Mons. Mario Toso

img130Per presentare il saggio Per una nuova democrazia è bene muovere dall’Evangelii Gaudium, prima Esortazione apostolica scritta da Papa Francesco.
Non è a caso. Infatti, nel 4° capitolo dell’Esortazione apostolica sopracitata, è illustrata l’importanza della dimensione sociale della fede. Il saggio Per una nuova democrazia è il tentativo di mostrare come la dimensione sociale della fede possa articolarsi nell’ambito politico, specie quello della democrazia. I cristiani non possono esimersi dall’essere portatori del Vangelo in ogni ambito della vita: nel lavoro, nell’economia, nella finanza, nei mezzi di comunicazione, nella politica.
Attraverso la fede cattolica il credente può e deve edificare una società più giusta, solidale, attenta ai bisogni dei poveri e degli esclusi, che promuova i diritti fondamentali e le libertà di ciascun individuo.
Da qui l’esigenza di una catechesi e di una formazione che approfondiscano la dimensione sociale della fede e che favoriscano la crescita dei futuri credenti a vivere con senso di responsabilità la politica. Non è da molto tempo che ilmondo cattolico è approdato sulla sponda della democrazia.
Esso vi è giunto solo nel secolo scorso, soprattutto dopo che Pio XII, nel suo Radiomessaggio natalizio del 1944, ha dichiarato che la democrazia appare quasi un postulato della ragione. La Chiesa aveva tardato ad aderire alla forma del governo democratico perché i sostenitori la giustificavano sulla base di un concetto di libertà senza limiti, indifferente nei confronti della verità, del bene e di Dio.
Pio XII superò la posizione negativa dei suoi predecessori considerando la democrazia come la forma di governo più in sintonia con la natura libera e responsabile dell’uomo. In sostanza, la Chiesa con papa Pacelli aderiva alla democrazia considerandola fondata sulla persona libera e responsabile.
Questa radicazione nella persona era la ragione per accettare anche le sue regole procedurali (la divisione dei poteri, il principio della costituzione, della maggioranza, ecc.), conquistate lungo i secoli precedenti con l’apporto dello stesso mondo liberale. Solo se le regole procedurali sono pensate come imperniate ed attuate sulla base di una antropologia integrale possono considerarsi propiziatrici di una crescita in umanità.
Ai nostri giorni è evidente che la democrazia non rispecchia assolutamente la propria essenza, quella di essere un governo dalle persone, delle persone, per le persone. Essa tende prevalentemente a rispondere agli interessi particolari delle lobby, delle élite, della finanza speculativa.
La decadenza della democrazia, dipende dallo sgretolamento di tre pilastri fondamentali della vita sociale: libertà, Stato di diritto e Stato sociale. Al giorno d’oggi il concetto di libertà è molto confuso; si tende a far coincidere la libertà con l’individualismo libertario, che addita il singolo individuo come misura universale di tutto, in grado di stabilire cosa sia verità e cosa non lo sia, cosa sia il bene e cosa sia il male. John Stuard Mill, filosofo britannico, asseriva che libertà è fare tutto ciò che si vuole purché non si leda il diritto altrui, ovvero “non fare agli altri ciò che non vuoi che venga fatto a te”.
Condivisa da molti, quest’ultima sembra una definizione di libertà migliore, rispetto a quella oggi in voga, e cioè una libertà senza limiti, senza rispetto della libertà altrui.
Tuttavia non è sufficiente a dar vita ad un’autentica democrazia. La vera libertà che dovrebbe promuovere uno stato democratico è la libertà che si lega al vero, al bene e a Dio: ossia una libertà che non solo si limita a rispettare la libertà altrui,ma che si prende cura del bene degli altri, perché crescano più liberi e responsabili: “faccio le mie scelte personali sulla base del libero arbitrio, scegliendo non solo ciò che è bene per me come singolo individuo, ma anche per tutta la collettività”. La libertà deve essere una garanzia per il conseguimento del bene comune.
Se oggi il concetto di libertà appare confuso e stravolto nella sua sostanza, ne risente anche lo Stato di diritto, che tutela e promuove i diritti civili, politici e sociali dei cittadini (lavoro, sicurezza, formazione professionale, cure sanitarie e molti altri diritti garantiti dalla democrazia). Infatti, se sulla base di una concezione radicale della libertà, si considera diritto anche l’arbitrio, ciò che è irrazionale, è chiaro che non vi è più alcun fondamento certo per i diritti e i doveri.
Ma veniamo al terzo pilastro eroso. Oggi viene messo in crisi anche lo Stato sociale e ciò a motivo del fatto che il diritto al lavoro non è più considerato un diritto fondamentale. Con la messa in crisi del diritto e dovere di lavorare sono posti in crisi anche altri diritti sociali.
Si tenga presente che nel secolo scorso è maturato l’ideale di una democrazia sostanziale, completa, e si ritenne che lo strumento privilegiato per realizzarlo fosse lo Stato sociale. Detto altrimenti, si pensò che una democrazia più autentica si potesse realizzare quando coi diritti politici si potessero realizzare anche i diritti sociali (diritto al lavoro, all’istruzione professionale, alla sicurezza sociale o welfare, alla casa, alla sanità, ecc.). Così, si pensò che non poteva esserci, da parte dei cittadini, la capacità di partecipare alla gestione della cosa pubblica, se l’economia non fosse un’economia sociale e partecipata, perché sorretta da un capitalismo popolare, con forme di imprese che considerassero non solo la partecipazione alle informazioni, agli utili,ma anche alla gestione, senza che si perdesse l’unità della direzione e della decisione.
Venendomeno, anche amotivo del prevalere del capitalismo finanziario, il diritto-dovere del lavoro, il pilastro dello Stato sociale si sta indebolendo, svuotando i connessi diritti politici e con ciò stesso la democrazia.
Oggi, l’accesso al lavoro appare come il diritto sociale negato per antonomasia: il soggetto disoccupato, oltre ad essere emarginato dalla società, non è posto in grado di esercitare in maniera libera e responsabile i diritti civili e politici. Nell’assenza pressoché totale di politiche economiche e del lavoro di ampio e lungo respiro, che permettano di rilanciare il Paese, i vari governi si limitano a varare “provvedimenti cerotto” che non risolvono le criticità, ma aumentano le disuguaglianze dando vita ad una democrazia del sussidio o del reddito di cittadinanza.
Rispetto ad una crisi epocale della democrazia sarebbe auspicabile che i cristiani tornassero a partecipare attivamente alla vita politica, così come suggerisce la Dottrina Sociale della Chiesa, superando le divisioni interne anche nel cattolicesimo. Solo con l’unione di intenti si può creare una massa critica, che raccolga le istanze del popolo e, facendo una sintesi alla luce del bene comune, che incida concretamente nelle scelte politiche del paese.
Per una nuova democrazia può essere utile per ogni cristiano che si ponga il problema di una politica più vicina al cittadino, più rispettosa dei diritti umani e vissuta secondo un’ottica cristiana.

Mons. Mario Toso
Vescovo di Faenza-Modigliana

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