Relazione di S.E. Mons. Mario Toso
2° Incontro Ciclo “Laudato si’ “- Bologna 21 febbraio 2016

Il Ciclo di Incontri “Laudato Si” – promosso dalle Parrocchie della Zona Pastorale Fossolo e dalla Fraternità Frate Jacopa – iniziato in gennaio con la riflessione di Don Matteo Prodi (cf. Il Cantico on line n. 2/2016), ha tenuto il secondo appuntamento domenica 21 febbraio presso la Parrocchia di S. Rita con la relazione di S.E. Mons. Mario Toso, Vescovo di Faenza Modigliana, sul tema “Per una ecologia integrale”. Ne pubblichiamo il testo di vivo interesse per quanti desiderano approfondire l’argomento. Il Ciclo si concluderà domenica 3 aprile presso la Parrocchia S. Maria Annunziata di Fossolo con la relazione “Dar corpo alla misericordia: per nuovi stili di vita” che sarà proposta dal Prof. Simone Morandini, docente di teologia della creazione.

TosoSono lieto di essere qui a presentare questa grande Enciclica, che è stata regalata al mondo cattolico certamente, ma anche al mondo intero.
Il Ministro Galletti prima dell’incontro di Parigi ha sottolineato una cosa a mio modo di vedere molto interessante: questa Enciclica nella discussione della questione ambientale dà un apporto tutto specifico che di solito nei grandi consessi internazionali non viene evidenziato. In tali ambiti ci si attiene in genere alle dimensioni statistiche, sociologiche, tecniche e ci si ferma su un piano di consenso generale il più possibile esteso; e in questa grande attività, che richiede sforzi non piccoli, non di rado si dimentica la dimensione antropologica ed etica dei problemi. Ora l’Enciclica ha questo grande apporto da offrire a tutti coloro che intendono interessarsi delle questioni ecologiche e ambientali, cioè un approccio di tipo etico antropologico.
Questa Enciclica – come dice il titolo della lezione di oggi – si caratterizza soprattutto per l’indicazione di un principio, una categoria fondamentale, che è l’ecologia integrale. Questo concetto deriva da una sintesi di saperi quale si può realizzare in un contesto di fede come quello cristiano. Il concetto di ecologia integrale non è un fungo che nasce all’improvviso: ha potenti radici, è collegato non solo ai contenuti razionali, ma anche ai contenuti di fede.

1. IL VANGELO DELLA CREAZIONE
Papa Francesco, dopo aver affermato che uno degli obiettivi di questo documento è quello di contribuire a formare un movimento ecologico globale, propone il capitolo “Il Vangelo della creazione”, dove si evidenziano proprio i contenuti di fede.
Ci si può chiedere: ma questo non può costituire un ostacolo al dialogo? In realtà, non è così perché i contenuti di fede contengono dei ragionamenti fondati anche dal punto di vista razionale, delle verità che sono giustificabili anche da una semplice ragione umana, purché funzioni rettamente. L’Enciclica ha l’accortezza di distinguere ciò che è di fede, ciò che è teologico e ciò che è di ragione. La nostra fede, che contiene aspetti super-razionali, non nega gli aspetti razionali, non nega affatto ciò che si può raggiungere tramite l’uso della ragione. E questo lo troviamo nel Capitolo II.inc
Al n. 63 leggiamo “Se teniamo conto della complessità della crisi ecologica e delle sue molteplici cause, dovremmo riconoscere che le soluzioni non possono venire da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà. È necessario ricorrere anche alle diverse ricchezze culturali dei popoli, all’arte e alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità. Se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci permetta di riparare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio…”.
“D’altra parte – continua il n. 64 –, anche se questa Enciclica si apre a un dialogo con tutti per cercare insieme cammini di liberazione, voglio mostrare fin dall’inizio come le convinzioni fede offrano ai cristiani, e in parte anche ad altri credenti, motivazioni alte per prendersi cura della natura e dei fratelli e sorelle più fragili. Se il solo fatto di essere umani muove le persone a prendersi cura dell’ambiente del quale sono parte, «i cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede». Pertanto, è un bene per l’umanità e per il mondo che noi credenti riconosciamo meglio gli impegni ecologici che scaturiscono dalle nostre convinzioni”.
