Riportiamo alcune riflessioni di p. P. Benanti TOR sul tema della produzione della carne sintetica, contenute nel suo libro dal titolo “L’hamburger di Frankenstein. La rivoluzione della carne sintetica” EDB 2017. Il libro è stato oggetto di dibattito nell’incontro “Leggere il presente” del 24 maggio 2018 presso la parrocchia S. Maria Annunziata di Fossolo in Bologna.

img173 (6)Il francescano Paolo Benanti del TOR nel suo volumetto “L’hamburger di Frankenstein. La rivoluzione della carne sintetica”, affronta un tema di cui oggi si comincia a parlare anche in Italia (sia pure con un certo ritardo), relativo all’invenzione nel 2013 della carne sintetica o in vitro o artificiale, da parte di un team di biotecnologi olandesi. Si tratta di un hamburger ottenuto in provetta utilizzando cellule muscolari nutrite con proteine per produrre la crescita del tessuto.
Importante è rilevare la flessibilità con cui si produce questa carne sintetica, poiché non è detto che si debbano moltiplicare per forza fibre muscolari geneticamente identiche a quelle di un animale. Si apre cioè l’idea di poter modificare la costituzione genetica della carne per poterla rendere più nutriente, più facilmente digeribile o semplicemente in grado di crescere più velocemente.
La modifica genetica della carne apre la strada anche alla creazione di alimenti ibridi: potremmo creare l’hamburger di Frankenstein.
Ma ci chiediamo: tutte queste manipolazioni sono lecite? Può una struttura cellulare modificata e ibridata essere commercializzata e considerata commestibile?
Ci accorgiamo che i confini tra naturale e artificiale stanno sfumando. L’avvento del cyborg (uomo-macchina), la nascita della biologia sintetica e lo sviluppo della carne in provetta mostrano come tutto sia divenuto manipolabile e dominabile. Ciò significa che ci stiamo avviando verso una realtà in cui la distinzione tra naturale e artificiale è destinata a scomparire? Se questo sta avvenendo, quali saranno le possibili conseguenze?
Si dice che una volta avviato il processo della produzione della carne in vitro, in teoria è possibile continuare a produrre carne all’infinito senza aggiungere nuove cellule di un organismo vivente. Di fronte a un progresso annunciato come strabiliante, per realizzare la produzione della carne sintetica sono stati stanziati 331400 dollari non da un grande produttore della carne, come ci si aspetterebbe, ma dal donatore Sergey Brin, uno dei due fondatori del colosso informatico Google.
È bene ricordare che oggi nel mondo solo dieci compagnie ogni anno uccidono e macellano l’88% dei suini destinati all’alimentazione umana. I processi industriali di produzione della carne, grazie all’utilizzo intenso di tecnologia, producono carne a prezzi impensabili per i piccoli allevatori che soccombono di fronte a una concorrenza di grandi allevatori alla ricerca di incrementare i guadagni, di aumentare l’efficienza e trarre profitti sempre maggiori.
Allora perché i maggiori investimenti per produrre carne sintetica non provengono dai colossi industriali, ma da un magnate dell’alta tecnologia informatica? Siccome l’universo consiste principalmente di informazioni, essere capaci di gestire le informazioni e di controllarle tecnologicamente significa avvicinarsi sempre più a saper controllare la dinamica più intima della vita.
Il mondo dell’informazione, che caratterizza la contemporaneità, non è analogo al mondo delle teorie scientifiche moderne. Nell’Occidente l’informatica è un complesso industriale ed economico tale che il 75% del PIL dei Paesi del G8 dipende dall’informazione.
Se ci si lascia sommergere dall’informazione, si può diventare adepti di una nuova religione: il “dataismo” i cui seguaci percepiscono l’universo come un flusso di dati di cui l’uomo, privato della sua specificità umana, fa parte alla stregua di un minuscolo chip inserito in un sistema sempre più guidato dalle intelligenze artificiali nell’assumere le decisioni più importanti della vita.
In questa visione anche la produzione di carne sintetica esprime il desiderio di controllo informatico della vita, affrancata dalle dinamiche naturali. Realizzare la carne in vitro significa riuscire a salvare i dati “incarnandoli”. Significa congiungere l’informazione con la realtà, facendola diventare viva. Questo potere che deriva dal controllo informatico della vita costituisce la nuova frontiera della società attuale.
È lecito tutto questo?
Si dice che la carne in vitro potrebbe risolvere i problemi della produzione di carne in modo da soddisfare il bisogno alimentare a livello planetario, senza pensare che la diffusione di queste tecnologie comporterebbe un’ulteriore tecnicizzazione del comparto alimentare e la conseguente esclusione dei piccoli produttori a bassa tecnologia. Particolare timore desterebbe l’impatto che la produzione di questa carne sintetica potrebbe avere sull’economia locale dei Paesi poveri, creando gigantesche forme di disuguaglianza ancora più gravi di quelle già in atto e dando vita a un nuovo colonialismo di stampo alimentare molto dannoso perché dominato dal libero mercato, dalla legge della domanda e dell’offerta, senza nessuna regolamentazione.
Occorre tener conto anche che a causa della limitatezza delle risorse economiche, è necessario scegliere se favorire una ricerca o un’altra, ovvero sviluppare un prodotto biotecnologico piuttosto che finanziare la ricerca per il trattamento di una malattia.
Queste considerazioni non sono prive di implicazioni etiche. Perciò, secondo Benanti è urgente la creazione di organismi o istituzioni super partes che garantiscano la governance delle biotecnologie.
Solo realizzando luoghi istituzionali dove le varie forme di dialogo etico e di regolamentazione delle biotecnologie possano avvenire, si potrà realizzare una vera ricerca del bene sociale. I credenti devono confrontarsi con la società, sapendo che anche di fronte alle incomprensioni, nel reciproco ascolto si possono aprire vie praticabili del bene, in modo che l’innovazione tecnologica non assuma manifestazioni disumanizzanti che prospettino forme di pensiero estremo come il postumanesimo e il transumanesimo.
Le riflessioni morali e teologiche hanno il compito non tanto di individuare soluzioni tecniche ai problemi, quanto di porre domande critiche sul senso dell’umano e sulle modalità che possono garantire uno sviluppo autentico. In particolare per la produzione della carne in vitro si dovrà essere certi che il suo consumo non nuoccia alla salute umana e non produca una nuova generazione di poveri.
Servono strutture e luoghi dove le diverse competenze sappiano costruire soluzioni ai problemi d’oggi. Solo in questo modo sarà possibile offrire un’adeguata governance di queste biotecnologie, orientandone lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione verso il bene comune.

Lucia Baldo