D. – C’è una parola di Papa Francesco che l’ha particolarmente colpita?
R. – Papa Francesco ha detto una cosa meravigliosa nel suo discorso finale. Ha detto che abbiamo sentito una chiamata e dobbiamo rispondere. La chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza, spezzarla con una sola parola. E qual è questa parola? Uno si aspetterebbe che il Papa dicesse pace ed invece dice una parola chiave che spezza veramente ogni violenza e ogni odio: questa parola fondamentale è fratello, è riconoscersi figli di un unico Padre. Questo messaggio è così trasparente, così autentico: la forza di spezzare la violenza. Sicuramente non possiamo aspettarci che tra oggi e domani le guerre nel mondo, nel Medio Oriente si calmino e lascino da parte le armi, però è sicuramente un invito a convertirsi alla pace, alla profondità del messaggio religioso di ogni religione, perché in tutte le religioni c’è la parola fratello.

pacejpegAll’incontro in Vaticano era presente Renzo Gattegna, il presidente dell’Ucei, l’Unione delle Comunità ebraiche italiane che si sofferma sulla straordinaria consonanza vissuta nell’invocazione di pace.
R. – Questo incontro in Vaticano è stato molto particolare ed emotivamente molto forte. Particolare perché, nonostante la presenza di due presidenti – Shimon Peres ed Abu Mazen – non è stato un incontro politico.
È stato prevalente proprio il carattere religioso, è stato proprio dominante il carattere religioso dell’incontro.
Quello che mi ha colpito è stato il fatto che, nonostante le tradizioni diverse, le lingue diverse, alla fine i concetti che venivano espressi erano molto simili, sia che fossero detti in arabo, in ebraico, in italiano che in inglese. Emergeva chiaramente questo desiderio di pace.
D. – In qualche modo questo evento, circoscritto nello spazio e nel tempo, ha dato però quasi un’immagine di come potrebbe essere una terra in pace e riconciliata…
R. – Sì, perché il Dio è unico ed è stato espressamente detto da tutti. Sono tre religioni che credono nello stesso Dio e che discendono tutte da Abramo, sono tre religioni abramitiche. Può essere, in piccolo, una specie di laboratorio dove la convivenza si è vista messa in pratica con il rispetto reciproco. La convivenza stessa dovrebbe essere possibile, senza voler prevaricare, convertire, senza forzature né violenza.

L’incontro di preghiera del Papa con il Patriarca Bartolomeo, i presidenti Peres e Abbas è anche il segno che la fede attinge a una riserva di energie e di visione che la politica non ha. Il commento del presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, al microfono di Fabio Colagrande:
R. – Che si sia fatto ricorso alla preghiera, come tentativo di sbloccare una situazione che da più di 60 anni è incancrenita in Terra Santa e Medio Oriente è, come ci ha detto il Papa, un tentativo coraggioso di rovesciare in un certo senso il tavolo, laddove politica e diplomazia non hanno saputo ancora trovare una soluzione, per chiedere l’aiuto all’Onnipotente. E’ molto, molto significativo che lo spirito di Assisi, lanciato da Giovanni Paolo II nell’86 – le religioni che pregano insieme per la pace – sia oggi veramente il ricorso più importante che si può fare per sbloccare questa situazione.
D. – La politica per un giorno ha lasciato il campo alle religioni. Cosa significa questo?
R. – Significa innanzitutto riconoscere che gli uomini e le donne di religione hanno un loro ruolo, primo perché pregano e secondo anche perché creano dei nuovi legami. Quello che è accaduto è anche un momento di grande amicizia. Abbiamo tutti visto le immagini: l’abbraccio di Papa Francesco sulla porta di Casa Santa Marta, che accoglieva i suoi ospiti; il fatto di essersi abbracciati alla fine, di aver chiacchierato sul pullman, di aver piantato assieme un ulivo… Gli uomini e le donne di religione possono portare nel mondo quell’amicizia, che spinge verso il dialogo e che domani – se fatto con coraggio – porterà alla pace.pacejpeg

Da Radio Vaticana 10/6/2014