Formiamo, dunque, un movimento ecologico dove sono coinvolti credenti e non credenti. I credenti dentro questo movimento globale non devono rinunciare alle convinzioni di fede, alla loro ispirazione cristiana, perché l’impegno di custodia e di coltivazione della casa comune appartiene alla loro fede.

2. UNA “VOCAZIONE” ALLA CURA DELLA CASA COMUNE
Occorre riflettere sul senso profondo di questa affermazione. È come dire che il credente battezzato, cresimato, possiede una chiamata-vocazione alla cura della casa comune, vivendo in Cristo che è venuto a redimere e a fare nuove tutte le cose, compreso il creato.Con la sua incarnazione, morte e risurrezione rinnova tutte le relazioni, comprese quelle con il creato.
Alla vocazione in Cristo alla cura della casa comune corrisponde una missione, perché ogni chiamata è per una missione. Noi siamo mandati nel movimento ecologico globale con una missione, e non solo nel movimento, ma nell’impegno quotidiano: la cura della casa comune – custodia e coltivazione – che implica anche sviluppo delle virtualità del creato. Dobbiamo essere convinti che proprio dalla nostra fede deriva l’impegno di essere missionari del creato.
Sto declinando l’affermazione che l’impegno per la casa comune appartiene alla nostra fede; sto sviscerando i contenuti e le implicanze che si trovano al n. 64, un numero molto importante per la pastorale e per l’educazione alla fede. Nella Chiesa, in alcune diocesi, questo è già tradotto in pratica. Nella Diocesi di Padova, ma anche in altre Diocesi, c’è addirittura una Commissione per gli stili di vita, che implica per l’appunto la coscientizzazione dei fedeli sulla vocazionechiamata, sul compito missionario di curare l’ambiente, ossia di custodirlo e coltivarlo. Sono stato invitato presso l’Abbazia di Praglia a presentare i contenuti dell’Enciclica. A conclusione si è conferito il mandato a 25 persone perché andassero nelle parrocchie a presentare i contenuti essenziali di questa Enciclica. Credo che altrettanto dovrebbe avvenire in tutte le diocesi.

3. ALLA CHIAMATA – MISSIONE CORRISPONDE L’IMPEGNO DI UNA CONVERSIONE
Se c’è una chiamata e una missione, a questo corrisponde l’impegno di una conversione. E che sia richiesta da questa Enciclica una conversione ecologica lo troviamo laddove nei primi numeri si afferma che esistono dei peccati contro la creazione, contro l’uomo che vive in un certo territorio e in un certo contesto. Pensate alla Terra dei Fuochi, a quello che è avvenuto e a quello che sta avvenendo, perché vi sono conseguenze deleterie che derivano dall’inquinamento sistematico che è stato fatto. Ed è documentato dalla scienza che chi abita in quelle terre ha una mortalità per tumore molto elevata.
Lì non si è compiuto un peccato contro il creato e contro l’umanità? Non ci si deve forse confessare se si commettono questi peccati? Se si inquina pensando solo ai propri interessi e non pensando che si va a danneggiare un bene collettivo, quello dell’ambiente che deve essere sano, non si deve riconoscere di essere state egoisti, attenti solo al proprio portafoglio e non alla gente?
incNella mia Diocesi di Faenza in occasione del Giubileo ho sollecitato ad aggiornare anche i formulari delle confessioni. Non dobbiamo solo mettere l’elenco dei peccati tradizionali. Tra l’altro dobbiamo ricordare anche il peccato dell’aborto. Noi abbiamo una legge che liberalizza l’aborto.
Molti giovani sono convinti che l’aborto non è più un peccato, per cui non sentono l’urgenza di confessarlo. Questo è tragico. Per dire come la coscienza cristiana, l’identità cristiana a cui fa riferimento il Papa, sono piuttosto confuse.
