Lucia Baldo

Il “transumanesimo” e il “postumanesimo”
img175 (1)Il “transumanesimo”, ovvero “oltre l’umano”, è un movimento culturale (spesso indicato in sigla con >H, H+ o H-plus) che promuove un uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche più avanzate nella prospettiva finale di superare i limiti, le fragilità, i confini stessi della condizione umana percepiti come insopportabili. Si rischia così di farsi affascinare da una promessa di redenzione non più meramente sociale, economica, ma attinente alla dimensione antropologica più profonda: la promessa di un’intelligenza potenziata, di un corpo potenziato.
Le radici del transumanesimo vanno ricercate più indietro nel tempo, in un viaggio ideale che dall’umanesimo rinascimentale passa per l’illuminismo e il positivismo, fino a incrociare il “superomismo” nietzschano e futurista. Pur originando dall’umanesimo, dunque, da cui mutua alcuni elementi come il rispetto per la ragione e le scienze, l’impegno per il progresso ed il dar valore all’esistenza umana in questa vita, il transumanesimo differisce dall’umanesimo “nel riconoscere ed anticipare i radicali cambiamenti e alterazioni, sia nella natura che nelle possibilità delle nostre vite, che saranno il risultato del progresso delle varie scienze e tecnologie” (Max More).
L’art.1 della Carta dei principi dei transumanisti italiani (adottata il 23 maggio 2015 dall’assemblea dei membri del Network dei transumanisti italiani) recita: “Il progresso scientifico e tecnologico rivoluzionerà nei prossimi decenni la condizione umana, permettendoci di trascendere i nostri limiti naturali e di incrementare le nostre capacità fisiche e cognitive; grazie a biotecnologie e ingegneria genetica, nanotecnologie e robotica, intelligenza artificiale e neuroscienze, spezzeremo i nostri vincoli biologicoevoluzionistici emancipandoci da invecchiamento, malattia, sofferenza, povertà e ignoranza”.
L’idea di fondo che anima questo filone di pensiero, è la convinzione che “l’umano”, così come lo conosciamo e sperimentiamo, debba essere necessariamente superato, allo scopo di sconfiggerne tutti i limiti biologici e strutturali. Quando avremo raggiunto una longevità a mano a mano sempre maggiore, grazie alla tecnologia, a quel punto sarà possibile, secondo i transumanisti, staccarsi definitivamente dalla condizione umana. La longevità potrà diventare immortalità. Saremo finalmente liberi dal nostro limite che è il corpo. Il modo attraverso cui il continuo ringiovanimento del corpo con le tecniche della medicina potrà conquistare l’immortalità, non potrà che essere l’abolizione del corpo, perché esso rappresenta quel fattore materiale che inevitabilmente si deteriora e richiede un continuo intervento della medicina per essere riparato. La capacità di elaborazione da parte dei calcolatori dell’informatica, sarà forse in grado, secondo i sostenitori di questa ideologia, di permettere il totale riversamento in informazione della nostra mente, quindi della nostra identità. E l’informazione è immortale, perché esiste dove c’è un server.
Pur potendo cogliere in questo orientamento una apertura “trascendentale”, che spinge ogni individuo verso un “oltre”, ci chiediamo però se sia vero che i limiti, propri alla nostra condizione umana, siano da considerarsi “a priori” negativi.
Il transumanesimo ha ricevuto negli anni varie critiche, fondamentalmente raggruppabili in due categorie principali: obiezioni circa la possibilità reale di raggiungere gli obiettivi prefigurati dai transumanisti; obiezioni sulla “desiderabilità” di questi obiettivi e dei principi che li generano. Talora le critiche includono ambedue gli aspetti.
Accanto al transumanesimo sta prendendo piede anche il “postumanesimo”. Quest’ultimo ha uno spessore filosofico diverso che rappresenta un pericolo ancora peggiore del transumanesimo, perché mette in discussione la specificità dell’uomo.
Il postumanesimo propone l’ibridazione non tanto con il potenziamento che la macchina ci consente, quanto con le matrici della vita entro cui dobbiamo riconoscerci in continuità con le altre specie viventi. È l’ultima nostra “umiliazione”. Copernico, Darwin, Freud hanno messo l’uomo fuori da tro: la terra non è più al centro dell’universo, l’uomo non è più al centro delle specie viventi, la mente non è più padrona di se stessa. Ora l’umiliazione definitiva è riconoscerci in continuità con le altre specie viventi al cui interno non abbiamo nessuna specificità.

Concludendo
Oggi i termini “transumanesimo” e “postumanesimo” sono molto diffusi e guadagnano sempre più attenzione e consenso. Essi esprimono delle vere e proprie ideologie, come già si vede nelle produzioni cinematografiche e televisive, molto seguite dai giovani.
Il “transumanesimo” e il “postumanesimo” parlano di qualcosa che va oltre l’uomo per andare in una direzione superiore o forse inferiore rispetto all’uomo come lo conosciamo.
Entrambe le ideologie, oltre a prendere atto di questo processo, vogliono affermare il dovere morale di accelerarlo. Entrambe hanno l’intenzione di abolire la tradizione italiana dell’umanesimo.
Entrambe sono in crescita e prospettano una sorta di prossima realtà, divenendo così sempre più capaci di chiamare a sé i disillusi, i privi di speranza.
Invece bisogna avere speranza in ciò che merita speranza e che non è frutto di ideologie. Queste ideologie che parlano dell’uomo, provengono dall’uomo e dicono che la condizione umana non è più capita.
Allora vale la pena chiedersi: quali sarebbero i criteri per valutare la bontà delle nuove caratteristiche umane da perseguire? e chi avrebbe il compito (e l’autorità) di stabilirli per l’intera comunità umana? o dovremmo piuttosto rifugiarci tutti in un individualismo radicale, dove ognuno possa e debba decidere per sé?
E ancora, è possibile una certa “compatibilità” della visione transumanista con le fedi religiose? Tutti questi interrogativi chiedono di essere meglio approfonditi, per un più proficuo contributo al bene dell’umanità.