Risonanze dal Capitolo delle Fonti (Assisi 9-11-2018)

img129 (2)Il Capitolo delle Fonti ha avuto come particolare finalità la preparazione alla Giornata Mondiale dei Poveri, riportando al cuore la preziosa eredità di S. Francesco, una eredità che lui stesso ha unito indissolubilmente alla parola povertà. Ce lo ha reso evidente l’arte meravigliosa di Giotto che ha saputo tracciare nella Basilica Superiore i momenti fondamentali della sua vita, le sue scelte che costituiscono una ininterrotta risposta di amore all’Amore che ha pervaso totalmente la sua esistenza; scelte profetiche al punto che dopo otto secoli non perdono nulla della loro forza e risuonano più che mai come un annuncio salvifico per gli uomini e le donne del nostro tempo, proprio a partire da quella spogliazione che tutto affida e si affida al Padre che sta nei cieli. In tutto questo ha una preminenza la povertà: farsi povero è la condizione necessaria per la sequela di Cristo povero e crocifisso. L’evangelizzazione ricevuta da Francesco è stata senz’altro il Cristo del Vangelo ma tutto questo ha preso carne in lui nell’incontro con i poveri che Francesco sente come propri maestri, perché pongono in primo piano ciò che è veramente umano, gli fanno avvertire la incommensurabile dignità di ogni uomo, ben aldilà degli orpelli della ricchezza, e lo rimandano alla precarietà della vita con tutto ciò che implica di attenzione alla propria creaturalità.
Nella riflessione, nella preghiera, nelle Celebrazioni, abbiamo cominciato a porci davanti a quel “lasciarsi evangelizzare dai poveri” che vuole guidarci a contemplare il mistero di Cristo che si fa povero perché noi possiamo arricchirci della sua povertà e divenire fratelli. Le indicazioni della Giornata Mondiale dei Poveri si sono rivelate a noi come un accompagnamento a comprendere ciò che è centrale per la vita della Chiesa, da cui nessuno può sentirsi esonerato.
Così si esprime Evangelii Gaudium: “Rimanere sordi al grido dei poveri, quando noi siamo gli strumenti di Dio per ascoltare i poveri, ci pone fuori dalla volontà del Padre e dei suoi progetti”. Tutta la Chiesa è chiamata a lasciarsi evangelizzare dai poveri per vivere come “Chiesa dei poveri”, madre di tutti. Quando parliamo di povertà, ci ricorda Papa Francesco, parliamo innanzitutto di una categoria teologica perché Cristo si identifica nei poveri e vuole indicarci per questa strada la via della salvezza.
La relazione di P. Nicola Riccardi ofm (Etica economica, Pontificia Università Antonianum), con la intensa e articolata lettura del Messaggio di quest’anno “Questo povero grida e il Signore lo ascolta”, ha portato in presenza la sfida della povertà involontaria, subito sottolineando come il Messaggio con i verbi gridare, ascoltare, rispondere, liberare, ci immetta nel cuore della relazione, ponendoci immediatamente davanti ad un punto chiave: la rottura dell’individualismo, che è la radice proprio della povertà involontaria, della povertà subita. Tutto questo ci interpella alla comunione, a divenire uomini e donne di comunione attraverso la rigenerazione della cultura della relazionalità.
Una comunione profonda, responsabile, nei confronti dell’indigente. Il problema del mondo di oggi è che non sa più ascoltare. Siamo capaci ancora di responsabilità verso qualcuno? O la forma di attenzione miope è sempre rivolta al nostro io? Francesco è stato l’uomo della comunione perché è stato l’uomo dell’ascolto. Ascoltare il grido del povero, nelle tante sfaccettature di sofferenza che l’umanità oggi vive, ci chiama a rispondere a questo grido e a liberare dal giogo delle ingiustizie che platealmente si distendono sotto i nostri occhi nella forma di uno sviluppo economico sempre più escludente, che separa e scarta, in un crescendo di disuguaglianze sempre più distruttive dell’umano.
Il Messaggio di Papa Francesco investe il cristiano perché assuma la sua responsabilità, responsabilità di denunciare questo stato di cose e di non sostenerlo più, innanzitutto con uno stile di vita che tengo conto dei poveri. Qui “manca l’operare dell’uomo” ha evidenziato p. Riccardi: non siamo stati in grado di generare sviluppo sostenibile, capace di durata nel tempo e di inclusività. Dobbiamo generare sistemi sociali, politici, economici più giusti; e qui occorre una conversione profonda, impegno, discernimento, mobilitazione per il bene comune a partire dai propri contesti fino ad abbracciare la dignità negata in ogni parte della terra. sempre ricordando che il benessere umano non dipende unicamente dalla ricchezza economica, ma deve alimentarsi dei beni relazionali, i beni sociali, la solidarietà, i beni naturali. “I poveri mangeranno e saranno saziati” quando noi avremo recuperato questo rapporto con l’altro.
