Sintesi della relazione di Riccardo Moro*

Speciale Capitolo Fonti: “Farsi prossimo: la sfida della povertà” - Prof. Riccardo Moro | ilcantico.fratejacopa.net

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Vogliamo studiare le dinamiche di oggi per identificare il modo di incidere sulla realtà.
Cos’è la povertà?
Innanzitutto è associata ad una dimensione economica: è considerata come mancanza di mezzi di sussistenza (reddito, patrimonio).
La moneta è considerata come unità di misura del valore delle cose presenti nel mondo. La dimensione economica della vita sociale ha un’intensa pervasività: usiamo il linguaggio economico per parlare di tanti altri ambiti della vita sociale, che non sono economici. La dimensione economica delle nostre relazioni spesso diventa prevalente tanto da identificare il successo economico con la realizzazione personale per cui stimiamo chi ha successo in economia. Ricordiamo che, secondo la visione calvinista, il successo economico è segno della predestinazione divina e la povertà è disprezzata.
Se da una parte la visione economica della povertà è tuttora presente (si pensi alla classificazione in paesi ad alto, medio e basso reddito) dall’altra, nel dibattito internazionale, la povertà è considerata una categoria multidimensionale: si guarda se si dispone di alcune opportunità. Si comincia a riflettere sulla povertà in termini di privazione di strutture educative o sanitarie, di mancanza di attenzione per l’ambiente…

Comunque oggi la povertà ha un’accezione negativa e si lavora per uscirne. In tale contesto la povertà francescana o evangelica è provocatoria.
Essa non è considerata negativamente come assenza di beni, ma positivamente come distanza dai beni per non dipendere dalle cose, per usarle senza dipendere da esse. Questo tipo di povertà dà la libertà dalla schiavitù delle cose. I beni non vanno accumulati, ma vanno usati per mettersi in relazione con gli altri.
Tutto ciò corrisponde alla riflessione del cristiano sull’economia e ci richiama la parabola del figliol prodigo che si esclude dalla relazione col padre pretendendo i suoi beni, ma poi ritorna, mentre il fratello maggiore è sempre stato in relazione col padre.
Nella storia dell’economia ricordiamo due grandi personaggi: Keynes e Amartya Sen. Keynes rese più rapido il processo di ricostruzione dell’Italia dopo la I guerra mondiale inventando la “politica della domanda” che rese lo Stato autore dell’economia usando la spesa pubblica per favorire la domanda di lavoro.
Amartya Sen propone un nuovo modo di intendere lo sviluppo che non è solo economico, ma è considerato più complessivo ed arriva a parlare di esercizio della libertà a cui i francescani sono sensibili.
Non esiste un solo “modello di sviluppo”. Anche limitandosi al Nord si può osservare che nell’Europa continentale è accaduto qualcosa di diverso dalla Gran Bretagna o dagli Usa dove la presenza dello Stato è molto più rarefatta.
Comunque i modelli (= canoni a cui ci si deve adeguare) non servono. Servono esempi che diano spunti e speranza. Occorre capire quali sono le strade originali che ognuno deve percorrere.
Grazie ad Amartya Sen oggi si riflette parlando di “sviluppo umano” che è il percorso originale che ciascuno deve fare. La condizione favorevole allo sviluppo è la condizione in cui una comunità può liberamente scegliere il proprio futuro e disporre dei mezzi per realizzarla.
Allo “sviluppo umano” servono risorse formative e finanziarie. Per questo motivo, da vent’anni a questa parte, è stato costruito l’“indice di sviluppo umano” che misura le opportunità che ogni paese ha: durata di vita media, grado di istruzione, reddito medio… Si elabora un indice che varia da 0 a 1. Oggi sono pochissimi i paesi che possono scegliere il loro futuro. La Comunità internazionale nel 2000 ha scelto gli obiettivi (fame, istruzione, protezione sanitaria, inquinamento) di sviluppo del millennio, che vengono sintetizzati con la formula: “dimezzare la povertà entro il 2015”.

