Dalla celebrazione presieduta a Bologna in Cattedrale da S.E. Mons. Mario Toso
Vescovo di Faenza-Modigliana e Delegato per la Pastorale sociale e del lavoro
della Conferenza Episcopale dell’ Emilia Romagna

Celebriamo oggi, anticipandola, la memoria di san Giuseppe lavoratore. Essa cade in un contesto di pandemia che ha evidenziato una crisi sanitaria, connessa ad altre crisi, mettendole a nudo e ingrandendole: crisi sociale, economica, ecologica, alimentare, crisi umanitaria delle migrazioni. Ci fermiamo qui alla crisi economica e del lavoro, congiunta ai problemi delle transizioni tecnologiche ed ecologiche. Nel mondo del lavoro, come sottolinea il Messaggio dei vescovi italiani per la festa del primo maggio 2021, si sono aggravate le diseguaglianze esistenti e si sono create nuove povertà. Dall’inizio della pandemia ad oggi si censisce circa un milione di disoccupati. Ad essere colpiti maggiormente sono i giovani e le donne. Le misure di sostegno all’occupazione e ai redditi dei lavoratori hanno attutito l’impatto sociale della pandemia.
Ma se il Governo ha bloccato i licenziamenti quando verrà tolto il blocco la situazione potrà diventare drammatica. A ben considerare la nostra situazione, ci troviamo di fronte alla necessità di far rinascere il nostro Paese e di ripensare il mondo del lavoro e della formazione professionale, in un periodo di transizione ecologica, di digitalizzazione, come anche di rigenerazione delle politiche economiche e lavorative.
A fronte di una crisi cruciale, decisiva per il futuro, è necessario un impegno corale per il bene comune, mediante la rete dei legami di solidarietà, la forza delle iniziative della società civile e degli enti intermedi che si connettono e collaborano secondo sussidiarietà.
In vista della rinascita del Paese e della rigenerazione del pensiero, della progettualità necessaria, per i credenti e gli uomini di buona volontà, è sempre disponibile – non dobbiamo dimenticarlo – quel patrimonio di fede e di ragione che è condensato nell’Insegnamento sociale della Chiesa. Un tale patrimonio di sapienza offre l’umanesimo personalista, relazionale, aperto alla Trascendenza che alimenta una visione del lavoro quale bene fondamentale per la crescita della persona, della famiglia, della Nazione e del creato.
Il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro. L’uomo è per Dio: non di solo lavoro vive l’uomo. Un lavoro degno dell’uomo è antidoto alla povertà e titolo di partecipazione se lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale.
A proposito del lavoro, la Dottrina sociale non suggerisce ricette di pronto impiego. Con riferimento alla disoccupazione odierna, afferma papa Francesco, il vero obiettivo non è tanto quello del «reddito per tutti», di aiutare con rimedi provvisori, con il denaro, quanto piuttosto quello del «lavoro per tutti», di consentire una vita dignitosa mediante il lavoro. Questo è il miglior aiuto per il povero, perché fa germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze (cf FT 162).
Nell’ISC aggiornato, per i credenti, si propone, in particolare, l’uso del discernimento sociale, articolato secondo momenti interrelati, che si appartengono reciprocamente. Ossia i momenti del vedere, giudicare, agire e del celebrare. Quest’ultimo, che può diventare anche il primo della fila, quale punto di partenza del cammino di discernimento, ci richiama a ciò che stiamo facendo ora: la celebrazione dell’Eucaristia, fonte e culmine della vita cristiana. Detto altrimenti, di fronte ai vari cambiamenti e alle diverse questioni sociali, come quelle contemporanee, la Dottrina Sociale ci sollecita a muovere i primi passi di analisi, di valutazione, di progettualità, di rinascita, partendo proprio dalla celebrazione dell’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo, nostro Signore.
La memoria che l’Eucaristia fa di tali eventi ci fa pensare non solo all’associazione definitiva dell’umanità all’immortalità del Figlio risorto, ma anche alla sua presenza, invisibile ma reale, nella storia. In essa, dopo la sua risurrezione, continua l’opera di compimento della prima creazione, iniziata con l’incarnazione.
Il Beato Angelico raffigura tutto ciò in un modo stupefacente, mostrando il Cristo risorto davanti alla sua tomba, con una zappa in spalla e la Maddalena accanto. E questo per farci capire che il Cristo, dopo la sua risurrezione, non si allontana da questo mondo, ma continua a lavorare in esso. Noi che siamo battezzati, cresimati ed eucaristizzati, per questo siamo viventi in Lui, siamo chiamati ad associarci alla sua opera per portare a compimento quanto Egli ha iniziato. Sant’Ambrogio giunge a dire che ciascun lavoratore è la mano di Cristo che continua a creare e a fare del bene (De obitu Valentiniani consolatio, 62: PL 16, 1438).
Con la nostra partecipazione alla Messa, a questa Eucaristia, al sacrificio di Gesù Cristo, veniamo continuamente in possesso di un nuovo pensiero, del suo Spirito d’amore. Questi ci consentono di fronteggiare la difficile situazione del lavoro in tempo di Covid con una nuova visione e una nuova mentalità, con nuove energie. La condivisione dell’umanità risorta di Cristo ci aiuta a vedere con occhi diversi, ad amare con un cuore nuovo le persone che lavorano o che sono senza occupazione.
La co-risurrezione della nostra umanità con Cristo ci fa portatori di una nuova antropologia del lavoro, per cui esso non può essere posto in subordine alle nuove tecnologie e alla finanza, pur importanti per lo sviluppo integrale ed inclusivo. Il lavoro ha il primato sul capitale. Lo Spirito d’amore di Cristo ci aiuta ad affrontare i problemi del lavoro, specie dei giovani e delle donne, con uno spirito di tenerezza, ossia rendendoci vicini concretamente a chi è bisognoso di un aiuto non vago, ma efficace.
I credenti, in particolare, portatori di un amore fraterno, si faranno promotori di svariate iniziative di sostegno alle imprese, affinché non licenzino i dipendenti.
Emblematico di un amore fraterno, caratterizzato da tenerezza, è senza dubbio il «Patto san Petronio», che ha visto la luce proprio qui a Bologna, mediante la sinergia di più soggetti (Chiesa di Bologna, Caritas diocesana, Cassa Centrale Banca-Credito Cooperativo italiano, Società del Gruppo Allitude, Assicura e altri).
Assieme a questa buona pratica ne sono sorte altre. A Milano è sorto il Fondo san Giuseppe per aiutare chi ha perso lavoro e reddito. Altre ancora saranno suscitate dall’immaginazione fraterna. La perdita del lavoro, che colpisce tanti fratelli e sorelle, e che è aumentata a causa della pandemia di Covid-19, dev’essere un richiamo a rivedere le nostre priorità, i nostri stili di vita, la nostra cultura consumistica e tecnocratica.
Imploriamo san Giuseppe lavoratore perché possiamo trovare strade che ci impegnino a dire coi fatti: nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro. San Giuseppe, padre della tenerezza ci aiuti e ci sostenga.

+ Mario Toso
Vescovo di Faenza e Modigliana

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata