A fronte della condizione dei profughi, resa ancora più drammatica dalla chiusura all’accoglienza, diverse voci si sono levate in estate da parte dell’Episcopato italiano, in sintonia con le incessanti sollecitazioni del Santo Padre. In particolare, a fine agosto Mons. Cesare Nosiglia ha rivolto una Lettera Appello alla sua Diocesi di Torino “Ogni parrocchia accolga cinque profughi”, che ha anticipato di pochi giorni l’Appello di Papa Francesco rivolto ad ogni parrocchia, comunità religiosa, monastero e ad ogni santuario d’Europa perché, come gesto concreto in preparazione all’Anno Santo della Misericordia, ospiti una famiglia di profughi. Pubblichiamo alcune sottolineature proposte da Alfiero Salucci sulla Lettera del Vescovo, che possiamo sentire ancora più rivolta a ciascuno di noi attraverso l’alta conferma della parola del Santo Padre all’Angelus di domenica 6 settembre 2015.

Una proposta e un metodo
Lettera appello di Mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino

profughiScorrendo i giornali di domenica 30 Agosto resto colpito dalla notizia a pagina 3 di La Repubblica: “Ogni parrocchia accolga 5 profughi”. Si tratta dell’appello lanciato dall’arcivescovo di Torino alla sua diocesi che, in realtà, interroga e provoca le coscienze e l’impegno di ognuno.
Ricercando la lettera in rete mi accorgo di alcune sottolineature che l’articolo trascura ma che indicano anche una modalità di evangelizzazione (http://www.diocesi.torino.it).
In primo luogo i destinatari dell’appello. La lettera di mons. Nosiglia è rivolta ai presbiteri, ai diaconi e ai religiosi, ma anche alle famiglie e ai fedeli della Diocesi di Torino e tutti “i cari cittadini”.
Sono parole evangelizzatrici rivolte alla coscienza di tutti, sia di chi appartiene alla Chiesa sia di chi ne sta al di fuori. Un modo a cui ripetutamente il Papa ci invita anche a rischio di essere una Chiesa che va incontro a qualche incidente (ed il rischio più elevato sarà quello di non ricevere risposta).
La lettera subito dopo interpella la nostra ragione in una analisi, per quanto sintetica, della realtà che abbiamo di fronte:
“In questo periodo estivo è emersa in tutta la sua gravità la problematica dell’accoglienza dei rifugiati che giungono numerosi nella nostra patria come in altre nazioni europee per fuggire da situazioni tragiche di guerre, violenze e povertà estreme. Ne sono derivate polemiche e contrapposizioni aspre. Tutti ci accorgiamo che un clima di tensione incentivato anche dai media non giova ad affrontare con equilibrio e generosità questa emergenza, che invece esige un supplemento di impegno da parte di ogni componente sociale, rifuggendo da cinici populismi o ingenui buonismi. Cavalcare le paure e gli allarmismi ingenera atteggiamenti di rifiuto che chiudono il cuore e addormentano la responsabilità di fronte all’obbligo forte consegnatoci dal Signore e che deve risuonare nelle coscienze e nel cuore di credenti e cittadini: “ero forestiero e mi avete ospitato”. Il buonismo ingenuo, a sua volta, rischia di ostacolare una intelligente gestione dei vari problemi che l’accoglienza pone. Sono questioni che vanno affrontate con la volontà di mettere al centro la persona bisognosa e che interpellano ciascuno di noi, non solo le istituzioni, sul senso vero che diamo alle parole “solidarietà” e “giustizia”.
” Subito dopo la lettera si sforza di interpretare questa realtà alla luce della fede e dell’insegnamento evangelico:
“Ritengo tuttavia che il Signore, attraverso questi “segni dei tempi” ci chiami ancora ad un di più di sforzo comune che, pur esigendo sacrificio, ottiene una forte, significativa e concreta testimonianza ecclesiale al Vangelo della carità che come comunità cristiana siamo chiamati ad offrire andando oltre le parole spesso vacue o inutili.”
La conclusione è che questa duplice lettura della realtà si trasformi in un operare in un contesto ecclesiale e civile:
“Per questo, pur consapevole dell’impegno che comporta la proposta, chiedo ad ogni Unità Pastorale della nostra Diocesi di provare a definire un concreto programma di accoglienza straordinaria e di accompagnamento per alcuni fratelli e sorelle vittime della migrazione forzata. Si tratta in partenza di affrontare il bisogno urgente dell’alloggio per poi promuovere insieme alle altre realtà ecclesiali e civili un sostegno effettivo al percorso di inclusione sociale di cui avranno bisogno. Finora abbiamo messo a disposizione in diverse strutture ecclesiali capaci di accogliere decine e decine di persone – oltre 500 posti, senza contare tanti piccoli nuclei di singole persone o famiglie accolte nelle parrocchie. L’acuirsi dell’emergenza esige ora un intervento diverso, per favorire l’accoglienza capillare di gruppi numericamente più piccoli, ma geograficamente più diffusi sul territorio.
