempre più marginalizzato e confuso con gli interessi di alcuni a danno di altri, la religione viene strumentalizzata poiché ad essa viene fatta risalire la sorgente dell’odio, della violenza, della guerra, del terrorismo. “Uccidere in nome di Dio – disse Giovanni Paolo II, rivolgendosi al Corpo Diplomatico nel lontano 2002 – è una bestemmia e un pervertimento della religione … è profanazione della religione”.
Contro ogni faziosità o spirito di parte, S. Francesco, vincendo la paura, passò in mezzo all’esercito dei saraceni armati fino ai denti e, sfidando anche il disprezzo e la disapprovazione dei crociati che credevano di poter vincere il nemico con la sola forza della violenza, andò dal sultano armato solo della forza che gli veniva dal Signore, il Principe della pace. Di fronte alla prova di tanto ardimento, il sultano non poté non guardare con benevolenza e con simpatia l’umile santo che si era fatto portatore della possibilità di rapporti nuovi tra differenti popoli e culture. Eppure S. Francesco non riuscì nell’intento di convertire il nemico. Fu anzi un miracolo che riuscisse a tornare a casa sano e salvo.Possiamo considerare dunque un fallimento questo incontro? Noi pensiamo proprio di no, perché l’incontro con le religioni non significa sempre e necessariamente che si debba risolvere nella conversione degli altri. S. Francesco non fallì perché riuscì a scuotere le sicurezze dell’avversario e a farlo aprire alla verità tutta intera. Anche per noi l’incontro con gli appartenenti alle altre religioni e culture non fallirà se sarà posto sul piano dell’apertura ai valori umani, nel rispetto della dignità di ogni uomo per la realizzazione della pace vera che non è possibile senza la rinuncia alla pretesa della centralità di sé e all’orgoglio che si annida in ciascuno di noi.
La vera pace non può essere una nostra conquista, ma solo un dono del Signore. Per questo il saluto di S. Francesco, rivelatogli per sua stessa ammissione dal Signore (FF121), era: “Il Signore ti dia pace”. E ai suoi frati che andavano per il mondo ad evangelizzare, raccomandava sempre di offrire prima di tutto questo saluto. E quando capitava a qualche frate di ricevere un rifiuto per la novità di cui questo saluto era portatore, cosicché egli avrebbe voluto cambiarlo, il santo rimaneva irremovibile, per non disobbedire al volere del Signore senza il quale non può giungere alcuna pace né per sé né per gli altri.
Con questo calendario 2019, auguriamo a tutti i nostri cari lettori di ripensare al nostro modo di rapportarci agli altri, soprattutto agli esclusi e agli emarginati, verso i quali Papa Francesco, richiamandosi al Vangelo, mostra sempre la sua predilezione e il suo affetto, sapendo che sono fatti oggetto di abusi indicibili e di sopraffazioni che sono inaccettabili se vogliamo salvaguardare la dignità di tutti gli uomini e le donne nel nome dell’umanesimo, il dono più grande che la tradizione italiana abbia lasciato fino ad oggi nel mondo intero