Nel percorso di approfondimento sugli “Stili di vita per un nuovo vivere insieme”, la sessione della Scuola di Pace, tenuta a Roma presso Casa Frate Jacopa nei giorni 14-16 giugno, ha inteso mettere a fuoco il nesso tra il mandato del “custodire” e lo sviluppo di un’etica capace di orientare alla logica del dono.

p. Martin Carbajo OFM

p. Martin Carbajo OFM

Mi è stato chiesto di parlarvi su un’etica della gratuità e del dono nella prospettiva francescana. Per introdurci al tema, possiamo cominciare ricordando una preghiera che il cardinal G.B. Montini, il futuro Papa Paolo VI, pronunciò nella basilica di Assisi il 4 ottobre 1958:
«Francesco, aiutaci a purificare i beni economici dal loro triste potere di perdere Dio, di perdere le nostre anime, di perdere la carità dei nostri concittadini. Vedi, Francesco, noi non possiamo estraniarci dalla vita economica, è la fonte del nostro pane e di quello altrui; è la vocazione del nostro popolo, che sale alla conquista dei beni della terra, che sono opere di Dio; è la legge fatale del nostro mondo e della nostra storia. È possibile, Francesco, maneggiare i beni di questo mondo, senza restarne prigionieri e vittime? È possibile conciliare la nostra ansia di vita economica, senza perdere la vita dello spirito e l’amore? È possibile una qualche amicizia fra Madonna Economia e Madonna Povertà? O siamo inesorabilmente condannati, in forza della terribile parola di Cristo: “È più facile che un cammello passi per la cruna d’un ago che un ricco entri nel regno dei cieli?” (Mt 19,24). Anche il nostro sant’Ambrogio ci aveva detto quelle parole tremende: “O ricco, tu non sai quanto sei povero!”, ma non le ricordiamo più; e non le abbiamo mai bene comprese. E anche tu, Francesco, non hai insegnato ai tuoi figli a lavorare, a mendicare e a beneficare, cioè a cercare e a trattare questi beni economici, di cui la vita umana non può essere priva?
Così insegnaci, così aiutaci, Francesco, a essere poveri, cioè liberi, staccati e signori, nella ricerca e nell’uso di queste cose terrene, pesanti e fugaci, perché restiamo uomini, restiamo fratelli, restiamo cristiani»
Sì, abbiamo bisogno oggi di imitare Francesco d’Assisi nel suo vivere la gratuità e il dono sentendosi gioiosamente unito a tutto il creato. Egli era un pellegrino, non un turista. Papa Francesco lo ha pubblicamente manifestato con i gesti e con le parole.  All’inizio del suo pontificato, diceva ai giornalisti: “Francesco d’Assisi è per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato; in questo momento anche noi abbiamo con il creato una relazione non tanto buona, no? È l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero … Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”.
Tutto è grazia, ha aggiunto il pontefice, e «quando noi vogliamo fare in una modalità dove la grazia» viene «un po’ lasciata da parte, il Vangelo non ha efficacia» «Quando troviamo apostoli che vogliono fare una Chiesa ricca e una Chiesa senza la gratuità della lode, la Chiesa invecchia, la Chiesa diventa una ong (Papa Francesco, Omelia 11-06-2013). [1].

