Nobel a Johnson-Sirelaf e Leymah Gbowee | ilcantico.fratejacopa.net

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Il Comitato norvegese del Nobel ha assegnato il premio Nobel per la Pace a Tawakur Karman, una donna che combatte da anni per i diritti umani e soprattutto per i diritti della donna in Yemen. Oltre alla Karman, hanno ricevuto questo premio altre due donne: Ellen Johnson Sirleaf, prima presidente donna della Liberia e Leymah Gbowee, attivista per la pace, anch’essa liberiana.

Johnson-Sirleaf, madre di quattro figli, è impegnata nella ricostruzione del suo paese da quattordici anni di guerra civile che ha causato la morte di 250.000 persone. Economista, Johnson- Sirleaf viene esiliata a Nairobi, in Kenya, nel 1980, dopo il rovesciamento dell’allora presidente William Tolbert. Torna in patria solo nel 1985, per partecipare alle elezioni del senato della Liberia, ma quando accusa pubblicamente il regime militare, è condannata a dieci anni di prigione. Rilasciata dopo poco tempo, si allontana dalla Liberia dove torna nel 1997 nel ruolo di economista. Nel 2005 diviene il primo Presidente donna della Liberia.
La seconda donna africana premio Nobel per la Pace è la liberiana Leymah Gbowee, avvocato, attivista per la pace che ha contribuito a mettere fine alle guerre civili nel suo Paese.

LA PRIMAVERA ARABA DELLE DONNE
Tawakul Karman
, 32 anni, giornalista, è nota per aver fondato nel 2005 l’ong “Women Journalists Without Chains” (Wjwc), per promuovere la libertà di informazione e i diritti umani nel suo Paese. Dalla libertà di stampa il suo impegno si è sempre più allargato verso i diritti delle donne, dei bambini, la lotta alla corruzione e al cattivo governo. Dal 2007, ogni martedì, lei e il suo gruppo manifestano di fronte alla sede del governo sulla piazza della Libertà a Sana’a. A causa delle manifestazioni e delle sue denunce anti-corruzione è stata spesso arrestata e poi rilasciata. Dallo scoppio della primavera araba, le attività della Wjwc si sono intrecciate con le manifestazioni che chiedono più giustizia e l’allontanamento del presidente Ali Abdullah Saleh, bollato come un dittatore. Ma l’impegno di Tawakul Karman si differenzia dalle manifestazioni antigovernative per due motivi: il primo è che lei è un’avvocata della non violenza. Nel suo ufficio sono esposti ritratti di Gandhi, Martin Luther King e Nelson Mandela. “Noi rifiutiamo la violenza – ha dichiarato – e sappiamo bene quanti problemi la violenza ha causato al nostro Paese”.

Nobel a Tawakul Karman | ilcantico.fratejacopa.net

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Il secondo motivo è che l’attività di Karman è diretto anzitutto alla promozione della donna, in un Paese come lo Yemen, dove è radicato il maschilismo tribale e islamico. Pur essendovi parlamentari donne, nel Paese non vi è una legge che fissi l’età minima delle ragazze per sposarsi, per cui vi sono matrimoni anche a 7- 8 anni. Il 67% delle donne sono analfabete e nella povertà, sono loro a soffrire più di malnutrizione, perché le famiglie privilegiano i maschi nella distribuzione del cibo. La sua ong sfida il costume tradizionale, frenando i matrimoni delle bambine, aprendo corsi di alfabetizzazione per ragazze e spingendole a reclamare i loro diritti in famiglia.

Dal 2004, Tawakul Karman ha deciso di non indossare più il velo islamico (il burqa) e chiede alle altre donne di sbarazzarsene. In un’intervista allo Yemen Post dello scorso anno, spiega: “Ho scoperto che indossare il velo non è utile per una donna che vuole lavorare come attivista e in pubblico. La gente ha bisogno di vederti, di incontrarti, di mettersi in relazione con te. Indossare il velo non è un precetto della mia religione [l’islam]; è una pratica tradizionale e così ho deciso di togliermelo”. Per i suoi gesti coraggiosi, Tawakul Karman riceve spesso minacce di morte. La sua forza, ella dice, viene da suo padre, Abdul-Salam Karman, un politico che è stato anche ministro degli affari legali del parlamento, come pure da suo marito e dai suoi tre figli.

Nel marzo 2010 le è stato assegnato il premio internazionale “Donna del coraggio”. “Le donne – ha detto – devono smettere di sentirsi un problema e divenire parte della soluzione. Siamo state emarginate per lungo tempo e questo è il momento per le donne di levarsi e divenire attive senza bisogno di chiedere permessi o accettazioni. Questa è l’unico modo per dare qualcosa alla nostra società e permettere allo Yemen di raggiungere le grandi potenzialità che esso ha”.

(AsiaNews 07/10/2011).