“Io sto per far piovere pane dal cielo per voi”, sono le parole che annunciano la risposta del Signore alle lamentele del popolo in cammino nel deserto, verso la terra dell’alleanza. L’immagine di un pane che “piove dal cielo” assieme alla rugiada evoca la gratuità e l’abbondanza delle benedizioni divine. Questa abbondanza trova espressione nella misura, una misura concreta che può essere raccolta: “il popolo uscirà a raccoglierla”. Si tratta di un cibo che va messo insieme, con fatica; è un cibo che chiede un’uscita. Il verbo “uscire” evoca sullo sfondo l’uscita dall’Egitto, la liberazione: la manna, cibo misurato che si può raccogliere uscendo, è il cibo che traghetta Israele verso libertà, verso la terra della promessa.
2E’ un cibo che non può essere raccolto indiscriminatamente; al cibo si accompagna una parola, quella del comando di raccoglierne “ogni giorno la razione di un giorno”; l’oggi diventa la misura del cibo. Ciò che il Signore ha donato non posso raccoglierlo domani, ma solo oggi. Il senso della misura è raccogliere il dono di un giorno, di oggi, nel suo giorno. La misura e il senso della misura hanno a che vedere con il riconoscimento del dono quotidiano, il dono per l’oggi e dell’oggi.
La parola che fa vivere è proprio quella che accompagna il cibo, quella che ne determina i limiti, la misura. E la “misura” della manna è una prova per la libertà di Israele, che sarà messa in gioco, una libertà che sarà chiamata a scegliere concretamente. L’immagine del cammino rimanda ad una presa di posizione, ad una scelta e all’assunzione concreta di una condotta conseguente alla scelta. Ecco che la misura è prova per la libertà, perché chiama in causa la libertà, la capacità di decidersi per una strada o per un’altra.
L’ambito concettuale/il campo semantico è quello dell’educazione, la quale si sostanzia precisamente di una parola, è legata alla percezione del limite, della misura espressa attraverso questa stessa parola. Percorso finalizzato ad una scelta, ad una presa di posizione che viene condensata frequentemente dall’immagine del cammino e che viene chiesta a ciascuno di noi ogni giorno. Ecco che la misura connessa in questo caso con il cibo ha una forte valenza educativa: la manna misurata educa, fa uscire dalla tenda, chiama in causa la libertà provocandola, porta ad una concreta presa di posizione, mette in cammino. Educa alla gestione dell’oggi, nella consapevolezza che esso è dono. Il senso della misura: come prova, per la conoscenza del proprio cuore e come provocazione alla libertà: connessione paradossale tra libertà e misura; in un tempo in cui la libertà sembra essere il “senza misura”, la misura ci porta a scegliere la via sulla quale camminare.
La misura, come esperienza di un limite che educa, ha dunque una doppia funzione. Ci mette da una parte in relazione con il donatore (cf. Dt 8,12-14, la possibilità di saziarsi senza misura porta con sé il rischio di dimenticare che quel cibo è donato; “quando avrai mangiato e ti sarai saziato […] il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio”). Dall’altra la misura nel momento della raccolta della manna ci apre alla relazione con i fratelli, con gli altri destinatari di quel dono: solo la misura di ciascuno permette che, alla fine, nessuno manchi di qualcosa. Non riguarda solo la quantità da prendere nel momento del raccolto: “Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino”; coinvolge anche il tempo e la gestione del cibo raccolto nell’oggi. Esso non può essere accumulato: chi tenta di conservarlo fino al mattino, sarà costretto a scoprire che il cibo ha prodotto vermi ed è diventato fetido. La questione non è semplicemente l’accumulo del cibo, quanto ciò che muove il gesto per cui si conserva la manna; di fatto la conservazione del cibo raccolto fino al mattino seguente diventa una risposta “fai da te” ad un dubbio: ci sarà ancora cibo il prossimo mattino? L’accumulo della manna rivela i sospetti su Dio, sulla sua capacità di donare. Con l’accumulo della manna si cerca di porre rimedio alla dipendenza dal donatore, alla percezione del limite di fiducia che egli stesso impone. Conservare la manna significa illudersi di potersi dare il cibo da soli, il mattino seguente; significa tentare di scavalcare la misura, non avere fede che Dio provvederà sempre al necessario.