Il bisogno di un’etica della gratuità e del dono.
Nel corso dell’esposizione useremo con una certa frequenza i concetti di dono e gratuità. Conviene indicare fin dall’inizio che il dono non va sempre unito alla gratuità, perché può rispondere a un obbligo oppure a motivi rituali. Può anche essere ridotto a un regalo “a costo zero” (gratis), che risponde a motivazioni utilitaristiche o consumistiche. Più che al “costo zero”, la gratuità si associa a un valore infinito: qualunque traduzione monetaria la svaluterebbe.
“Andate, dunque, per l’elemosina con fiducia e animo gioioso, con la benedizione del Signore Dio. E dovete andare più liberamente e con animo più gioioso di uno che per una sola moneta offrisse in cambio cento denari, poiché a coloro cui chiedete l’elemosina voi offrite in cambio l’amore di Dio, quando dite: ‘fateci l’elemosina per amore del Signore Dio!’: e, a paragone dell’amore di Dio, cielo e terra sono un nulla” (CAss 51).
La gratuità non è un contenuto, bensì l’atteggiamento o il proposito di chi agisce accogliendo e rispettando l’altro, considerandolo come un fratello, senza cercare di dominarlo o usarlo. Non a caso lo stesso vocabolo greco kharis (grazia, fonte di gioia) è all’origine delle parole “carisma” e “gratuità” (latino: gratuitus, gratia). La felicità pubblica è possibile solo quando ognuno si dona per costruire la comunità e quando persone carismatiche, come Francesco d’Assisi, aiutano a riscoprire il potenziale dell’amore-agape nella vita pubblica. L’economia francescana è espressione di quella logica del dono-gratuità che alimenta le relazioni fraterne nella ricerca, libera e generosa, del bene comune.
La gratuità non si riduce ad assenza di ricompensa (gratis, costo zero): esige anche una motivazione interna positiva che sia espressione di libertà e di apertura all’incontro interpersonale. Se viene a mancare questo elemento relazionale, si potrà parlare di altruismo, beneficenza, filantropia, ma non di gratuità; sarà per gli altri, ma non con gli altri; creerà dipendenza, umiliazione, ma non reciprocità né autentica relazione.
L’uguaglianza e l’equivalenza non devono essere matematiche; è sufficiente che i beni relazionali in gioco compensino la differenza esistente tra i doni scambiati. Diceva Tacito che i doni sono benvenuti purché possano essere corrisposti. Se sono troppo grandi, invece di gratitudine genereranno odio.

1.1. La gratuità esclusa o ignorata
Secondo Todorov, le principali correnti del pensiero filosofico europeo presuppongono che l’uomo non sia intrinsecamente sociale e quindi non abbia veramente bisogno di vivere in società, anche se quest’ultima gli potrebbe risultare conveniente. Di fatto, oggi si pensa che lo scopo dell’attività economica sia la massimizzazione della ricchezza e che questo escluda la possibilità di relazioni gratuite e fraterne. “Si è malauguratamente instaurato un sistema che considerava il profitto come motore essenziale del progresso economico, la concorrenza come legge suprema dell’economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come un diritto assolutosenza limiti né obblighi sociali corrispondenti” (PP 26).
Se si promuove la generosità dei benestanti, ciò avviene solo per far digerire meglio le enormi disuguaglianze provocate dalla guerra economica, ma non si mette in discussione il sistema che le ha provocate. I ricchi si presentano come benefattori dell’umanità, perché incrementano la ricchezza e, inoltre, sono generosi con quelli che non si impegnano o non sanno guadagnarsi da vivere. Questa concezione risulta umiliante per quelli che non sono in grado di competere nell’ambito del mercato e, pertanto, diventano oggetti passivi (e anonimi) della carità altrui. Invece di essere protagonisti, vengono ridotti a parassiti sociali.

1.2. La rivalutazione della gratuità
Superate le difficoltà e la miseria del periodo postbellico, durante gli anni Sessanta del secolo scorso regnava un notevole ottimismo sulla capacità umana di sradicare la povertà e le disuguaglianze. Sembrava evidente che lo sviluppo economico sarebbe stato in grado di assicurare felicità e benessere a tutta l’umanità e di garantire un futuro di pace. Non si avvertiva ancora come urgente il problema della sostenibilità dell’ecosistema. Orientando gli aneliti e le speranze di quell’epoca, Paolo VI dichiarò profeticamente che lo sviluppo integrale “di tutto l’uomo e di tutti gli uomini” “è il nuovo nome della pace” (PP 42; 87).
Negli ultimi decenni, tuttavia, si è insistito maggiormente sui rischi che tale sviluppo implica e sulla necessità che esso vada sempre legato ai beni relazionali, tra cui la reciprocità, l’emotività e la gratuità. Già nel 1974, Easterlin constatava che il solo aumento dei beni materiali non basta per garantire la felicità delle persone.
Il consumismo obbliga a una crescita indefinita del prodotto lordo che mette in pericolo la sostenibilità dell’ecosistema, così come affermava, nel 1972, il Rapporto sui limiti dello sviluppo. È necessario, quindi, rivedere il nostro stile di vita e il modo di relazionarci. Non è solo un problema di ecologia fisica, ma anche di ecologia umana.

