Il libro “Noi come cittadini,noi come popolo” pubblica l’interessante saggio del Cardinal Bergoglio finalizzato a “favorire la rinascita della politica e della vita democratica in Argentina” nel bicentenario della nazione argentina. La presentazione del libro per il lettore italiano a cura di Mons. Mario Toso, Segretario del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, diventa occasione importante di riflessione per ripensare la rinascita della politica e della democrazia sempre più impoverita e messa a rischio nel complesso ed inedito contesto attuale. Occorre puntare, sottolinea Mons: Toso, verso una democrazia sostanziale che deve essere, oltre che rappresentativa, partecipativa e sempre più allargata sul piano sociale.
Ringraziamo S.E. Mons. Toso per averci permesso di pubblicare la sua presentazione, mentre rimandiamo alla integrale lettura del libro edito in marzo da Jaca Book e Libreria Editrice Vaticana

La rinascita della politica e della democrazia
L’obiettivo del denso saggio del Cardinale Bergoglio, (1) ora Papa Francesco, è di favorire la rinascita della politica e della vita democratica in Argentina, coinvolgendo tutte le classi sociali, ma in particolare i gruppi dirigenti, ai quali si rivolge specialmente nella Conclusione.

librobergogliojpgL’occasione per parlare di un nuovo rinascimento della politica, come diremmo noi, è il Bicentenario di quella Nazione latinoamericana, ma la rilevanza delle sue riflessioni trascende i confini geografici. Infatti, esse concernono questioni che toccano un po’ tutti i Paesi sia europei che africani ed asiatici. In ogni angolo del globo la politica appare svilita, a motivo di una caduta di senso, del suo allontanarsi dalla cura del bene comune, che è il bene di tutti. Il deterioramento della democrazia – vi sono pensatori, come Ralf Dahrendorf e Colin Crouch, che hanno parlato delle condizioni della postdemocrazia – gode, specie qui in Europa, della complicità di un pensiero che, nelle sue molteplici sfaccettature e condensazioni particolari – neoindividualistiche, neoutilitaristiche e neocomunitaristiche – teorizza la dicotomia tra etica individuale ed etica pubblica e, per conseguenza, giustifica una gestione dell’autorità in termini performativi. Dentro la prassi politica odierna viene omologato l’assunto che cittadini intrinsecamente asociali ed egoisti possono vivere eticamente nella comunità politica, grazie ad un potere coercitivo che impone l’ordine «giusto» dall’alto. Il senso della politica sarebbe rintracciabile da una razionalità astratta ed universale, entro la prospettiva dello spettatore imparziale, che prescinde dalle persone concrete, poiché non fa leva su quel dinamismo morale che non riconosce come intrinseco ai cittadini e ai popoli. Il rischio della democrazia contemporanea, peraltro già molto ridimensionata sul piano della sovranità nazionale a motivo di processi globali in atto, è quello di fallire i suoi obiettivi di bene comune – che dovrebbero essere raggiunti mediante l’apporto di tutti i cittadini capaci di bene − e di trasformarsi in regime autoritario, in mano a pochi, a vantaggio di pochi. In Europa si configura una vita politica che si avvicina molto alla visione hobbesiana, che pretende di creare una vita pubblica giusta e pacifica, prescindendo dalla vita buona sia dei cittadini sia dei loro rappresentanti. Tutto inclina a forme di democrazia populista ed oligarchica, che non si preoccupano della giustizia sociale e dell’emancipazione di ogni cittadino in quanto persona  (2).

Quale uscita di sicurezza?
È noto che uno dei limiti della politica contemporanea è rappresentato dalla debolezza del pensiero, dalla prevalenza di prospettive di breve respiro, dalla mancanza di progetti a lunga gittata che guardano al futuro. La politica, come sottolineava l’allora Cardinale Bergoglio, spesso si converte in lotta per il potere che serve gli interessi individuali e settoriali, in occupazione di posizioni di comando senza offrire il giusto accompagnamento ai processi positivi in atto. Non vuole  o non può porre limiti e contrappesi al capitale e, in questa maniera, non contribuisce a sradicare diseguaglianze e povertà, che erodono le democrazie. Si vede così consumarsi il divorzio tra popolo, rappresentanti ed élite che appaiono lontani dal comune sentire della gente. A questa differenza culturale si aggiunge il fatto che l’economico e il finanziario cooptano rappresentanti e classi dirigenti al loro servizio, strumentalizzandoli e allontanandoli dal bene comune.
Rispetto all’odierno deficit di politica e di democrazia, la via di uscita, segnalata dal Cardinale di Buenos Aires, è quella del recupero di una vita democratica, intesa soprattutto come vita intensamente partecipata di un popolo, che si pensa e si costruisce entro un quadro istituzionale preciso, inteso come luogo di impegno e di discussione per superare gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento del bene comune; inteso come vivere assieme nella fraternità ed elaborare un progetto condiviso fondato su quei benivalori che in definitiva traggono la loro origine da Dio. Due sono, allora, i pilastri del rinnovamento: il popolo, soggetto compatto e creativo e un nuovo progetto politico integrativo, che non esclude nessuno, costruito su una visione di sviluppo completo e sostenibile per tutti.