È anche importante tenere conto che il Papa, affrontando questo tema di grande attualità, in sostanza fa fare un passo in avanti alla Chiesa. Dopo questa Enciclica non si può più dire che la Chiesa è retrograda sulle questioni ambientali. Tutti hanno riconosciuto che è molto più avanti anche di quelli che da anni – come Legambiente – si dedicano con sacrificio alle questioni ambientali. E, soprattutto, per la specificità del suo approccio, che è prevalentemente teologico, antropologico, etico.
È, dunque, da sottolineare l’importanza di questo approccio e delle convinzioni di fede. Il Papa pone il riferimento alle convinzioni di fede nel II Capitolo perché vuole invitare a fare un discernimento ispirato al Vangelo, alla sapienza biblica.
L’Enciclica è molto importante anche per il metodo che suggerisce, il metodo del discernimento, composto di vari momenti: “vedere, giudicare, agire, celebrare”. Tutti momenti collegati tra di loro. Proprio per questo il “vedere” non è solo sociologico, ma è anche teologico, filosofico, etico.

4. UN APPROCCIO ADEGUATO ALLA QUESTIONE AMBIENTALE
Riassumendo, il Capitolo II predispone alcuni elementi fondamentali per un approccio adeguato alla questione ambientale, una questione complessa richiedente l’apporto di più saperi. Domanda anche l’apporto della religione, oltre che dell’arte e delle scienze, tutte realtà importanti per offrire un senso umano più compiuto della vita e di una civiltà, ed anche della questione ecologica.
Quando si arriverà al Capitolo IV in cui si parla dell’ecologia integrale – ritenuto il capitolo più nuovo – dobbiamo tenere presente che le radici di quel concetto si trovano qui, nel Capitolo II, dove si parla del «Vangelo della creazione». I contenuti di fede consentono prima di tutto di approcciare la questione ambientale non con un metodo astratto o con un a priori in testa o con preconcetti, ma andando a riconoscere quella che è la realtà: il creato è un dono fatto che non poniamo in essere noi e che riceviamo non solo come singoli, ma come umanità. È Dio che dona all’umanità, non solo a questa generazione, il creato come giardino in cui abitare e crescere. Il creato non è qualcosa che facciamo noi, ma che troviamo.
Questo dice che nel nostro approccio cognitivo dobbiamo riconoscere come è fatto il creato, non dobbiamo inventarci la «grammatica» in esso posta. Dobbiamo, piuttosto, cercare di «assediare» la realtà con il nostro pensiero per comprendere come è fatta in tutti i suoi aspetti, in tutta la sua complessità. In sostanza, nel secondo capitolo viene suggerito un metodo di approccio di tipo realistico.
Il Papa, per conoscere la realtà, ci dice di avvalerci del criterio della realtà, non delle idee in primo luogo. In ultima analisi, il papa, richiamando le convinzioni di fede, ci suggerisce di calibrare un metodo di approccio che non mette camicie di forza alla realtà, bensì ne scandaglia meglio tutti i risvolti.
All’interno delle convinzioni della fede ci viene anche detto che l’uomo, che non deve essere padrone dispotico del creato, è posto nel giardino per curarlo, coltivarlo, custodirlo, avendo preminenza sulle altre creature. Questi contenuti di fede ci consentono di superare il biocentrismo e l’antropocentrismo, visioni che non dicono la verità sul rapporto uomo-creato. La considerazione della preminenza dell’uomo è molto importante perché ci consente di fondare ogni discorso etico circa l’ecologia integrale.
Se l’uomo equivalesse ad una pianta – biocentrismo – sarebbe come tutti gli altri esseri, non avrebbe libertà e responsabilità, sarebbe sprovvisto della capacità di ricercare il bene, il vero, e quindi non sarebbe capace di formulare un discorso etico. Tra le molte ecologie oggi in voga alcune eliminano la preminenza dell’uomo sulle altre creature, ma riducendo l’uomo ad un vegetale, ad un albero, o ad un animale, gli si toglie la sua specificità, quello di essere morale. Questo comporta l’annullamento di ogni discorso etico sull’ecologia. Ecco, dimostrata, ancora una volta, l’importanza delle convinzioni di fede espresse nel Capitolo II, ove si incontrano alcune premesse antropologiche, oltre che etiche e teologiche, del concetto di ecologia integrale. Nell’Enciclica tutti i capitoli si tengono insieme.
