img201 (2)Nella parrocchia S. Maria Annunziata di Fossolo in Bologna ogni mese ci si ritrova per discutere insieme su temi di attualità a partire da libri di recente pubblicazione. Il parroco don Stefano Culiersi, assistente della Fraternità Francescana Frate Jacopa di Bologna, avvalendosi della preziosa collaborazione di don Francesco Pieri, ha promosso questa iniziativa denominata “Leggere il presente” allo scopo di aiutare a riflettere credenti e non credenti su scottanti tematiche di ordine etico e sociale.
Alla cultura attuale, spesso ideologizzata ed espressione di un pensiero unico, una parte cospicua di persone sente l’urgenza di contrapporre una cultura più umana, imperniata sulla cura delle relazioni e volta a porre al centro dell’attenzione e del valorizzare, l’anello più debole e fragile della “catena” che ci lega agli altri, come i poveri, gli ammalati e gli anziani, secondo l’insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa.
A tale scopo in questi incontri non poteva mancare il riferimento agli attacchi volti alla destrutturazione della famiglia in atto nella nostra società, nel nome di interessi individuali anteposti ad altri interessi, in particolare a quelli, ritenuti particolarmente limitanti, dei figli, dei disabili e dei nonni non autosufficienti.
Nella cultura odierna i legami che implicano fedeltà e durata sono vissuti come un impaccio e un condizionamento stringente da cui doversi liberare alle prime avvisaglie di difficoltà, per sentirsi realizzati e poter affermare il proprio “diritto” ad essere felici, considerato attuabile solo attraverso la soddisfazione del proprio desiderio.
Massimiliano Fiorin, autore del libro “L’amore non si arrende. Introduzione alla conciliazione familiare” (Ares 2017), afferma che l’individuo moderno “chiamato al mondo senza il suo volere, sente di avere diritto, quasi a compenso di questa chiamata, a una soddisfazione infinita nel mondo stesso”.
Riferendosi alle relazioni di coppia, l’avvocato Fiorin, in base alla sua lunga esperienza professionale, osserva che, secondo la mentalità corrente,“ ciò che definisce l’uomo e la donna, in modo indifferenziato, è solo il loro desiderio.
Lo psicanalista Jacques Lacan ha saputo individuare in questa pulsione una carica profondamente distruttiva, sia sul piano psichico dell’individuo che su quello sociale. Perché si tratta di un desiderio che non sa più fare i conti con l’altro, né con l’insieme di limiti invalicabili e di legami del quale è impastato il mondo reale”.
Nella proliferazione incontrollata e spesso arbitraria dei diritti dell’uomo tipica del nostro tempo, il divorzio e l’aborto, che in passato erano accettati solo come male minore, oggi sono proclamati diritti a pieno titolo. E il matrimonio diviene un contratto atto, finché perdura il desiderio, a soddisfare la propria emotività e a condividere le esperienze della vita, puntando ciascuno alla soddisfazione del proprio interesse.
Per risollevarsi da questa china in cui la cultura del nostro tempo sta rapidamente precipitando, è necessario che si ricominci a pensare al matrimonio come a un’alleanza in vista di un progetto comune da realizzarsi insieme, consistente nel costituire e mantenere in vita una famiglia. Ma questo non è possibile se non si ricupera l’importanza simbolica del padre, del suo impersonare l’autorità, la legge, il limite, oggi trascurata in nome di una mentalità individualista che rifiuta ogni limite e che induce a pensare alla separazione e al divorzio come ad una liberazione da conseguire senza “perdere” tempo. Incoraggiati dalle formule del divorzio breve e “consensuale”, cosiddetto anche quando consensuale non è, ci si lascia travolgere nel vortice della corsa verso la libertà per evitare inutili lungaggini e sofferenze.
L’autore del libro, denunciando come fallace e ingannevole la mentalità corrente, sottolinea “gli oceani di sofferenza che il divorzio sparge attorno alla famiglia interessata”, comprendente anche i nonni, gli amici, fino a coinvolgere l’intera società.
Ma “nessuno mostra mai agli interessati, in modo credibile, un’alternativa che eppure esiste quasi sempre”. Gli avvocati e i magistrati, trincerandosi “dietro la retorica dei diritti individuali, per i quali bisogna dare al cliente ciò che chiede ed è nel suo diritto” e gli stessi psicologi e psicoterapeuti, condizionati anch’essi dalla mentalità individualista dominante, sostengono il principio che le ragioni del desiderio individuale debbano sempre prevalere su quelle della continuità dei legami.
Anche i mediatori familiari, che dovrebbero rappresentare una risposta alternativa a quella del contenzioso legale, sono ormai concordi nell’affermare che la loro funzione non consiste nel cercare di evitare la separazione e il divorzio, ma nel renderli meno conflittuali, ritenendo così di salvaguardare anche gli interesse dei figli.
In questo coro di voci il libro di Fiorin costituisce una nota dissonante, poiché nasce dalla convinzione, fondata sulla base di esperienze professionali, che, dare alle persone consigli e sollecitazioni atte a far riflettere sulle conseguenze, a volte devastanti, a cui portano le proprie scelte, può portare a cambiare idea sul divorzio. Non si tratta di millantare soluzioni facili e a buon mercato, ma di sapere che nulla è mai definitivamente perduto e che, in ogni caso, vale la pena di agire avendo come scopo la riconciliazione. La rivoluzione culturale in corso ha modificato radicalmente i costumi e la mentalità delle persone, minacciando le relazioni umane e lo sviluppo umano integrale della persona.
Dagli anni Settanta in poi, si è visto che il divorzio libero e incondizionato ha portato grandi sofferenze e disgregazione in seno alle famiglie. In questo contesto la figura del “conciliatore familiare” può aiutare a ricuperare nella famiglia la ricerca del bene comune di tutti suoi membri, riscattandoli dalla condizione di “individui” facilmente manipolabili e succubi al richiamo dei facili consumi che inducono a credere alle chimere del “tutto e subito”.
Da recenti ricerche sociologiche emerge una forte nostalgia collettiva per il modello naturale della famiglia fondata sul matrimonio. Chi si adopera come riconciliatore delle relazioni familiari, deve far perno su queste istanze per rafforzarle, nell’intento di ricostruire insieme modelli di vita improntati a un umanesimo che ricuperi le forme tradizionali di una cultura familiarista, secondo un linguaggio antico e nuovo, libero da inutili nostalgie verso un passato senza ritorno, ma capace di andare incontro ai disagi e alle profonde sofferenze sia individuali sia collettive degli uomini e delle donne del nostro tempo, che sono alla ricerca di identità e di senso nella loro vita.

A cura di Lucia Baldo