Ma quale democrazia?
La democrazia che i popoli sono chiamati a coltivare non dev’essere «a bassa intensità», ovvero caratterizzata da livelli di povertà crescenti, da assenza di progetti strategici di sviluppo e di inserimento nella vita internazionale, da massimalismi del tipo «tutto o niente» nei vari campi che finiscono per trascurare i veri problemi, quali la convivenza, la stabilità, la governabilità, la necessaria tranquillità della vita democratica, ma anche la crescita economica, il lavoro e la sicurezza per tutti.
Occorre puntare verso una democrazia sostanziale che dev’essere, oltre che rappresentativa, partecipativa e sempre più allargata sul piano sociale. La vera democrazia presuppone libertà, uguaglianza, giustizia sociale, sviluppo integrale per tutti.tosojpg
Ciò che però è prioritario è che essa si radichi nella realtà viva di un popolo, inteso anzitutto come unione morale di persone, che, accomunate da fede, tradizioni, ethos, culture multiformi ma capaci di dialogo, sono protese al raggiungimento del loro bene comune, trascendendosi e collaborando le une con le altre . La democrazia non è mai neutra dal punto di vista etico. Non si esaurisce, come in parte hanno sostenuto Hans Kelsen e Karl Popper, in un insieme di regole che permettono la creazione dell’ordinamento giuridico, in un’informata e consapevole scelta dei governanti, nonché nel loro pacifico avvicendamento. La democrazia sussiste quando le regole procedurali – importanti sì, ma non sufficienti – sono animate da cittadini interiormente orientati da un dinamismo di verità e di bontà, che sfocia nell’amicizia sociale. Per la sopravvivenza della democrazia, specie in contesti di pluralismo divaricato, secondo Bergoglio, non basta potenziare quei meccanismi istituzionali, che massimizzano la possibilità di discussione, la continua correzione delle scelte, l’informazione sulle decisioni di interesse comune e la pubblicità del dibattito. La democrazia oggi è chiamata a decidere su questioni capitali concernenti la vita, la sua generazione, la morte, la libertà, la giustizia sociale, la pace, l’ambiente. Ciò richiede giudizi morali che si rifacciano al vero bene delle persone e dei popoli. È, allora, fondamentale che esista un popolo, guidato dalla conoscenza del proprio telos umano, ossia da una visione integrale del bene, scoperta mediante l’incontro delle culture e concretizzata entro un orizzonte utopico comune. La democrazia si fonda sull’esperienza di un popolo – è qui più che evidente la dimensione esperienziale del pensiero politico del Cardinale argentino, che, essendo proprio di un realismo critico, riflessivo, si avvale di una ragione integrale, ovvero anche speculativa e pratica – che è percorso da una vibrazione emancipatrice ed è un vissuto di fraternità quotidiane, di una generosità di essere e di dono senza contropartite, preservate dalla massificazione.
È importante qui sottolineare come il Cardinale Bergoglio, ponendo alla base della democrazia l’esperienza di un «noi come popolo», ovvero una «comunione di persone», tutte partecipi di una comune ricerca del vero, del bene e del bello, che lottano per il proprio destino e per una vita dignitosa, indica la via del superamento delle dicotomie che sono alimentate dalla filosofia moderna di ascendenza hobbesiana: dicotomie tra etica personale ed etica pubblica, tra etica e giustizia sociale. Poiché sono capaci di conoscere il telos umano che possono conseguire solo costituendo dei «noi» di persone che collaborano tra di loro, i cittadini sono pienamente realizzati vivendo in seno al popolo. Il cittadino cresce mentre ascolta la tensione al bene che è insita in lui e che, essendo presente anche nell’altro, suscita benevolenza ed amicizia. Il «noi» comunitario può essere, dunque, esplicitato così: Noi come cittadini, noi come popolo. Cittadini nel seno di un popolo. È qui evidente come l’Autore, nella sua concezione della vita politica e democratica, si riallaccia al personalismo comunitario e relazionale di molti pensatori politici dell’area cattolica, e anche al pensiero sociale di Pio XII, che fu il primo pontefice a precisare l’identità prettamente morale e spirituale del popolo, la quale lo costituisce vero soggetto della democrazia, al di la di visioni classiste e libertarie  (3).