1.3. L’attualità del pensiero francescano
In questo nuovo contesto, acquisisce forza la prospettiva francescana, che ribadisce la necessità

S. Francesco a Ripa

S. Francesco a Ripa

di unire efficienza e solidarietà, beni materiali e beni relazionali, capitale economico e capitale sociale. Anche se, in una situazione ideale, si riuscisse a ridurre la povertà materiale, non per questo diminuirebbe la necessità della “comunitas”.
Negli ultimi decenni, infatti, l’attualità e la rilevanza del pensiero francescano hanno beneficiato di un crescente riconoscimento. L’enfasi che i seguaci di Francesco danno alla libertà, al dialogo e alla fraternità, in tutti i campi della vita umana, anche in quello economico, risulta chiaramente in sintonia con le aspirazioni dell’uomo contemporaneo. Di fatto, Duns Scoto, “maestro e guida della Scuola Francescana”1, fu proposto da Paolo VI, nel 1964, come modello dello spirito del dialogo che il Concilio Vaticano II aveva incoraggiato e che egli stesso aveva adottato come aspetto rilevante del suo pontificato (Es 27). La dottrina e la personalità del Dottore sottile sono consone a quell’atteggiamento ospitale che Paolo VI richiede per incoraggiare sia il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale, sia l’incontro con il mondo contemporaneo e con l’ateismo.
“Nella nostra epoca, pur ricca di immense risorse umane, tecniche e scientifiche […], il Beato Duns Scoto si presenta […], per la Chiesa e per l’intera umanità, Maestro di pensiero e di vita”[2]. Dal suo tesoro intellettuale “si potranno ricavare lucide armi per combattere e allontanare la nube nera dell’ateismo che offusca l’età nostra”. Inoltre, “la dottrina di Scoto potrà offrire un aureo ordito” per poter “tessere sereni colloqui” con altre confessioni cristiane[3]. Giovanni Paolo II conferma l’esemplarità di Scoto per un “serio dialogo nella ricerca dell’unità” e ratifica che egli è “ancor oggi un pilastro della teologia cattolica, un Maestro originale e ricco di spunti e sollecitazioni”.
Se nel periodo post-conciliare il dialogo era stato proposto come atteggiamento fondamentale nell’incontro della Chiesa cattolica con gli altri credenti e con il mondo secolarizzato, attualmente è visto sempre più come una condizione indispensabile per la convivenza pacifica nella società globa-le. Bauman afferma che il dilemma attuale dell’umanità consiste nel “parlare insieme o morire insieme”[4]. Sono in gioco la vita umana e la sostenibilità di tutto l’ecosistema.

2. Principi basilari per un’etica della gratuità
Il contributo francescano a un’etica della gratuità e del dono si basa su quattro principi fondamentali e correlativi: libertà, gratuità, fraternità e bene comune.