P. Pietro Messa ofm (Storia del francescanesimo, Pontificia Università Antonianum) con la sua riflessione “Francesco tra misericordia e povertà”, ha evidenziato come nel Testamento, quando S. Francesco ricapitola la sua esperienza cristiana, sia centrale il “fare misericordia”. Francesco vive la misericordia e la misericordia lo rende povero, anche se potremmo subito notare che è nell’incontro col lebbroso – a cui il Signore lo ha condotto – che egli diventa capace di usare a sua volta misericordia. Ed è bello vedere anche qui come l’aspetto relazionale sia in primo piano, anzitutto in relazione al Signore e in relazione all’altro a cui il Signore lo conduce. P. Pietro ha poi voluto esprimere in una sintesi originale e appassionata, come si è venuta “trafficando” l’eredità della povertà nel carisma francescano attraverso la categoria di un uso povero dei beni. L’uso povero dei beni porta dentro sempre il discorso relazionale. Con Dio, perché riconosce che tutti i beni vengono da Lui e i suoi doni sono per tutti. Tutto quello che tu hai (doti, qualità, tempo) è da restituire a Dio. E con i fratelli, dando corpo al discorso etico: non ci può essere un uso privatistico, individualistico. L’uso va relazionato al bene comune, al bene di ciascun uomo e di tutti gli uomini. P. Messa ci ha evidenziato così quella indicazione determinante anche per la vita laicale a farci poveri quali “amministratori della multiforme grazia ricevuta” con competenza e amore (vedasi articolo a seguire).
Con la riflessione “Chiara povera tra i poveri” Sr. Lorella Mattioli (Suore francescane della Beata Angelina) ci ha avvicinato alla luminosa esperienza di S. Chiara attraverso tre passaggi della sua vita: la conversione con la scelta della povertà come libertà dai beni: la povertà nella condizione della malattia; la povertà come spogliazione di tutto.img131
Nella prima tappa appare già che la povertà di Chiara, come quella di Francesco, è una povertà concreta (concretamente in S. Damiano significa il lavoro manuale e affidarsi all’elemosina), mentre al tempo c’era un’idea di povertà come strumento di ascesi per guadagnare il Paradiso. Chiara condivide la condizione del povero mettendosi nella loro situazione che non è solo di indigenza, ma di disprezzo, di emarginazione. Per Chiara la povertà ha un significato cristologico. Questa forma di vita – la povertà come forma di vita del Figlio di Dio sulla terra – Francesco la consegna a Chiara. La povertà è il modo per vivere il Vangelo. E Chiara con atteggiamento filiale chiede il privilegio di non avere nulla su cui contare. La seconda tappa mette in rapporto la povertà con la malattia. A 31 anni Chiara si ammala e vive per 29 anni da inferma.
Chiara inizia a conoscere la sua povertà creaturale.
Quando Francesco gli aveva chiesto di prendersi cura delle sorelle, il suo essere sorella era diventato il suo essere madre; poi per 29 anni è lei ad avere bisogno delle sorelle. La malattia purifica Chiara dal volontarismo ascetico: deve permettere alle sorelle di prendersi cura di lei. Chiara entra così in un’altra sapienza: la sapienza del povero e la sua regola è piena di equilibrio perché è scritta assieme alle sorelle. E’ una nuova conversione dove brilla la conformazione a Cristo giorno per giorno e il valore della fraternità. La terza tappa, povertà come spogliazione di tutto, inizia con la morte di Francesco. Qui c’è la solitudine del cuore. In questo passaggio rinasce come madre e custode della vita evangelica dell’Ordine e farà appello a tutta la sua audacia per difendere il privilegio della povertà. E poi l’ultimo passaggio, l’ultima restituzione, la morte, con ciò che ne consegue: che ne sarà del carisma? E qui la povertà di Chiara deposita tutto nelle mani del Padre “Padre ti affido il mio spirito”, ancora una volta povertà che ci arricchisce.
La vita ci spoglia – ha concluso Sr. Lorella. C’è una povertà volontaria che scegliamo e c’è una povertà involontaria, ma quella involontaria la possiamo far diventare volontaria. Nella nostra libertà può diventare disperazione o ricchezza se accolta.
Nella Celebrazione Eucaristica conclusiva alla Basilica di S. Chiara, portando al Signore il rendimento di grazie per la preziosità ricevuta, siamo stati invitati dal Vangelo a fare come la povera vedova che dona tutti i suoi spiccioli. Siamo partiti da Assisi con la sollecitazione profonda a metterci in cammino per l’assunzione di quella povertà che deve attraversare ogni fase della nostra vita, una sollecitazione a rinnovare il nostro rapporto con i poveri, a cominciare – come ci indica il Messaggio – dal non rimanere estranei, dunque a cominciare da quella attenzione di amore che onora la persona e cerca il suo bene.
L’ascoltare il grido del povero, il rispondere, il liberare il povero, coinvolge anche noi, ciascuno di noi. Se non c’è questo ascoltare e rispondere, se non c’è il liberare, che ne è della nostra umanità? E che ne è dell’umanità di ogni altro che va amato, onorato, liberato dal giogo di una povertà subita che calpesta la sua dignità?
Questa sana inquietudine ci deve accomapagnare!

A cura della Redazione

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