ptjpegI cinquant’anni della “Pacem in Terris”
Come afferma Giovanni Paolo II nel Messaggio per la XXXVI Giornata Mondiale della Pace (1-1-2003): “Guardando al presente e al futuro con gli occhi della fede e della ragione, il beato Giovanni XXIII intravide e interpretò le spinte profonde che già erano all’opera nella storia. Egli sapeva che le cose non sempre sono come appaiono in superficie. Malgrado le guerre e le minacce di guerre, c’era qualcos’altro all’opera nelle vicende umane, qualcosa che il Papa colse come il promettente inizio di una rivoluzione spirituale” (n. 3).
Nel cinquantesimo anniversario dell’enciclica “Pacem in Terris” ricordiamo il carattere innovativo della teologia di Giovanni XXIII in essa espressa.
Fin dall’inizio egli si rivolge a tutti gli uomini credenti e non credenti, a tutti gli uomini di buona volontà e nel corso dell’intera enciclica esprime la propria simpatia e l’accoglienza della Chiesa cattolica nei confronti di tutte le aspirazioni del mondo contemporaneo, che vengono declinate come segni dei tempi.
Il Papa non polemizza e non condanna il mondo, ma rivendica i diritti e doveri di ogni essere umano, che sono perciò “universali, inviolabili, inalienabili” (PT 5), come disse già Pio XII nel radiomessaggio natalizio del 1942.
La “Pacem in Terris” esamina gli aspetti fondamentali del bene comune “a cui hanno diritto di partecipare tutti gli uomini” e che “ha attinenza a tutto l’uomo: tanto ai bisogni del suo corpo che alle esigenze del suo spirito” (PT 34-35). Ecco perché “il bene comune consiste nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona”.
Per la costruzione della pace vanno considerati tutti i livelli dell’esistenza umana, da quello sociale a quello più intimo della persona. La vera pace si costruisce solamente nella “vicendevole fiducia”, cioè nel “disarmo integrale” (PT 61) che investe “anche gli spiriti” e non riguarda solo l’eliminazione del criterio di equilibrio degli armamenti che, tra l’altro, potrebbe far scoccare, in modo imprevedibile e incontrollato, la scintilla che mette in moto l’apparato bellico.
Dice infatti l’enciclica: “I rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma alla luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante” (PT 62).

La stagione del dialogo
Il punto culminante, l’apice di tutta l’enciclica rileva la distinzione tra le “false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo” e i “movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione” (PT 84). Infatti “le dottrine rimangono sempre le stesse”, mentre i movimenti vanno “soggetti a mutamenti anche profondi” dovuti a cambiamenti di condizioni concrete di vita. Una società non va condannata in quanto insegna una certa ideologia; bisogna invece osservare e dialogare con i corpi sociali che in essa si sviluppano.
Proseguendo questa linea di riflessione, che si applica innanzitutto ai rapporti tra le nazioni, l’enciclica prevede che “un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece lo sia o lo possa divenire domani” (PT 85).giovjpeg
Così dicendo Giovanni XXIII lascia intendere che il movimento storico dei popoli nei Paesi socialisti o comunisti può benissimo distinguersi dall’ideologia marxista, condannabile nei suoi principi. Queste riflessioni hanno lanciato nuovi ponti di dialogo con i Paesi comunisti dell’Europa dell’Est e con le società che vivevano oltre la cortina di ferro.
Fatta salva l’opposizione radicale tra comunismo e cristianesimo (vedi MM 22), papa Roncalli distingue l’errore dall’errante che “è sempre e innanzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona” (PT 83). Pone così le basi per il dialogo, l’incontro, la possibilità di intendersi, di collaborare nel rispetto della “gradualità” (PT 86) per cui le istituzioni umane si innovano verso il meglio agendo dal di dentro di esse gradualmente.
La persona è il valore più alto che ci sia. Si può rifiutare e temere un’ideologia ed opporsi ad essa organizzando le proprie difese o nutrendo propositi di sopraffazione contro il nemico.
Ma non si può rifiutare una persona alla quale ci si rapporta col dialogo. Noi siamo sempre parziali. Ognuno di noi ha una griglia che lascia passare qualcosa e che rappresenta la nostra verità. Abbiamo i nostri idoli che sono le nostre parzialità vissute come assoluti. Essi si spengono nel dialogo attraverso il quale si incontrano persone diverse che hanno idee diverse, ma che, nel tempo, possono progredire.
terrajpegCome ha affermato papa Francesco nella sua lettera a E. Scalfari, nemmeno per chi crede si può parlare di “verità assolute, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque la verità è una relazione! Tant’è vero che ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino di vita. Non ha detto forse Gesù stesso: «Io sono la via, la verità, la vita»?”
Ed è camminando con Gesù, “principe della pace”(PT 89), che possiamo portare la pace in noi stessi e nel mondo, poiché “non si dà pace fra gli uomini se non vi è pace in ciascuno di essi” (PT 88).

Graziella Baldo