Non possiamo leggerne uno senza tenere conto dell’altro.

5. ASPETTI PRATICI DELLA CHIAMATA ALLA CURA DELLA CASA COMUNE
Venendo agli aspetti pratici di questo capitolo, dove si dice che la vocazione-chiamata alla cura della casa comune fa parte della fede, dobbiamo pensare subito alle applicazioni nella catechesi oltre che nelle omelie e nei programmi scolastici.
Domanda: le sentiamo dire queste cose nelle omelie, dopo che è uscita l’Enciclica? I contenuti sin qui espressi vanno veicolati nella catechesi, il che vuol dire che devono essere rivisti i programmi della catechesi, dell’educazione alla fede. Analogamente, non possiamo più trascurare queste questioni nelle nostre scuole cattoliche, nelle nostre Università.
Anche perché, se non formiamo persone coscienti e responsabilizzate circa la loro vocazione e missionarietà con riferimento alla custodia e alla coltivazione del creato, diventiamo anche noi colpevoli, conniventi con chi distrugge il pianeta. E una volta distrutto, non ne abbiamo un altro di riserva. Dobbiamo, pertanto, muoverci ed organizzarci con slancio sul versante dell’educazione ecologica.inc bo 3
Dopo l’Expo di Milano e la sensibilizzazione su questi temi, dopo la Conferenza di Parigi, molti si sono allarmati e hanno detto “ormai siamo troppo in ritardo”. Si sono disperati. L’Enciclica di papa Francesco è meno pessimista, pur non tacendo la gravità della situazione. Presentando le cose da un punto di vista di una ragione retta e della fede, fa capire che l’uomo, pur sbagliando, rimane sempre capace di vero, di bene, di bello. Proprio facendo leva su questa capacità, che è intrinseca in ogni uomo, in ogni donna, si può risalire la china. Se stiamo cadendo dobbiamo uscire dal precipizio facendo leva sulla capacità nativa dell’uomo di conoscere la verità, il bene e di farlo, grazie alla comunione con Dio.
Sull’aspetto dell’educazione si ritornerà parlando di uno dei capitoli finali dove, fra l’altro, si insiste anche sulla spiritualità. Noi, forse, vorremmo formare nuovi missionari del creato senza educarli, senza formarli spiritualmente. Per formare delle persone che diventino protagoniste della cura e della coltivazione della casa comune, bisogna usare, invece, tutte le leve, compresa quella pedagogica.

6. ECOLOGIA INTEGRALE, UN PRIMO PRINCIPIO MORALE NELL’AMBITO ECOLOGICO
Uno degli aspetti specifici di questa Enciclica è il capitolo che parla dell’ecologia integrale, ossia il capitolo IV. Non posso fermarmi su di esso per ragioni di tempo, ma nemmeno sul capitolo che lo precede, dove si parla delle radici della crisi ecologica, ossia delle cause umane di essa. La crisi ecologica non dipende solo dai cambiamenti climatici, ma ultimamente anche da comportamenti sbagliati dell’uomo che contribuiscono a provocare tali cambiamenti.
Nel capitolo III si attribuisce la crisi all’antropocentrismo moderno, al quale si lega un neoliberismo libertario.
L’uomo si crede il creatore, colui che decide ultimamente ciò che è vero e ciò che è bene. L’Enciclica invita a superare l’idea che la tecnica e i mercati da soli siano in grado di risolvere i problemi della fame e della miseria. Per risolverli occorre, invece, cambiare antropocentrismo. Occorre abbracciare un antropocentrismo aperto alla trascendenza, che non chiude l’uomo in se stesso, che non assolutizza il punto di vista dei singoli, la loro libertà, la ragione tecnica. Occorre superare la nuova ideologia che trasforma la tecnica in tecnocrazia.