I pericoli della democrazia
Tra i pericoli che minacciano la democrazia, il Cardinale Bergoglio segnala in particolare il neoindividualismo possessivo del liberalismo del secolo diciannovesimo che si prolunga sino a noi: un individualismo libertario, edonista, asociale e amorale. Un tale neoindividualismo assegna il primato all’individuale e al settoriale al di sopra di tutto e di tutti. Esso spesso si accompagna ad altri fattori negativi per la democrazia, che sono: l’orientamento congiunturalista o l’essere attaccati al potere da parte dei rappresentanti senza peraltro perseguire fini elevati; l’assolutizzazione del breve termine; la riduzione della politica a spettacolo o la creazione di leader effimeri da parte dei mass media.
La democrazia si rafforza sia come vita di popolo unito nel bene, sia come progettualità di un futuro degno per tutti, quando viene superato il congiunturalismo, il limite, e si aspira alla pienezza di vita, coltivando visioni di lungo periodo; quando nella soluzione dei conflitti si ricerca ciò che unisce e li si vede come occasioni per costruire qualcosa di nuovo e di superiore; quando non si rimane imprigionati nell’artificiale, nelle idee astratte e nei sofismi, ma si dà il primato ai problemi concreti delle persone. Oggi, la democrazia va vissuta nella tensione bipolare tra globale e locale. Per essere cittadini a pieno diritto, non si deve vivere né in un universalismo globalizzante né in un localismo folkloristico o anarchico. Il modello da seguire è quello poliedrico che conserva, rispettandole, tutte le sfaccettature della molteplice ricchezza dei popoli. È solo così che il tutto del globale non annienta le parti, ma le comprende e le valorizza superandole. Occorre privilegiare il tempo rispetto allo spazio, il tutto rispetto alla parte, la realtà rispetto all’idea astratta e l’unità rispetto al conflitto.

Al di là di fantomatici pauperismi. Il ruolo dei leaders
La vera democrazia mira a sradicare la povertà e a perseguire lo sviluppo integrale per tutti. Detto diversamente, è intrinseco alla democrazia il progetto di rendere tutti i cittadini artefici del proprio destino e non considerarli paternalisticamente soltanto come destinatari di assistenzialismi di varia natura. Non deve esserci spazio per pauperismi. La missione fondamentale della democrazia è di assicurare la giustizia e un ordine sociale giusto, per garantire a ciascuno la partecipazione ai beni comuni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di sussidiarietà. Mezzi indispensabili per lo sviluppo di tutti sono l’educazione e il lavoro, i due tramiti per pervenire alla giustizia sociale. Viene spontaneo pensare alla reiterata sollecitazione di Benedetto XVI di preparare nuove generazioni di cattolici in politica. In vista di una cittadinanza partecipativa è fondamentale, infatti, la missione dei leader.
Essi debbono vivere in simbiosi con il popolo, per poterne esprimere vitalità ed identità, partecipare ai suoi aneliti e sofferenze. Debbono essere al servizio del bene comune e testimoni credibili attraverso un’esistenza coerente. Non si tratta di favorire vecchie prospettive di elitismo democratico. Occorre prendere atto che la partecipazione non risolve tutti i problemi della democrazia e che per dare maggior impulso alla riforma della convivenza civile, grazie proprio ad una partecipazione più collettiva, è necessario un ruolo illuminato da parte di rappresentanti che siano all’altezza dei problemi odierni. Urgono leader che sappiano esercitare l’autorità con intelligenza, con ponderatezza e coraggio insieme, e che non abbiano paura dell’innovazione. È proprio da classi dirigenti rinnovate, formate professionalmente e moralmente, che può partire uno stimolo decisivo per attivare un più alto tasso di partecipazione politica.

+ Mario Toso
Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace

(1)  Il testo che qui si presenta nell’edizione italiana rappresenta un importante discorso che il cardinale Bergoglio pronunciò in occasione della XIII Giornata di Pastorale Sociale per il bicentenario della Nazione argentina.
(2)  Su questo ci permettiamo di rinviare a M. TOSO, Democrazia e libertà. Laicità oltre il neoilluminismo postmoderno, LAS, Roma 2006.
(3)  Cf M. TOSO, Welfare Society. La riforma del welfare: l’apporto dei pontefici, LAS, Roma 2003, pp. 129-139.