Risonanze della Scuola di Pace 2019 alla luce della spiritualità francescana

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Ricominciare… sempre!
Il messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2019 – “La buona politica è al servizio della pace” – è un invito a collegare la politica al bene e ad equipararla a un atto di carità, conformemente alla vocazione di ciascuno (cf Msg 3). Certo l’equilibrio fra il bene e la politica è delicato, e fa ravvisare nella pace, frutto di questo equilibrio, “un fiore fragile che cerca di sbocciare in mezzo alle pietre della violenza” (Msg 2).
La pace, frutto di una buona politica, è presentata in questo Messaggio in modo problematico, del tutto esente da trionfalismi, in quanto risulta perennemente soggetta a rischi di caduta o di fallimento, ma, se la “vita politica è autentica… si rinnova con la convinzione che ogni donna, ogni uomo e ogni generazione racchiudono in sé una promessa che può sprigionare nuove energie relazionali, intellettuali, culturali e spirituali” (Msg 5).
La buona politica costituisce una sfida sempre aperta, un continuo ricominciare che è proprio della vita dello spirito.Ad accogliere questa sfida ci aiutano i modelli offerti dai testimoni del Vangelo. Citando il cardinale vietnamita Nguyen Van Thuan, il Messaggio della Pace di quest’anno, ricorda tra le beatitudini del politico quella che lo vede “impegnato nella realizzazione di un cambiamento radicale” (Msg 3).
Pensiamo anche a S. Francesco che, poco prima di morire, invita i suoi frati a non fermarsi mai: “Incominciamo, fratelli, a servire il SignoreDio nostro, perché finora abbiamo combinato poco” (FF 1237).
Se c’è questo slancio a ricominciare sempre, la vita dello spirito non si spegne.
Lo spirito si muove sempre in totalità; perciò nel ricominciare da capo è tutta la vita spirituale a trasformarsi. Accogliere uno spirito di rinnovamento in noi significa riconoscere di avere bisogno, per esistere, di Colui che è in pienezza.
Il termine ‘esistere’ deriva da ‘ex’ (un’origine, un già che viene superato) e da ‘sistere’ (staticità, consistenza, fermezza). Esso indica un ‘procedere da’, un dinamismo, un ricercare, un farsi dell’uomo, un esprimersi che non è mai compiuto e non si ferma mai, ma costituisce un continuo stacco dal passato, una perenne possibilità di nuovo nella nostra vita. Questa visione aperta al futuro ci sollecita a cercare di uscire continuamente da noi stessi, dalla stasi, dal considerarci degli arrivati, per potere raggiungere quel grado di pienezza che ci è consentito e che comunque non sarà mai definitivo.
Papa Francesco parla del “dinamismo di uscita che Dio vuole provocare nei credenti” (EG 20). Anche noi dobbiamo essere in uscita da noi stessi, dal chiuso delle nostre barriere che frantumano la nostra unità interiore rendendoci frammenti di una vita spezzata.

Una chiamata alla responsabilità
La vita dello spirito è la sola capace di creare unità dentro e fuori di noi, se intendiamo il nostro esistere non semplicemente come una stabilità ferma e duratura, ma come risposta a una chiamata, a una missione assegnataci da ‘Colui che chiama’, sia nel Vecchio sia nel Nuovo Testamento, e che ci fa essere sempre in un cammino di crescita contrassegnato ora dall’attesa della chiamata ora dalla risposta ad essa.
Papa Francesco dice che “tutti siamo chiamati ad accettare questa chiamata” (EG 20) e sottolinea l’importanza della “dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre” (EG 21). In questo modo il Papa carica i laici di una forte responsabilità.
Egli ravvisa nella Chiesa anzitutto un popolo (cf EG 111) capace, per dono dello Spirito, di rispondere (responsabilità deriva da ‘respondere’) con la vita all’amore di Dio (cf EG 112).
Nel Messaggio della Pace 2019 Papa Francesco riconosce nella “responsabilità politica… una sfida permanente” da attuare “nel rispetto fondamentale della vita, della libertà e della dignità delle persone” (Msg 2) e collega la pace alla “responsabilità reciproca”, all’“interdipendenza degli esseri umani” (Msg 7). La responsabilità è, perciò, vista in una dimensione di dialogo e di reciprocità.
Certo la responsabilità non è una forma di egotismo, non è un voler fare tutto da soli gonfiandosi e pretendendo di dominare gli altri, ma è piuttosto rispondere alla libertà dell’altro, alla sua esigenza di vivere meglio. Se, invece, si ritiene di non dover rispondere a nessuno, ci si pone come l’assoluto che non ha limiti.
Il peccato consiste proprio nel violare il limite, nel non voler ricevere da nessuno il principio del bene e del male.
Per raggiungere la “pace con se se stessi” (Msg 7), indicata da Papa Francesco come la prima dimensione della pace, e per fare crescere un nuovo umanesimo, occorre fare proprio e interiorizzare il termine ‘responsabilità’ che fa sì che l’uomo trovi in se stesso il limite e si senta chiamato a rispondere personalmente alla dignità dell’altro “ascoltando il messaggio che porta con sé” (ibidem).

Lucia Baldo