Lascio a voi la lettura dei due capitoli citati. A questo proposito rimando al testo che è stato messo a disposizione “Laudato si’… sulla cura della casa comune” (AA.VV, Ed. Cooperativa Sociale Frate Jacopa, 2015) dove potrete trovare un mio intervento che ricalca i contenuti che vi sto esponendo.
Secondo Papa Francesco se non possediamo l’idea di un’ecologia integrale, se non abbiamo il principio dell’ecologia integrale, non possiamo neanche fare bene l’analisi della situazione né possiamo trovare soluzioni commisurate alla crisi. Questa categoria di ecologia integrale io la definirei il primo principio morale nell’ambito ecologico. Il primo principio morale in assoluto è il compimento umano in Dio.
L’ecologia integrale è una specificazione di questo compimento umano in Dio, con riferimento al nostro rapporto con l’ambiente. Quando noi parliamo di principi – il bene comune, solidarietà, sussidiarietà – ci mettiamo a scrutare il cielo e gli astri come se li trovassimo nell’iperuranio di Platone. I principi sono nella realtà, nell’esistenza, nel nostro essere concreto. Essi strutturano l’esistenza, il nostro essere.
Non dobbiamo, quindi, cercarli guardando il cielo. Questi principi dobbiamo cercarli conoscendo chi siamo, cosa facciamo, aiutati dalla tradizione etica, oltre che teologica e dalla fede.
È detto chiarissimamente nell’Enciclica: questo concetto non è astratto. Non è dedotto da un a priori o da precondizioni ideologiche. È ricavato dall’analisi della realtà, dove tutto è interconnesso, è interdipendente – minerali, vegetali, animali. Come i diversi componenti del pianeta sono relazionati tra loro, così anche le specie viventi formano una rete che non riusciremo mai a comprendere appieno.

7. L’ECOLOGIA INTEGRALE RICHIEDE UNA SINTESI DEI SAPERI
Quale è la conseguenza del principio dell’ecologia integrale dal punto di vista della conoscenza e del metodo di analisi? Esso tiene unite l’ecologia ambientale e l’ecologia umana. Ciò postula che nell’indagine e nel giudizio sulla crisi ecologica le due ecologie siano tenute insieme. Detto altrimenti, l’analisi della crisi ambientale deve essere integrale, ossia deve andare di pari passo con l’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, culturali, urbani, rurali. Analogamente, le soluzioni che si debbono cercare dovranno essere integrali, ovvero tali da considerare l’interazione dei sistemi naturali tra di loro e con i sistemi sociali.
Il concetto di ecologia integrale richiede un approccio integrale con l’apporto di tutte le scienze e la considerazione di tutti gli aspetti. Ecologia integrale vuole dire che non si risolve la questione ambientale se non si risolve il problema dell’educazione dell’uomo, se non si ha a disposizione un uomo «buono».
Buono non è solo colui che conosce il bene, ma colui che lo fa. Solo se vi sono persone educate, rette (questo vuole dire «buono»: ossia una persona che pratica le virtù, non solo che si appella all’etica dei valori), solo allora si può pensare di poter risolvere la questione ambientale. Per superare certi aspetti problematici, si fa riferimento all’etica dei valori. Questo è molto importante, ma non basta. Occorre che l’etica dei valori fiorisca in etica delle virtù, in atteggiamenti fermi e perseveranti di scegliere, di volere il bene e di conseguirlo.
Lo stesso dicasi per l’educazione all’ecologia integrale. Nel Capitolo finale, dove si parla di educazione all’ecologia e di cittadinanza ecologica, si dice che tra i suoi contenuti c’è anche l’educazione alle virtù. Non si può educare solo indicando i beni-valori, quali l’acqua potabile, il clima, l’energia sostenibile. Bisogna educare ad atteggiamenti costanti, stabili, di impegno nei confronti dei benivalori, sino a conseguirli. Noi dobbiamo fare riferimento a valori veri, fondati oggettivamente, che debbono essere condivisi e, poi, perseguiti, collaborando con tutti coloro che sono disposti a farlo.
