img88Dice S. Francesco: “… se tu fossi tanto intelligente e sapiente che tu avessi tutta la scienza e tu sapessi interpretare tutte le lingue e acutamente perscrutare le cose celesti, in tutto questo non ti puoi gloriare; poiché un solo demonio seppe delle cose celesti e ora sa di quelle terrene più di tutti gli uomini insieme” (FF 154).
Come a S. Francesco neanche ai teologi francescani interessa il sapere per il sapere, ma altra cosa è il sapere per l’operare!
Non basta parlare di concretezza per esprimere la visione francescana della vita, ma è fondamentale sapere “come” operare. Per questo S. Francesco invocò il Signore perché si degnasse di indicargli quando era suo servo e quando no. E il Signore gli rispose: “Riconosciti mio servo veramente, quando pensi, dici, agisci santamente” (FF 743).
Che cosa può essere l’azione santa se non quella che ci conforma a Cristo?
Ecco allora che per agire santamente non dobbiamo assolutizzare l’utile o l’efficienza organizzativa, ma dobbiamo ribaltare la scala dei valori comunemente perseguita e porre al primo posto il formarsi della persona, affinché sia in pienezza ad immagine del corpo e a similitudine dello spirito  di Cristo.
Nella teologia francescana troviamo questo ribaltamento che S. Francesco propone ai suoi frati chiamandoli “servi inutili” (FF 68).
Luogo privilegiato per conoscere tale teologia sono le Fonti Francescane che ormai da decenni tutti possono consultare, ma occorre fare attenzione a non interpretarle a partire dalle nostre opinioni che sono facilmente condizionate dalla mentalità corrente che è pragmatista, in quanto pone l’utile, l’efficienza al primo posto nella scala dei valori.
Invece è importantissimo far parlare i testi “fenomenologicamente”, cioè cercando di togliersi gli occhiali coi quali si vede la realtà e far parlare i testi sospendendo i propri pregiudizi.
Studiando le Fonti Francescane si può notare che “il servo inutile” S. Francesco usa parole che oggi sono cadute in disuso: “opera santa”, “spirito” di Dio o dell’uomo… Sono parole che ci fanno uscire dal materialismo di opere compiute unicamente per produrre qualcosa di utile e che invece ci immergono in un mondo che, pur essendo concreto, non si preoccupa anzitutto del prodotto, ma della formazione della persona che agisce. In sintesi tali parole ci dicono che non è importante “che cosa” si fa, ma il “come” lo si fa, cioè con che spirito lo si fa.
Qual è il “come” di S. Francesco? È il “come” di Cristo. Il Santo spende tutta la sua vita nel continuo ricominciare, conformando sempre più il suo spirito allo spirito di Cristo. Non agisce per un proprio tornaconto o non compie buone opere per avere una gratificazione, ma co-opera con Cristo, cioè agisce nel suo stesso modo, con il suo stesso spirito di gratuità, di piena donazione di sé e non di ricerca di potere, di privilegio, di ricchezza… E così facendo il suo spirito diventa sempre più simile allo spirito di Cristo e sempre più vicino a Lui, cioè realizza pienamente la dignità dell’uomo, unica creatura creata ad immagine e similitudine del suo Creatore.
Nei suoi brevi Scritti il Santo ci racconta la concreta esperienza di comunione familiare con la Trinità: “Oh, come è glorioso, santo e grande avere in cielo un Padre! Oh, come è santo, fonte di consolazione, bello e ammirabile avere un tale Sposo! Oh, come è santo e come è caro, piacevole, umile, pacifico, dolce, amabile e desiderabile sopra ogni cosa avere un tale fratello e un tale figlio, il Signore nostro Gesù Cristo” (FF 178/3). E poi esorta anche noi a fare penitenza per realizzare questa comunione che dà la letizia francescana: “Oh, come sono beati e benedetti quelli e quelle, quando fanno tali cose e perseverano in esse; perché riposerà su di essi lo Spirito del Signore, e farà presso di loro la sua abitazione e dimora; e sono figli del Padre celeste del quale compiono le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi, quando l’anima fedele si unisce al Signore nostro Gesù Cristo per virtù di Spirito Santo. Siamo suoi fratelli quando facciamo la volontà del Padre che è nei cieli. Siamo madri, quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza, lo generiamo attraverso le opere sante, che devono risplendere agli altri in esempio” (FF 178/2).
La letizia si costruisce nel farsi “dimora” dello spirito del Signore compiendo l’“opera santa” che non si esaurisce nell’utilità delle cose fatte, anzi è compiuta dal “servo inutile” che opera imitando Cristo, perciò non attribuisce a sé i beni, ma li restituisce a Dio, “poiché ogni bene è suo ed Egli solo è buono” (FF 49).
La letizia è un traguardo da raggiungere in un percorso di liberazione, che coltiva e realizza l’umano.

Graziella Baldo