2.1. Il principio di libertà
La libertà e la gratuità vanno sempre unite. Senza libertà non c’è gratuità e viceversa. Inoltre, la libertà e la gratuità portano necessariamente alla fraternità e al bene comune. Riconoscendo che tutto è frutto gratuito di una volontà amorosa, l’essere umano si sente sollecitato al dono di sé e all’incontro rispettoso, disinteressato, con tutta la creazione.
L’attuale concezione della libertà si afferma con il cristianesimo[5], ed è un fatto riconosciuto da Hegel: “La libertà è l’essenza propria dello spirito e cioè la sua stessa realtà. Intere parti del mondo, l’Africa e l’Oriente, non hanno mai avuto questa idea e non l’hanno ancora: i Greci e i Romani, Platone e Aristotele e anche gli Stoici non l’hanno avuta: essi sapevano, per contrario, che l’uomo è realmente libero mercé la nascita (come cittadino ateniese, spartano ecc.) o mercé la forza del carattere o la cultura, mercé la filosofia […]. Quest’idea è venuta nel mondo per opera del cristianesimo, per il quale come tale l’individuo ha un valore infinito, ed, essendo oggetto e scopo dell’amore di Dio, è destinato ad avere relazione assoluta con Dio come spirito, e a far sì che questo spirito dimori in lui: cioè l’uomo è in sé destinato alla libertà”[6].
Seguendo l’ispirazione del fondatore, i francescani elaborano una scuola di pensiero – il volontarismo – che difende la libertà come paradigma interpretativo di tutto quanto esiste, contrapponendosi così al freddo intellettualismo delle filosofie che interpretano la realtà come necessaria ed inevitabile, perché logica. Queste filosofie sostengono che il fatto di agire in modo necessario sia un segno della propria perfezione, perché non vengono contemplate altre azioni oltre all’unica adeguata.
La Scuola francescana afferma che Dio, Sommo Bene, è un essere completamente libero, creativo e disinteressato[7]: nulla gli viene imposto come necessario o universale, giacché può scegliere tra innumerevoli possibilità. Tutti gli esseri sono espressione di quella libertà amorosa che va oltre ogni capacità umana di comprensione.

2.2. Il principio di gratuità e l’effetto spiazzamento
Avendo creato il mondo come spazio per l’incontro libero e affettuoso, Dio fa alleanza con il suo popolo, si lega, e non per questo smette di essere infinitamente libero. Pertanto, non ha senso ridurre il concetto di libertà ad assenza di costrizione. La vera libertà è inseparabile dalla gratuità e dal dono. Nella logica francescana di gratuità, le relazioni puramente commerciali e utilitaristiche dell’homo oeconomicus sono subordinate alla gratuità, alla contemplazione, all’ospitalità, alla festa, al senso ludico, allo stare insieme, alla condivisione gioiosa e disinteressata. Dobbiamo potenziare in noi “quell’atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l’essere e per la bellezza“ (CA 37).
Oggi si fa ricorso frequentemente ad incentivi e ricompense nell’ambito imprenditoriale, ma raramente si riconosce l’importanza del dono-gratuità. Senza di esso, si cade facilmente nel cosiddetto “effetto spiazzamento” (crowding-out)[8], perché l’incentivo materiale annulla le motivazioni intrinseche dell’individuo e, a lungo andare, porta a un rendimento inferiore.
A tale proposito è risultato chiarificatore lo studio realizzato da Titmuss, nel 1970, nel quale si dimostrava che i donatori di sangue erano più generosi quando non ricevevano alcun compenso economico[9]. Con l’elargizione di un compenso, venivano meno sia la considerazione sociale (social reward) sia il valore che l’azione avrebbe avuto agli occhi di chi la compiva. Se un’impresa o un’istituzione fanno vedere che danno molta importanza al denaro, logicamente attireranno maggiormente quelli che, al momento di cercare un lavoro, sono mossi quasi esclusivamente da interessi pecuniari, senza altre motivazioni intrinseche. Questo non vuol dire che l’impresa etica debba per forza offrire un salario inferiore, per dissuadere i lavoratori che non sono in sintonia con i suoi ideali altruistici. L’auto-selezione dei candidati avviene soprattutto in base al modello ideale di lavoratore che l’organizzazione pubblicizza e, quindi, è necessario che l’impresa illustri chiaramente la sua ideologia, i suoi obiettivi e le sue priorità. Quando si punta al massimo, la gente risponde con generosità; al contrario, quando si abbassa il livello di ideali, si favorisce ancora di più la mediocrità, tanto dei lavoratori come della stessa istituzione[10].