Voi comprendete, allora, che il concetto di ecologia integrale richiede un approccio integrale. Questa ecologia richiede in sostanza una complessità di analisi, di sguardi, di giudizi, di scelte, di condotte.
Il Capitolo si ferma, poi, sugli elementi essenziali dell’ecologia integrale nelle sue varie dimensioni interiori e sociali.
La sua integralità include, secondo Papa Francesco, la dimensione ambientale, economica, sociale, culturale, spazi di vita pubblica urbana e rurale, e ha come sua base il bene comune, oltre che il bene e il valore della giustizia. Collegato al bene comune è il concetto di giustizia sociale, che deve regolare non solo i rapporti tra noi di questa generazione ma anche con le generazioni future.
ambienteIl concetto di ecologia integrale ci rimanda alla coltivazione – attraverso le virtù – di un bene collettivo che ci vede tutti solidali, interdipendenti, noi di oggi con le generazioni future. Il creato è donato da Dio non a uno solo, non a pochi, ma a tutti, a tutte le generazioni. Il creato non è proprietà di nessuno: è un bene affidato in amministrazione, perché serva non solo al mio bene, ma anche al bene degli altri. È questo il principio della destinazione universale dei beni. Ciò riguarda la giustizia. Questa si fonda sulla considerazione del bene, nel nostro caso del bene che è il creato, bene di tutti.
Tutti devono averne accesso. Tutti devono poterne usare per la loro crescita, per la loro dignità.
Quando si parla di ecologia integrale, quando si vedono le interdipendenze tra ecologia ambientale ed ecologia umana, ci rendiamo conto che non basta solo una scienza o le scienze relative allo studio della questione ambientale. Siccome l’ecologia ambientale la puoi risolvere con l’ausilio dell’ecologia umana, ci vogliono tutte le scienze che contribuiscono a realizzare l’ecologia umana. Il concetto di ecologia integrale richiede una sintesi dei saperi, una sintesi culturale, non bastano le conoscenze scientifiche, economiche, tecniche, politiche. Ci vogliono anche le scienza teologiche, antropologiche ed etiche.
Il Papa, come già detto, desidera offrire un metodo di approccio alla questione. Di per sé è più importante il metodo di tutto il resto, perché se tu sei in possesso di questo metodo, allora sì che riesci ad analizzare bene i problemi, a giudicarli e ad offrire delle soluzioni più adeguate. Il metodo di cui qui si parla si chiama anche discernimento. È composto di vari momenti: “vedere, giudicare, agire”. Il Papa aggiunge ad essi il “celebrare”, perché tutto ciò che noi facciamo deve essere poi portato a livello di condivisione della nostra vita con quella di Cristo nel momento della sua morte e resurrezione, nella Celebrazione Eucaristica.
In sostanza, il Papa ci ha portato a considerare vari aspetti della questione ecologica e nel contempo ci ha indicato gli strumenti per affrontarla e risolverla. Mancando gli strumenti di analisi, di giudicazione e di soluzione, si è impegnato ad enuclearli, ad elaborarli. Il concetto di ecologia integrale non era a disposizione. Ebbene, lo ha evidenziato nel Capitolo IV, con l’aiuto degli esperti. In tal modo, ha fornito una «cassetta degli attrezzi» con tutti gli arnesi necessari.
C’è un momento di analisi, di giudicazione e un momento di soluzione dei problemi e di offerta di orientamenti pratici, si è detto. Veniamo, allora, a quest’ultimo.

8. LE AZIONI: A LIVELLO INTERNAZIONALE, NAZIONALE, DEI PROCESSI POLITICI E DELLA SOCIETÀ CIVILE
Verso la fase finale dell’Enciclica abbiamo tutta una parte dedicata agli orientamenti pratici, all’azione. Dopo aver visto com’è la situazione, dopo aver detto che per leggere questa situazione dobbiamo essere ben attrezzati e avere a disposizione gli strumenti necessari, dopo aver detto che non possiamo dimenticare i contenuti della fede, e non possiamo procedere se non teniamo conto del concetto di ecologia integrale, il pontefice offre alcuni orientamenti pratici. Comincia a parlare di ciò che dobbiamo fare a livello internazionale, a livello nazionale, a livello dei processi politici e a livello della società civile.
