Segnaliamo all’attenzione dei lettori l’interessante Lettera Pastorale scritta da S.E. Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze, per una riflessione su alcuni aspetti di fondo dell’esistenza.
Ne presentiamo alcuni brevi stralci.

L’incontro dell’uomo con Dio congiunge insieme due realtà percepite da sempre in una irrisolta tensione nell’esperienza umana: la parola e il silenzio. Osserva Romano Guardini: «La parola è una delle forme fondamentali della vita umana; l’altra forma è il silenzio, ed è un mistero altrettanto grande. (…) Le due cose ne fanno una sola. Parlare significativamente può soltanto colui che può anche tacere, altrimenti sono chiacchiere; tacere significativamente può soltanto colui che può anche parlare, altrimenti è un muto. In tutti e due questi misteri vive l’uomo; la loro unità esprime la sua essenza». Con afflato poetico, così si esprime Jean Guitton: «Esiste un silenzio che è un elemento primordiale sul quale la parola scivola e si muove, come il cigno sull’acqua. Per ascoltare con profitto una parola, conviene creare dapprima in noi stessi questo lago immobile. E, dopo aver ascoltato, occorre lasciare che le onde concentriche della parola si propaghino, si smorzino, spirino nel silenzio. La parola sorge dal silenzio e al silenzio ritorna».

Il contrasto tra silenzio e parola sta assumendo gradi di polarità estrema in questo nostro tempo in cui la parola si presenta così spesso come un confondersi di molte e contrastanti voci, soffocando quel poco di silenzio che ciascuno cerca di salvare per sé. Così che il contrasto oggi non è tanto tra la parola e il silenzio, bensì tra il rumore e la quiete. Nel racconto del profeta Elia troviamo enunciata la sostanza di una delle problematiche più vive per l’uomo d’oggi e di sempre: come cogliere il messaggio della parola, traendola dal caos del rumore? Come, in mezzo al frastuono che uccide gli spazi del silenzio, riuscire a distinguere e quindi a discernere la parola vera nel groviglio delle molte voci concorrenti? La vicenda di Elia sul monte Oreb svela che non è impresa disperata comporre insieme voce e silenzio; questo compito, al contrario, appartiene al cuore stesso dell’esperienza che l’uomo può fare di Dio; è la condizione, l’essenza e il frutto dell’incontro con lui. Dalla pagina biblica si apre un orizzonte di speranza per le nostre confuse giornate.

Non è difficile cogliere quanto importante sia trovare una soluzione a questo interrogativo, se non vogliamo che il Vangelo sia percepito come una voce tra le altre, parte del chiasso diffuso, non diversa da una delle tante voci che chiedono la nostra attenzione e pretendono il nostro consenso. Anzi, per lo più non lo pretendono, ma lo impongono, o vorrebbero farlo. Questa è infatti la dimensione più insidiosa con cui il frastuono delle parole ci viene oggi comunicato: in una condizione di pervasività assoluta e con un aggressivo potere mistificatorio. Una condizione in cui il diritto della persona alla propria identità, a scelte di matura libertà, al rispetto di una soggettività che ripudia ogni massificazione è costantemente messo alla prova e in molti casi violato. Ha scritto lucidamente Massimo Baldini: «Alla morte del silenzio segue inevitabilmente la morte della parola». (Dalla Lettera pastorale, 23/4/2011)