2.3. Il principio di fraternità
I seguaci di Francesco d’Assisi propongono il principio di fraternità come guida e orizzonte dell’attività umana. In questa prospettiva, il prossimo non è un avversario da sconfiggere o ingannare per salvaguardare i propri interessi, ma un fratello del quale mi sento responsabile. Il suo valore non dipende da ciò che produce, ma dal semplice fatto di esserci. Il principio di fraternità porta a sentirsi responsabili dell’altro, a volergli bene come ad un fratello. In questa prospettiva, piuttosto che dare delle cose, il soggetto dona se stesso; invece di voler prevalere su un antagonista e di sconfiggerlo, ognuno cerca di aiutare l’altro a svilupparsi pienamente come persona unica e irripetibile nel contesto della comunità.
La fraternità va sempre unita alla relazione personale e mette in gioco non solo i beni economici, ma anche i beni relazionali. Ciascuno dà generosamente, in proporzione alle proprie possibilità (proporzionalità) [11], senza fare dei calcoli sulla base di ciò che potrebbe ricevere o che ha già ricevuto (equivalenza). La gratuità, in effetti, è la dimensione “sovraetica” dell’agire umano, perché la sua logica è quella della sovrabbondanza, che sta su un piano diverso dalla logica dell’equivalenza che si esprime nella giustizia. Piuttosto che fare un interscambio di prodotti dello stesso valore, ognuno dona all’altro quello che può. Infatti, quando l’altro è considerato un fratello, non si calcola minuziosamente l’equivalenza del valore dei prodotti che vengono scambiati e nemmeno risulta umiliante il fatto di dover chiedere aiuto, perché ognuno dona all’altro secondo le proprie possibilità. I beni relazionali che stanno in gioco compensano ampiamente l’eventuale differenza di valore tra i prodotti scambiati.

2.4. Il principio del Bene comune
Il Concilio Vaticano II ha definito il principio del bene comune come “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente” (GS 26; 74). Questo principio mette al centro il soggetto concreto e, a partire da esso, analizza le dimensioni etiche della realtà sociale. In questa prospettiva, il “bene comune” non è sinonimo di “bene totale”, benché il liberalismo materialista cerchi di renderli intercambiabili. Con la rivoluzione industriale e con l’affermazione della filosofia utilitarista di Bentham, l’economia di mercato smette di perseguire il bene comune e assume come unico obiettivo la massimizzazione dei benefici. Si giustifica la ricerca dell’interesse personale, senza preoccuparsi della comunità:
“L’interesse della comunità è una delle espressioni più generiche che si possano trovare nella fraseologia della morale […]. La comunità è un corpo fittizio, composto dalle singole persone considerate come sue membra. Quindi che cos’è l’interesse della comunità? La somma degli interessi dei vari membri che la compongono”[12].
Il concetto di efficienza è limitato alla produzione di beni materiali e si sacrifica ogni cosa per conseguire questo obiettivo. Se l’altro è uno sconosciuto mi sarà più facile cercare di approfittare di lui; pertanto, si privilegiano gli scambi commerciali impersonali.
Nella prospettiva cristiana, tuttavia, il bene comune è un principio etico che non si limita al benessere economico o a una semplice somma degli interessi particolari (CA 47). Il cristianesimo, infatti, intende promuovere lo sviluppo dell’essere umano in tutte le sue dimensioni.
“Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo […]. Nessuna forma espressiva della socialità […] può eludere l’interrogativo circa il proprio bene comune, che è costitutivo del suo significato e autentica ragion d’essere della sua stessa sussistenza” (Cdsc 164-165).