Il Papa incomincia con il piano internazionale. Noi, afferma il pontefice, dovremmo avere, innanzitutto, una visione globale. E, poi, bisogna costruire un consenso globale. I grandi della terra dovrebbero, inoltre, stringere degli accordi efficaci, che non siano solo platonici, teorici. Ci dovrebbe anche essere chi possa controllare, verificare l’attuazione delle convenzioni. Questo deve essere fatto, in particolare, con l’aiuto di una governance internazionale, sovranazionale, composta da istituzioni internazionali forti e più efficacemente organizzate di quelle attualmente in essere.
In sostanza, Papa Francesco fa appello a ciò che talvolta il mondo cattolico vede come un orrore. Fa appello alla categoria dell’autorità politica mondiale, una categoria che non è nuova per la Dottrina Sociale, e si trova già in Pio XII. È ben evidenziata nella Pacem in Terris di Giovanni XXIII e nella Caritas in Veritate di Benedetto XVI.
Il Papa ribadisce qui la necessità di una autorità politica mondiale che non deve essere un superpotere, un Leviatano, il mostro marino che mangia tutti i pesci più piccoli. L’autorità politica mondiale non deve essere dispotica, annullante l’autonomia delle autorità statali, ma una autorità che nasce dal basso attraverso un processo democratico e non deve essere imposta. L’autorità politica mondiale, con la sua attività, è chiamata a garantire le condizioni perché tutti gli Stati, tutti i popoli, tutte le società civili, possano fiorire e raggiungere il bene comune corrispettivo.
Il Papa insiste, poi, sulle politiche nazionali e locali. Rispetto alla soluzione di una crisi ecologica globale planetaria, non si possono trascurare le funzioni improrogabili di ogni Stato. Nonostante gli Stati oggi abbiano una sovranità ridimensionata perché ci sono mercati sovranazionali, perché sorgono gruppi di Stati che si collegano tra di loro, non devono mancare le politiche nazionali.
Gli Stati nazionali hanno compiti ben precisi: devono fare le politiche relative alla salvaguardia del creato, devono coordinare, vigilare, sanzionare all’interno del proprio territorio.
E se non lo fanno? Su che cosa bisogna fare leva? Sulla società civile, perché l’ultimo responsabile non è lo Stato. L’ultimo responsabile nei confronti del bene collettivo che è l’ambiente è la società civile, che ha il primato sulla politica dello Stato. La società ordina e costruisce il proprio divenire attraverso uno Stato di diritto. Non si dimentichi che è cresciuta poi tutta una giurisprudenza sulla riduzione degli effetti inquinanti. Si deve vigliare attraverso la società affinché la politica non sia asservita al profitto, ad una crescita a breve, a risultati immediati.
Dice Papa Francesco: una volta che siano falliti i programmi dei piani alti (internazionale e nazionale), la differenza la fa la società civile, per cui “la società civile ha il dovere di organizzare la pressione della popolazione. La società civile, prima responsabile della salvaguardia dell’ambiente, deve obbligare governanti e governi a sviluppare normative, procedure e controlli più rigorosi”.
In sostanza, Papa Francesco vuole anche in riferimento a questa questione una democrazia dal basso attraverso un popolo attivo, non succube delle direttive di Stati che obbediscono a lobby finanziarie. Compete alle società di organizzarsi, come è avvenuto con il Referendum sull’acqua. Occorre una cittadinanza attiva.
