natale

Girando per le vie della città appare evidente che quest’anno c’è qualcosa di diverso dagli altri anni: non si vedono in giro addobbi pieni di luci e di colori, non si sentono musiche che annunciano che il Natale è ormai vicino. Tutto lascia intuire che la gioia tipica del Natale si sia nascosta o addirittura sia sfuggita dal cuore dell’uomo del nostro tempo. D’altra parte come si può parlare di gioia? Possono parlare di gioia i giovani che non riescono a trovare una qualche attività, le famiglie che non riescono a far quadrare i conti alla fine del mese, i genitori che hanno sulle spalle figli ormai adulti che dovrebbero mantenersi da soli? Possono parlare di gioia gli scampati dai naufragi che hanno negli occhi la tragica fine di loro compagni di barca, coloro che vivono sotto la paura di armi e di attentati, coloro che hanno assistito alla violenta inondazione dentro casa di un’acqua putrida e devastante? E non possono parlare di gioia neanche coloro che hanno in sovrappiù beni e denaro ma che vivono “nel mondo attuale con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, in una tristezza individualistica che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata” (Evangelii Gaudium, 2)
Papa Francesco, con il solito coraggio e con la capacità di mettersi a tu per tu con i problemi contemporanei, porta una parola nuova dentro le situazioni in cui vive l’uomo e, senza paura di andare contro corrente, annuncia l’“Evangelii Gaudium” l’esortazione apostolica che inizia: “La gioia del Vangelo riempie il cuore di coloro che si incontrano con Gesù” (EG,1) e si pone di fronte a tutta l’umanità affermando che “coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (EG, 1). È come un potente raggio di luce che trapassa la realtà umana.
Si potrebbe pensare che questa gioia di cui parla il Papa si raggiunga estraniandoci dalla condizioni di vita, quasi gettando un ponte sui nostri problemi. Ma questa sarebbe evasione, tentativo inutile; e basterebbe un nulla per farci ricadere nella tristezza della vita quotidiana.
Davanti ai nostri occhi si profila l’esempio dei pastori che nel tempo della nascita di Gesù vegliavano i loro greggi intorno a Betlemme: la loro era una vita dura, povera, piena di precarietà e di stenti… “Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: ‘Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un Bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia’. E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama’” (Lc 2,8- 14). I pastori credettero alle parole dell’angelo e andarono e trovarono il Bambino e furono pieni di gioia e benedicevano Dio. Non avevano fatto soldi, non avevano migliorato il loro tenore di vita; avevano incontrato un Bambino e in quel Bambino avevano potuto toccare con mano l’amore di Dio, la fedeltà di Dio che aveva promesso un Messia che avrebbe liberato e salvato l’umanità e avrebbe dato pace a ciascuno di loro. Solo da questo incontro e non da altro sgorgò una grande gioia che cambiò la loro vita pur lasciandola nella precarietà e nella fatica.
L’invito alla gioia può essere fatto in modo superficiale, in modo generico e moralistico, giusto per distinguersi dagli altri uomini che oggi, in grande maggioranza, vanno in giro con volti tristi. Papa Francesco dice: “Capisco le persone che inclinano alla tristezza per le gravi difficoltà che devono patire, però poco alla volta bisogna permettere che la gioia della fede cominci a destarsi, come una segreta ma ferma fiducia, anche in mezzo alle peggiori angustie” (EG, 6). Parlare di gioia, aiutare le persone a intravederne la possibilità pur nella durezza e nel peso degli avvenimenti concreti della vita, è sicuramente un atto di amicizia, un desiderio di apportare un aiuto a chi sta nella sofferenza, un atto di umanità. Per i cristiani è anche un dovere di restituzione per la luce e la gioia che a loro è stata data gratuitamente.

p. Lorenzo Di Giuseppe