Oltre alla fame fisica, però, l’uomo porta in sé ancora un’altra fame, più fondamentale, che non può essere saziata con un cibo ordinario. E’ fame di vita, di eternità. Il segno della manna era l’annuncio dell’avvento di Cristo, che avrebbe soddisfatto la fame di eternità da parte dell’uomo diventando Lui stesso il “pane vivo” che “dà la vita al mondo”. Nei Vangeli si racconta che coloro che l’ascoltano chiedono a Gesù di compiere ciò che veniva annunziato dal segno della manna, forse senza rendersi conto di quanto lontano andava quella richiesta: “Signore, dacci sempre questo pane“ (Gv 6, 34). Una richiesta eloquente ed attualissima, ma quanto generoso e sorprendente è il suo compimento: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete“ (Gv 6, 35).
La misura rimanda direttamente ad alcuni degli elementi più significativi e più belli della nostra fede cristiana, di quella fede in un Dio venuto a visitarci nell’oggi della vita, un Dio che si è fatto storia, un Dio che, potremmo dire, si è fatto contemporaneo di ogni tempo. È nella vita di ogni giorno – solo in essa, nell’oggi, per l’appunto – che l’uomo scopre la presenza di Dio e inizia ad amarlo: lo può fare perché cercato per primo e, per primo, amato.
Il tempo è la misura degli avvenimenti che si succedono. È la misura della nostra vita presente. Una misura che incute timore, perché ci fa vedere che ieri non esiste più, che domani non esiste ancora; non esiste che l’oggi. E questo c’insegna a vivere in ragionevole intensità questo attimo attuale, del quale siamo responsabili, e nel quale consiste la nostra unica esperienza della vita presente. Ci insegna il valore del tempo, a non perdere tempo; a impiegarlo per cose utili e buone, per cose che danno alla vita il suo senso, il suo valore. Ogni ora è preziosa, ogni giorno è unico. Ogni istante vale per sé. Il tempo ci fa pensare al nostro destino, al fatto che viviamo in questa forma fugace ed effimera per raggiungere una forma di vita piena, l’eternità. Questa vita d’oggi, sebbene istantanea e passeggera, condiziona la vita futura oltre la giornata temporale. È una vigilia, è una prova, è un cammino. Il Signore ci esorta a profittare della nostra giornata terrena per raggiungere quella senza tramonto: “Camminate, Egli dice, mentre ancora avete la luce, prima che vi sorprenda la tenebra”.
Questo per noi è il punto di partenza: l’oggi è decisivo al di là della sua apparente insignificanza. Vivere in pienezza l’oggi è il solo modo che abbiamo per rispondere alla chiamata di Dio, alla sua promessa di felicità e di salvezza, senza trattenere nulla per noi. Riconosciamo i segni di questa promessa in ogni tempo, ma è solo nel tempo in cui siamo immersi che possiamo rispondere personalmente donando noi stessi, senza trattenere nulla di noi.
La fede nel Dio della Provvidenza non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani. Questa fede è la nostra speranza certa. Dobbiamo distinguerci per l’assoluta fiducia nel Padre celeste, come Gesù, vivendo con i piedi ben piantati per terra, attenti alle concrete situazioni del prossimo, ma tenendo sempre il cuore in cielo e lo sguardo rivolto verso l’alto, immersi nella misericordia di Dio.
Vivere l’oggi come dono implica la necessità di rispondere all’invito di Pietro ad essere sempre «pronti a rendere ragione della speranza che è in noi» (1 Pt 3,15); significa accogliere il monito di Francesco: «Nulla di voi trattenete per voi, affinché totalmente vi accolga colui che totalmente a voi si offre»!

Maria Rosaria Restivo