” Chiedo in particolare ai moderatori e referenti territoriali della Caritas, San Vincenzo e altre realtà che operano nel sociale, di promuovere in ogni Unità Pastorale uno o più luoghi di accoglienza temporanea capaci di ospitare cinque persone ciascuno, cercando la disponibilità presso le parrocchie, gli istituti religiosi, le case di risposo, altre strutture ecclesiali presenti sul territorio.
Le comunità siano coinvolte in questa iniziativa sentendosene responsabili e offrendo il loro sostegno.
Non si tratta di una accoglienza solo notturna, come per quella offerta ai senza dimora da alcune parrocchie, ma di ospitalità completa per alcuni mesi, in base alle necessità e alle indicazioni che le Istituzioni pubbliche potranno fornirci.
La capillarità di tale operazione, unita all’invito affinché anche alcune famiglie siano disponibili ad accogliere un rifugiato in casa, può produrre un frutto molto positivo: oltre all’estensione del numero di persone che ne usufruiscono, avvia un’azione di responsabilità da parte delle comunità cristiane e civili e di ogni cittadino, che rifiutano quella cultura dello scarto, di cui tanto ci ha parlato Papa Francesco in riferimento anche agli anziani, poveri, malati e disabili, disoccupati o in cerca di lavoro, famiglie soggette a sfratto incolpevole….
Essi sono ogni giorno destinatari della solidale azione delle nostre comunità mediante la Caritas e tante realtà associative religiose e laicali per cui non si tratta di togliere o diminuire questa concreta azione di sostegno, ma di estenderla anche a chi si trova in una particolare situazione di miseria e di abbandono. Dio, che non si lascia vincere in generosità e ama chi dona con gioia, saprà moltiplicare il bene fatto anche a vantaggio di chi lo fa. filo spinato
Siccome l’iniziativa presenta anche aspetti delicati, per rendere ordinato il progetto e per attuarlo davvero in rete chiedo ad ogni Unità Pastorale di riferirsi all’Ufficio Pastorale dei Migranti che – in stretta collaborazione con la Caritas diocesana – offrirà un supporto di indirizzo, di coordinamento, di informazione, di elaborazione progettuale.”
Delicato il saluto finale e gli appellativi che si attribuisce: “Maria Santissima Consolata e i nostri grandi Santi sociali ci aiutino e sostengano nel compiere fino in fondo questo dovere primario della carità, fonte prima di fede e di pace per tutti.
Vi benedico di cuore. + Cesare Vescovo, Padre e amico.
Nella stessa giornata questo appello alle coscienze è stato amplificato dalle parole del Papa all’Angelus.
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini». Vangelo secondo Marco (7, 5-7) commentando questo brano del Vangelo di Mc 7,1-8 il Papa ha spiegato che le dottrine in questione: “comprendevano non solo i precetti di Dio rivelati a Mosè, ma una serie di dettami che specificavano le indicazioni della legge mosaica. Gli interlocutori applicavano tali norme in modo assai scrupoloso e le presentavano come espressione di autentica religiosità. Pertanto, rimproverano a Gesù e ai suoi discepoli la trasgressione di esse, in particolare di quelle riferite alla purificazione esteriore del corpo (cfr v. 5). La risposta di Gesù ha la forza di un pronunciamento profetico: «Trascurando il comandamento di Dio – dice – voi osservate la tradizione degli uomini» (v. 8). Sono parole che ci riempiono di ammirazione per il nostro Maestro: sentiamo che in Lui c’è la verità e che la sua sapienza ci libera dai pregiudizi.”
Proseguendo il Papa esorta: “Ma attenzione! Con queste parole, Gesù vuole mettere in guardia anche noi, oggi, dal ritenere che l’osservanza esteriore della legge sia sufficiente per essere dei buoni cristiani. Come allora per i farisei, esiste anche per noi il pericolo di considerarci a posto o, peggio, migliori degli altri per il solo fatto di osservare delle regole, delle usanze, anche se non amiamo il prossimo, siamo duri di cuore, siamo superbi, orgogliosi. L’osservanza letterale dei precetti è qualcosa di sterile se non cambia il cuore e non si traduce in atteggiamenti concreti: aprirsi all’incontro con Dio e alla sua Parola nella preghiera, ricercare la giustizia e la pace, soccorrere i poveri, i deboli, gli oppressi. Tutti sappiamo, nelle nostre comunità, nelle nostre parrocchie, nei nostri quartieri, quanto male fanno alla Chiesa e danno scandalo quelle persone che si dicono molto cattoliche e vanno spesso in chiesa ma dopo, nella loro vita quotidiana, trascurano la famiglia, parlano male degli altri e così via. Questo è quello che Gesù condanna, perché questa è una contro-testimonianza cristiana.”

Sappia ciascuno di noi trovare il modo di uscire dall’osservanza formale della legge e dal giudizio per aprirsi alle opere di misericordia nei tempi e nei modo che gli sono possibili traducendo in opere le parole “misericordia voglio e non sacrifici”.

A cura di Alfiero Salucci