Se le ragazze sono soltanto ovaie che camminano | ilcantico.fratejacopa.net

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Ecco i volti e le storie delle donne “donatrici di ovuli” che finiscono nel meccanismo tritacarne della fecondazione eterologa. Sono raccontate da un documentario americano che si intitola “Eggsploitation”, un gioco di parole fra ovulo (egg) e sfruttamento (exploitation).
Il film, il 3 febbraio, ha vinto il premio come migliore documentario al California Independent Film Festival ed è stato presentato con successo al mercato del Festival di Berlino (10-20 febbraio). È stato scritto e realizzato da Jennifer Lahl, Presidente del Center for Bioethics and Culture.

“Sono particolarmente contenta che il nostro film sia stato premiato proprio in California – ha detto la Lahl -. La California è considerata la capitale mondiale del turismo riproduttivo ed è bene che un film che tratta il tema dei rischi per la salute delle giovani donatrici di ovuli sia stato premiato proprio qui”.

Eggsploitation” racconta la storia di alcune ragazze, Calla, Alexandra e Cindy, fra le altre, che hanno sofferto conseguenze mediche molto gravi a seguito della donazione dei propri ovuli. “Fino a pochissimo tempo fa sul tema non si trovava nemmeno una pagina di letteratura scientifica, da sempre le cliniche rassicurano le donatrici sul fatto che i malesseri post-trattamento sono soltanto un disturbo da niente.

Eppure “donare” i propri ovuli è un “calvario”, ha scritto ad agosto dello scorso anno Valentina Fizzotti su Il Foglio in occasione della presentazione del documentario. I danni per la salute possono essere provocati, raccontano le ragazze nel documentario, dalle alti dosi di ormoni che è necessario assumere prima della donazione o dalle conseguenze dell’intervento chirurgico.

Il film non è ancora arrivato in Italia ma sta già facendo il giro del mondo. È stato venduto e distribuito in 15 paesi, oltre al Regno Unito e agli Usa. La prossima primavera è previsto anche un tour di proiezioni in alcune prestigiose università: Columbia, Fordham, Yale, Notre Dame law schools, Loyola-Marymount, Boston College, fra le altre.

Per le cliniche queste ragazze sono ovaie che camminano”, dice Suzanne Parisian, ex dirigente medico della Fda. Cindy, una delle ragazze intervistate per il documentario, aveva bisogno di soldi e rispose ad un annuncio. Ha letteralmente rischiato di morire per poco più di un migliaio di dollari. Ad Alexandra, una ricercatrice di Stanford, sembrò meraviglioso aiutare un’altra donna a diventare madre. Ma ora, non solo ha perso la possibilità di avere figli lei stessa, ma si è anche già ammalata di tumore al seno due volte. Come Jessica, morta di cancro a soli 30 anni.

“Eggsploitation racconta i rischi medici della donazione degli ovuli con attenzione e senso della verità in ogni dettaglio ed è un atto di accusa devastante contro la mercificazione della donna e dei suoi ovuli”, ha detto Donald Landry, capo del Dipartimento di Medicina della Columbia University. Non si conosce il numero delle donatrici di ovuli negli Usa. L’unico dato certificato, al momento, è che nel 2007, solo negli Usa, sono stati portati a termine 17.405 cicli di IVF (In vitro fertilisation) e che il numero è destinato a crescere. Ma è il dato umano, alla fine, quello più impressionante.

“Nastaya Kanatova ha tre bambini – ha raccontato il giornalista Steve Boggan il 16 dicembre 2010 nel suo servizio per il Daily Mail sulla fabbrica dei bambini –. Non sa se sono maschi o femmine, non ha idea del colore dei loro occhi e non ce l’avrà mai”. Nastaya fa parte della folta schiera di donne dell’Est Europa che da anni alimenta il traffico di ovuli nelle cliniche europee. “Mi dissero che erano nati tre bambini – ha raccontato la donna –. In quel tempo non avevo sentimenti particolari verso di loro. Stavo donando materiale genetico, nient’altro. Ma, quando il tempo passò, io mi ritrovai tormentata da domande senza risposta. Mi chiedo: Stanno bene? Sono felici? Perché alla fine non è solo biologia, non è vero? È anche un sentimento umano. Io ho dato loro la vita, e mi sento consumata dalla colpa”.

Andrea Piersanti
Giornalista, Docente di Metodologia e Critica dello spettacolo, Università “Sapienza”, Roma