francesco in trono particolare

Un commento alla “Esortazione ai fratelli e sorelle della penitenza” (FF 178), prima redazione della “Lettera ai fedeli” di S. Francesco D’Assisi ci accompagnerà dalle pagine del Cantico a coglierne i tratti fondamentali per porci in una prospettiva di profonda conversione in questo Anno della Fede.

7. “… E SONO MADRI DEL NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO”
La maternità nei confronti di Cristo richiama la necessità di accogliere la Parola nel nostro corpo, cioè di metterla in pratica. Attraverso questo tipo di atti ci facciamo dimora della Parola e cresce in noi la sua conoscenza. Siamo trasformati e resi capaci di testimoniarla al mondo con le nostre opere sante che illuminano gli altri.
A questo proposito è interessante osservare che il metodo di S. Francesco nell’accostarsi alle Scritture non segue l’orientamento del suo tempo che utilizza gli autori greci e latini dell’epoca classica per interpretare il testo biblico. Per esempio la scuola di Chartres, S. Agostino, S. Girolamo… hanno un’impostazione platonica che non dà pari dignità alle due componenti dell’uomo e che impoverisce l’opposizione semitica paolina tra carne e spirito riducendola ad antagonismo tra corpo ed anima.
S. Francesco non è stato influenzato dalle scuole di pensiero del suo tempo, poiché non ha avuto un’istruzione clericale, ma si è accostato ed ha accolto le Scritture in un modo totalmente singolare. Non ha interpretato la Parola attraverso categorie umane, non ha chiuso Dio nel ditale della sua mente, ma ha invertito il percorso lasciando che sia Dio stesso a parlare di sé attraverso “l’affetto dell’amante”. Leggeva, di tanto in tanto, i libri sacri e riteneva tenacemente impresso nella memoria quanto aveva una volta assimilato: giacché ruminava continuamente con affettuosa devozione ciò che aveva ascoltato con mente attenta” (FF 1187). Quando gli chiesero se aveva piacere che le persone istruite, entrate nell’Ordine, si applicassero allo studio della Scrittura, rispose di sì purché studiassero non tanto per “sapere come devono parlare, quanto per mettere in pratica le cose apprese, e, solo quando le hanno messe in pratica, le propongano agli altri” (FF 1188). Voleva infatti che progredissero “nella conoscenza della verità, in modo tale da crescere contemporaneamente nella purezza della semplicità”.
L’accoglienza della Parola richiede il filtro dell’esperienza. Si tratta di dare concretezza e di calare nel tempo ciò che altrimenti sarebbe parola vuota del calore gioioso di una vita conformata al modello Cristo.
Ai frati S. Francesco dice: “tutti i frati predichino con le loro opere” (FF 46) e “ciascuno rimanga in quel mestiere ed in quella professione cui fu chiamato” (FF 24).
Ai fedeli laici dice di essere “madri del Signore nostro Gesù Cristo” portandolo nel cuore e nel corpo “per virtù dell’amor di Dio e di pura e sincera coscienza” (FF 178/2).
Tutti gli uomini devono accogliere la Parola vivendola nell’esperienza quotidiana prima di porgerla agli altri. La testimonianza non è solo un’attività esterna, ma si fonda sull’intera esistenza cristiana che deve illuminare con l’esempio.
In questo modo non c’è spaccatura tra chierici e laici, neanche all’interno del Prim’Ordine. Anzi perfino il frate che non ha il compito di generare figli nella Chiesa, ne ha dati alla luce moltissimi come “la sterile” (FF 749), mentre il predicatore che ha molti figli corre il rischio di comparire sterile perché “in essi non c’è niente di suo”.
Inoltre tutti i fedeli hanno il compito materno di partorire Cristo attraverso “le opere sante che debbono illuminare gli altri con l’esempio” (FF 178/2). Così come aveva fatto S. Francesco stesso che partoriva ogni giorno Cristo (cfr. FF 1134) o come S. Chiara che, insieme alle sue consorelle, si poneva come “esempio e specchio” (FF 2829) per tutti.

Graziella Baldo