Speciale Capitolo Fonti: “Farsi prossimo: la sfida della povertà” - In pellegrinaggio alla Tomba di S. Francesco | ilcantico.fratejacopa.net

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Si era cominciato bene cancellando il debito di alcuni paesi del Sud, aumentando le risorse per lo sviluppo…, ma tutto si è congelato dopo l’episodio delle torri gemelle. Nel 2005 c’è stata una ripresa, anche se si toglie enfasi agli obiettivi, perché si sa che non saranno raggiunti.
C’è un consenso internazionale, però nelle Agende dei paesi prevale una visione gretta. Si considera la crescita del PIL, ma essa non comporta una crescita dell’occupazione. Siamo di fronte a processi di cambiamento climatico determinati da un modo irresponsabile di gestire la nostra presenza sul pianeta. La sfida a cambiare il modo di vita è una questione aperta ad una rivoluzione culturale. È in atto un progressivo cambiamento dei ruoli tra il Nord e il Sud. Il Nord non è più statico e ricco come prima a causa della dipendenza sempre più forte della vita economica dalla finanza. Dagli anni ’80 è iniziato un processo in cui la finanza è diventata un mondo autoreferenziato e gli scambi finanziari hanno un valore superiore al valore dell’economia reale. Inoltre la deregolamentazione e lo sviluppo dell’informatica hanno fatto crescere questo processo a dismisura.
In Europa, in Giappone e negli Usa c’è una vulnerabilità diversa da prima, che ha diffuso timore per il futuro.
Che fare?
Parlare di povertà e di farsi prossimo, tanto sul piano personale che comunitario, significa ragionare su quale uso facciamo dei beni per metterci in relazione con gli altri.
Non abbiamo saputo farlo a livello internazionale, ma lo abbiamo fatto a livello nazionale. La legislazione sui diritti del lavoro, i livelli di protezione sociale… sono un esercizio a tutela della dignità della persona, che in Italia è stato fatto. La sfida è quella di riuscire a fare il passaggio dalla dimensione nazionale a quella internazionale.
Per duecento anni la riflessione è cresciuta insieme al consenso in favore di una legislazione sociale, ma oggi si diffonde l’idea che le persone debbano scommettere su se stesse e non adagiarsi sulle protezioni offerte dalla comunità. Siamo sempre meno tutelati come lavoratori e sempre più coccolati come consumatori. Ai consumatori si dà tutto (rateizzazioni…) e così vengono a mancare i soldi per altri investimenti.
Abbiamo bisogno di una cultura che si fondi sulla relazionalità come luogo per la salvezza della dignità della persona.
Occorre creare soluzioni nuove di cooperazione internazionale e di sviluppo dei mercati, affinché anche nella vita economica si trovino i modi per proteggere la vita. Come cristiani dobbiamo inevitabilmente guardare alla politica. Abbiamo bisogno di percorsi che coinvolgano tutti i membri della comunità e che da parte della comunità vengono identificati e scelti e messi in pratica.
È necessaria una politica che applichi una nuova giustizia riconciliativa ricostruendo le relazioni e non abbandonandosi alla logica del regolamento di conti. La giustizia non deve costruire un sistema retributivo che si fondi sul comminare le pene, ma deve agire per ricostruire le relazioni.
Nella storia abbiamo avuto l’esempio del Sud Africa dove dopo l’apartheid si è deciso di ricominciare daccapo seguendo la logica della reciprocità di relazioni, senza regolamento di conti che, tra l’altro, non avrebbe avuto mai fine. La stessa cosa si può dire dei padri della Costituzione dopo la II guerra mondiale. Se invece immaginiamo, come sta facendo il G20, che il riequilibrio dei poteri debba seguire una logica rivendicativa, non raggiungeremo mai la pace. La demonizzazione dell’avversario porta sempre lacerazioni!
Se c’è una cosa che noi cristiani dobbiamo fare è testimoniare questa attenzione e cercare le condizioni per camminare insieme. Non la gerarchia ecclesiastica, ma noi laici dobbiamo farlo.

A cura di Graziella Baldo * (Università degli Studi di Milano)