 

15 giugno 2013 Veglia per la vita

15 giugno 2013 Veglia per la vita

Conclusione
Avendo come modello la comunione eucaristica, i francescani promuovono lo sviluppo dell’intrinseca capacità umana di donazione. Non basta risolvere le necessità materiali, bisogna aiutare il bisognoso a ritrovarsi come persona, a sentirsi utile, apprezzato, e a collaborare gioiosamente alla costruzione della comunità. I frati propongono un tipo di impegno responsabile che porti a far fruttificare i propri talenti e a integrarsi bene nel corpo sociale.
Si può possedere un enorme capitale economico ed essere poveri in capitale sociale, cioè in “quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile” (CV 32). La legittima ricerca del beneficio personale non può essere perseguita a danno dell’ecosistema, mettendo a repentaglio il bene altrui o disinteressandosi del prossimo.
Il senso di gratuità e fraternità si estende anche a tutta la creazione. Continuando l’opera creatrice di Dio che è Amore, l’essere umano è chiamato a entrare in comunicazione affettuosa con ogni creatura. L’attività umana deve rispettare ed evidenziare il valore delle singole realtà (nominalismo) e il radicale orientamento verso il bene di tutto quanto esiste
Il volontarismo francescano sottolinea la bontà e singolarità di ogni essere, perché tutti sono frutto della volontà libera e amorosa di Dio. L’Amore che è Dio, ha fatto della creazione un bel poema, un libro, la cui dignità e bellezza globale possono essere captate solo da uno spirito contemplativo. Tutti siamo intimamente relazionati nella carità, perché facciamo parte di un unico progetto di amore. Ogni creatura, con la sua dignità e il suo obiettivo specifico, ha una propria voce nel cantico armonico che l’uomo indirizza al Creatore insieme a tutte le altre creature, mentre cerca di anticipare i cieli nuovi e la terra nuova.

p. Martin Carbajo Nùnez  OFM
Rettore della Pontificia Università Antonianum

 

[1] BENEDETTO XVI, «Lettera apostolica in occasione del VII centenario della morte del beato Giovanni Duns Scoto» (24- 10-2008): OR (24-12-2008) 8.

[2] GIOVANNI PAOLO II, «Confermazione del Beato Duns Scoto e proclamazione della beata Dina Bélanger» (20-03-1993), n. 4, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II. XVI/1 (1993) 708-713.

[3] PAOLO VI, Lettera apostolica Alma parens, (14-07-1966), n. 11 e 14: AAS 58 (1966) 609-614.

[4] Z. BAUMAN, «Parlare insieme o morire insieme: dilemma di tutto il pianeta», in CEI, Parabole mediatiche. Fare cultura nel tempo della comunicazione (Edb, Bologna, 2003) 23-34.

[5] M. COZZOLI, Etica teologica della libertà (San Paolo, Cinisello Balsamo 2004) 46-47.

[6] G. W. F. HEGEL, Enciclopedia de las ciencias filosóficas (Libertad, Buenos Aires 1944) § 482, 336. «Tutti gli uomini sanno di essere liberi e cioè è libero l’uomo in quanto uomo». ID., Lecciones sobre la filosofía de la historia universal (Revista de Occidente, Madrid 41974) 68. [La traduzione è mia].

[7] Nell’atto di creare, Dio non è mosso dall’interesse o dalla necessità, ma dall’amore: DUNS SCOTO, Ordinatio. III d.27 q.un. n.18-20 (Vat X 53-55)

[8] B. S. FREY, Not just for the money: An economic theory of personal motivation (Edward Elgar, Cheltenham 1997).

[9] P. ALCOCK – A. OAKLEY, Introduction», in P. ALCOCK et al. (eds.), Welfare and wellbeing: Richard Titmuss’s contribution to social policy (Policy, Bristol 2001) 1-10, qui 5.

[10] L. BRUNI – A. SMERILLI, Benedetta economia. Benedetto di Norcia e Francesco d’Assisi nella storia economica europea (Città Nuova, Roma 32010) 95.

[11] «Reciprocity demands adequacy of response, not mathematical equality». K. POLANYI, Primitive, archaic, and modern economies (Beacon, Boston 1971) 89.

[12] J. BENTHAM, «Introducción a los principios de la moral y la legislación», in ID. Antología (Península, Barcelona 1991) 46.