san-francesco-simbolo-di-paceVicino alla morte, nel suo Testamento (1226), S. Francesco ricorda: “Il Signore mi rivelò che dicessi questo saluto: Il Signore ti dia pace”. E dal suo Testamento S. Francesco continua a rivolgere questo saluto di “pace” a ciascun uomo, anche oggi. Egli è diventato un simbolo di pace. Purtroppo, però, i popoli sono sempre in guerra. Esiste uno scarto tra la nostalgia o il desiderio della pace, e la sua realizzazione. C’è il sospetto che la pace sia come una terra promessa, un’utopia troppo bella perché possa diventare la patria dell’uomo. Ma, allora, che senso ha il saluto di S. Francesco: “Il Signore ti dia pace”? il saluto che egli dice essergli stato rivelato da Dio stesso? Per aprirci al senso vero della “pace” di S. Francesco, si deve, innanzitutto, riconoscere che colui che rivolge questo saluto non sembra uno che cerchi di stare in pace.

Niente è più deviante di una rappresentazione pacioccona di S. Francesco come di uno che si ritrae dalla lotta e dal dramma della vita, per bearsi nella propria interiorità privilegiata, o per compiacersi in una visione di estetica pia del mondo, del sole e delle stelle. Per quanto figlio di un ricco mercante, l’ideale della sua giovinezza furono le armi; partecipò alla guerra tra Assisi e Perugia, fu prigioniero di guerra; si arruolò per andare a cercare guerre nell’Italia meridionale. La svolta storica della sua vita, la conversione, non lo buttò giù da cavallo come Paolo sulla via di Damasco, ma lo fece scendere dal cavallo di guerra per porlo al livello dell’uomo. Il bacio al lebbroso e il condividere l’emarginazione dei lebbrosi, dove l’umano era la terra più impervia da conquistare, sono le prime imprese della vita-milizia nuova di Francesco. In una pennellata il biografo Tommaso da Celano offre l’incalzare dell’ottimismo militante della vita di Francesco: “Egli riputava come nulla ciò che aveva fatto; ma poneva sempre mano di nuovo a cose forti”.

Questi è l’uomo che ci dona il saluto di pace vero e leale, limpido e caldo come lo sguardo di una madre. E tuttavia rimane l’interrogativo sul valore e il senso della pace offerto dalle mani vuote di S. Francesco. Al riguardo è bene ricordare che il saluto di S. Francesco non solo era nuovo per il suo tempo, ma sembrava anche assurdo e ingiurioso. Che conforto poteva dare? Non toglieva forse l’unica gioia della vita, che è quella di ribellarsi al malvagio e di vendicarsi ritorcendogli il male sul capo? Uno dei primi dodici compagni di Francesco si vergognò di questo saluto, e gli chiese di cambiarlo con un altro. Ma egli osservò amaramente: “Voi non intendete le cose che sono di Dio!”. Francesco è ben consapevole che solo Dio può dare all’uomo la pace e che il saluto di pace, per essere vero, è linguaggio di grazia che viene da Dio.

Ciò che lo rende credibile, cioè divino, sono appunto le mani vuote di chi lo offre, come un dono che viene dall’alto. Ciò che invece lo perverte, rendendolo indegno di Dio e dell’uomo, è l’astuzia luciferina di usarlo come strumento di oppressione sull’uomo: sta in pace, butta via le armi della tua difesa, in modo che io possa tenerti in mio potere in santa pace! Ma nessuno poteva nutrire sospetti riguardo alle mani vuote di S. Francesco. Modellandosi giorno dopo giorno sull’esemplare del “Figlio dell’uomo”, egli restituì l’annunzio evangelico di pace alla dignità originaria; chi ascoltava quel saluto avvertiva il dono di Dio che scendeva nel cuore fatto duro e gelido come il granito. E rigermogliava l’umano nell’uomo. E non vi era struttura religiosa, politica e sociale che potesse impedire o condizionare quel ricupero del dono divino.

Persino il sultano Malek al Kamil re dell’Egitto, in piena guerra coi crociati, viene coinvolto dal saluto di pace di S. Francesco riuscito ad arrivare sino a lui senza salvacondotto, esponendo la propria vita. Secondo la testimonianza del vescovo Giacomo di Vitry, il sultano chiese a S. Francesco di pregare per lui perché potesse aderire alla religione che maggiormente piacesse a Dio. Ai nostri giorni la crescita mostruosa del potere micidiale delle armi (l’uomo oggi può distruggere il mondo) sembra rivendicare il realismo del precetto che per la volontà di S. Francesco ne vietava l’uso ai laici francescani, opponendosi al principio inveterato: si vis pacem para bellum. Costretti dal terrore per aver rifiutato il dono dell’amore, oggi ci si chiede: è realistico fabbricare le armi per la pace? È realistico offrire la pace con la mano armata per uccidere? Francesco, simbolo di pace! Che ci aiuti a comprendere il dono di Dio.

Da una relazione di p. V. C. Bigi