Il servizio
img123Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2019 (Msg) – La buona politica è al servizio della pace – emerge che la politica è bene se è un “servizio” (Msg 2), ovvero non è affermazione di se stessi, ma ha come scopo il bene della “collettività umana”. Altrimenti “può diventare strumento di oppressione, di emarginazione e persino di distruzione”. Non c’è un compromesso o una possibilità di mediazione tra il servizio e l’esercizio del potere per arricchirsi o trarre altri vantaggi temporali: l’uno è volto a “costruire la cittadinanza e le opere dell’uomo”, mentre l’altro è distruttivo.
I credenti impegnati in politica per M. Toso sono “servi inutili, ossia persone consapevoli non solo di aver eseguito il proprio dovere (cf Lc 17,7-10), ma anche del fatto che non sta a loro salvare il mondo, benché chiamati a collaborare per migliorarlo. Non debbono caricarsene tutto il peso sulle spalle. Solo Dio salva e dà la pace” (M. Toso, Cattolici e politica, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, p. 103).
Anche S. Francesco chiama i frati minori “servi inutili” con un’espressione evangelica che indica l’atteggiamento di chi fa umilmente il proprio dovere senza vantarsene e non pone al vertice della scala di valori il proprio benessere o utile, subordinando ad esso le sue scelte, ma cerca solo la gloria e l’onore di Dio.

Riconoscere la realtà concreta
Il Messaggio della Giornata Mondiale della Pace 2019 cita S. Paolo VI che pone come preliminare per un esercizio serio della politica, il “riconoscere la realtà concreta” (OA 46). Per far questo occorre saper vedere la realtà tutta intera e non limitarsi a presentarne un volto deformato e abnorme secondo gli interessi di parte.
Occorre ascoltare l’altro, saper vedere la sua diversità e farne motivo di crescita per noi; ma significa anche offrire all’altro la possibilità di crescere e di ampliare i suoi orizzonti, attraverso l’ascolto. Ciò è possibile solo se ci formiamo un’identità capace di “osare l’incontro” con l’altro (cf Msg 7), anche se lontano dalla nostra visione del mondo. Pensiamo a S. Francesco che osò incontrare perfino il sultano, il lupo, i briganti!
Nel vero dialogo il nostro esprimerci si deve confrontare con l’espressione dell’altro per non cancellare il suo mondo reale che è il mondo del difetto, dell’inadeguato, del dolore, della compassione, piuttosto che dell’efficienza, dell’assoluto. Per comunicare bisogna guardare la realtà così come essa si presenta nella sua mutevolezza, evitando di ripetere slogan di politici a caccia di consenso, che vogliono catturare l’altro piuttosto che ascoltarlo.
Dire che la buona politica deve partire dalla realtà così come essa si manifesta, significa anche introdursi nella storia fatta di passato, presente e futuro. Se la politica è volta solo al presente, non si apre al futuro, non pensa all’eredità da lasciare ai posteri, è miope e inefficace. Se non si fonda sulle basi di un passato costruito da altri, riconoscendone elementi di validità, è senza radici, superficiale e instabile. Abolire la continuità con il passato e non curarsi degli effetti a lunga scadenza delle proprie azioni, significa mirare solo al proprio utile immediato. Significa non tendere al bene, perché il bene ha bisogno di tempo per diffondersi e produrre opere che siano costruttive e, quindi, capaci di futuro, di attrattiva e di speranza.
La storia nella sua triplice dimensione di passato, presente e futuro, è “pienezza”, il momento presente “è espressione del limite che si vive in uno spazio circoscritto” (EG 222) e, come tale, non può bastare a realizzare l’umano e a diffondere il bene. “Da qui emerge un primo principio per progredire nella costruzione di un popolo: il tempo è superiore allo spazio” (ibidem).
Pertanto non è buona quella politica che cerca solo la discontinuità col passato e non sa valorizzare e “ri-conoscere” quanto di positivo è stato fatto da chi è venuto prima, per proseguire in vista di un miglioramento ulteriore.

La libertà di scelta
La buona politica, per S. Paolo VI, dovrà altresì riconoscere il valore della “libertà di scelta” non intesa come spesso accade oggi in senso qualunquistico, ovvero valorizzando la possibilità di scegliere qualunque cosa indipendentemente dalla distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male. Si può credere di essere liberi scegliendo, ma è possibile, invece, che questa scelta sia arbitrio, ovvero scelta di ciò che detta l’istinto più forte o lo stimolo più gradito. Dire che si è liberi quando si fa quello che si vuole, è dire una falsità, perché se noi facciamo quello che vogliamo, siamo schiavi delle nostre comodità. Al contrario siamo liberi quando non scegliamo in vista di una nostra utilità.
“La verità ci farà liberi”, ha detto Gesù (Gv 8,32). La libertà di scelta richiede di conoscere come stanno le cose, senza rimanere intrappolati nella rete dei condizionamenti e delle menzogne mediatiche che vorrebbero polarizzare il nostro pensiero intorno a poche idee che non rispecchiano la complessità del reale, ma sono utili a chi detiene il potere per manipolare le menti e le emozioni. Mons. Toso sollecita la “lotta aperta” e il “deciso superamento di alcune tentazioni, quali il ricorso a metodi sleali e alla menzogna” (M. Toso, ibidem, p. 41) da parte dei politici che vogliono mascherare la realtà, mentre è importante rimanere ancorati ad essa, poiché, come dice Papa Francesco,“la realtà è superiore all’idea” (EG 233).
Nel Messaggio della Giornata Mondiale della Pace di quest’anno si dice che il riconoscimento della “realtà concreta” e il valore della “libertà di scelta” servono a “cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione, dell’umanità” (Msg 2).

Il bene per se stesso
Quando l’utile, inteso come profitto individuale o come comodo, è il fine di ogni azione e scelta, il pensatore francescano S. Bonaventura parla di “appetito” e non di volontà. In genere le nostre azioni non sono completamente libere, perché sono soggette all’appetito. Invece un’azione è veramente libera se il bene è disinteressato, ovvero se è cercato per se stesso, cioè perché è bene. Le scelte saranno tanto più libere quanto più sfuggiranno alle seduzioni del piacere e dell’utile, “assoggettando entrambi al dominio dell’onesto in quanto tale” (L. Baldo, Pace e bene, Porziuncola, p. 13). img125
Pertanto una politica è buona quando persegue l’onesto e non i vantaggi di una o dell’altra parte, quando non è faziosa, cioè non identifica quella parte o quel partito con il bene, ma sa cercare i semi di bene ovunque essi si manifestino.
Solo così sarà possibile “costruire la cittadinanza” (Msg 2) e una democrazia matura dove i cittadini siano volti a cercare il bene comune universale, superando le parzialità che soffocano ogni germe di bene. E non importa se quest’atteggiamento può sembrare ingenuo o comporta un’emarginazione dall’agone politico, poiché il Signore è stato il primo ad essere apparentemente sconfitto, mentre la sua “sconfitta” agli occhi del mondo è stata la nostra salvezza e la vittoria del bene che non muore.

Lucia Baldo

riproduzione riservata
ISSN 1974-2339