Dopo quanto detto, il pontefice offre una serie di indicazioni per una politica ecologica. Oltre all’invito a modificare le abitudini, troviamo l’indicazione di sviluppare una economia di gestione dei rifiuti e del loro riciclaggio, ossia una economia circolare. Basterebbe anche solo questo cenno per dire “facciamo un convegno sull’economia circolare”. Tralasciamo quanto il papa suggerisce sui processi decisionali, sulla riforma del sistema finanziario. Basti sottolineare che se noi non desideriamo avere imprese multinazionali che anziché rispettare l’ambiente, lo depredano, per guadagnare il più possibile e assolutizzando il profitto, bisogna riformare profondamente l’attuale sistema finanziario che è comandato da un capitalismo finanziario che assolutizza il profitto a brevissimo termine. Papa Francesco usa parole molto dure, che rileggiamo mentre stiamo vivendo in Italia il fallimento di alcune banche.
Leggiamo al n. 189 “Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo.
La produzione non è sempre razionale, e spesso è legata a variabili economiche che attribuiscono ai prodotti un valore che non corrisponde al loro valore reale. Questo determina molte volte una sovrapproduzione di alcune merci, con un impatto ambientale non necessario, che al tempo stesso danneggia molte economie regionali. La bolla finanziaria di solito è anche una bolla produttiva.
In definitiva, ciò che non si affronta con decisione è il problema dell’economia reale, la quale rende possibile che si diversifichi e si migliori la produzione, che le imprese funzionino adeguatamente, che le piccole e medie imprese si sviluppino e creino occupazione, e così via”.
In breve: se non si procede alla riforma dell’attuale sistema finanziario non solo non riusciremo a tenere viva l’economia reale e ad avere una reale crescita, ma continueremo anche a danneggiare e a distruggere l’ambiente.

9. FONDAMENTALE L’EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA ECOLOGICA
Se fallisce l’azione sui vari piani (internazionale e nazionale), l’ultima istanza qual è? È la società civile, abbiamo risposto. Ma anche la società civile, purtroppo, alle volte può fallire, può non avere una coscienza viva, può non essere organizzata. L’ultima spiaggia che rimane, allora, è l’educazione. Perché? Perché, se anche con il livello politico si riesce a vararne una ben fatta, che vieta la depredazione delle foreste (come in Brasile), e le persone non la osservano, è come se la legge non fosse stata promulgata. È evidente che ci devono essere persone rette, educate al senso del bene comune. Bisogna avere persone, imprenditori, soggetti sociali con una coscienza ben formata. L’educazione alla cittadinanza ecologica è imprescindibile. Nelle nostre istituzioni incominciamo a parlare di cittadinanza ecologica e di tutto ciò che comporta questa espressione? Che cosa stiamo facendo?
Il Papa dice che obiettivo dell’educazione è quello di formare ad una cittadinanza ecologica, a solide virtù, a tutta una serie di piccole azioni quotidiane.
Ed è questa la sua risposta a chi dice che ci può essere la disperazione. Non deve venire meno la speranza. Si può reagire alla situazione, a problemi più grandi di noi, con piccole azioni quotidiane che sommate possono incidere e ci restituiscono innanzitutto il senso della nostra dignità.
Leggiamo ai nn 211-212: “È molto nobile assumere il compito di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane, ed è meraviglioso che l’educazione sia capace di motivarle fino a dar forma ad uno stile di vita. L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via. Tutto ciò fa parte di una creatività generosa e dignitosa, che mostra il meglio dell’essere umano. … Non bisogna pensare che questi sforzi non cambieranno il mondo.
Tali azioni diffondono un bene nella società che sempre produce frutti al di là di quanto si possa constatare, perché provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente. Inoltre, l’esercizio di questi comportamenti ci restituisce il senso della nostra dignità, ci conduce ad una maggiore profondità esistenziale, ci permette di sperimentare che vale la pena passare per questo mondo.” Ma chiediamoci: i nostri giovani sono in grado di fare questo? Alcuni sono più sensibili di noi, ma purtuttavia, vivendo in un contesto materialistico e consumistico, praticamente vanificano la loro attenzione e non riescono ad essere conseguenti.
C’è bisogno di educazione. È così che potremo far sì che anche le leggi possano essere osservate e non rimangano lettera morta.
Grazie per la vostra attenzione. Trascrizione dalla viva voce