La partecipazione alla vita trinitaria
Dio è amore, ma poiché è proprio dell’amore uscire da sé e comunicarsi al di fuori di sé, il Padre cerca qualcuno che corrisponda al suo amore e lo trova in modo sommo nel Figlio, come osserva Scoto. Ma oltre ad essere sommamente amato dal Figlio, Egli vuole allargare all’intera umanità la comunione d’amore traboccante tra le Persone della Trinità.
Come ci ricorda la Costituzione “Dei Verbum” “piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura.
Con questa Rivelazione infatti il Dio invisibile, nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé” (DV 2).
La Regola non bollata (Rnb) di S. Francesco nella parte finale riporta la preghiera in cui Gesù, prima della Passione, esprime il senso dell’incarnazione nel desiderio di allargare la comunione trinitaria a coloro che gli sono stati affidati. Gesù chiede al Padre di custodirli affinché siano anch’essi una cosa sola ed abbiano la pienezza della sua gioia in se stessi. Inoltre il desiderio di comunione di Dio si allarga ad altri che avranno ascoltato la parola dei discepoli e che crederanno in Lui tramite la loro parola e che, a loro volta, saranno perfetti nell’unità (cfr. FF 62).
La preghiera di Gesù si conclude con parole di speranza rivolte al Padre: “Ed io renderò noto a loro il tuo Nome, affinché l’amore col quale tu hai amato me sia in loro ed io in loro”.
Nella Rnb a queste parole fanno eco quelle di ringraziamento di S. Francesco rivolte al Padre per la sua santa volontà (cfr FF 63), per il vero e santo suo amore col quale ci ha amato (cfr FF 64).

Credere a Cristo
Ma noi non conosciamo il vero e santo amore; non ne comprendiamo “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” (Ef 3,18). Esso “implica qualcosa di più di una serie di azioni benefiche” (FT 94) ed è ben diverso dalla filantropia che è rivolta genericamente e astrattamente all’umanità intera.
“L’amore di Cristo supera ogni conoscenza” (Ef 3,19).
L’unico luogo in cui si è manifestato, come luce nelle tenebre, è il Verbo che si è incarnato per mostrarcelo con parole e gesti tra i quali spicca la croce voluta per redimerci.
Contemplando il “Legno della vita” comprendiamo che l’amore di Cristo si è manifestato in un mondo che non è amabile, ma è avvolto dalle tenebre alle quali apparteniamo anche noi.
“Se dare la vita per gli amici è la massima prova di amore, Gesù ha offerto la sua per tutti, anche per coloro che erano nemici, per trasformarne il cuore.
Ecco perché gli evangelisti hanno situato nell’ora della Croce il momento culminante dello sguardo di fede, perché in quell’ora risplende l’altezza e l’ampiezza dell’amore divino” (LF 16).
I primi ad essere trasformati sono stati gli apostoli che, nonostante il loro tradimento, si sono sentiti amati nel perdono e non maledetti. Allo stesso modo tutti noi possiamo cogliere nel “Legno della vita” non il peso di chi è rimasto schiacciato dal male, ma l’occasione per capire che Dio vuole bene perfino ai suoi crocifissori e che non li vuole punire, ma redimere con il suo amore.
Il mondo, che è avvolto dalle tenebre, gli è nemico e ribelle. Ma ognuno di noi può diventare amabile se si specchia in Gesù e, sentendosi amato, desidera rinnovarsi diventando una nuova creatura che vive l’evento pasquale di Cristo nel passaggio dalla morte del suo passato ad un rinnovamento carico di futuro.
Il Crocifisso concretizza il comandamento di amare i nemici mostrandoci e insegnandoci che la strada per rinnovare il mondo è quella di rivolgersi al peccatore non per accusarlo, ma per perdonarlo incoraggiandolo attraverso l’amore non meritato.

Credere in Cristo
Il mondo affronta le avversità con la logica vendicativa che ad afflizioni fa seguire nuove afflizioni, dando origine a circoli viziosi senza fine. Si finisce per desiderare di infliggere lo stesso male (se non uno peggiore) di cui si è stati vittime.
L’enciclica “Lumen Fidei” apre un nuovo spazio all’esperienza umana attraverso il rapporto personale con Gesù. L’enciclica osserva che, nel Vangelo di Giovanni, vi sono vari usi del verbo “credere”: “Crediamo a Gesù quando accettiamo la sua Parola, la sua testimonianza, perché è veritiero. Crediamo in Gesù quando lo accogliamo personalmente nella nostra vita e ci affidiamo a Lui aderendo a Lui nell’amore e seguendolo lungo la strada” (LF 18).
Ed è per aderire a Cristo con esperienze concrete che S. Francesco puntualizza: “Veramente ama il suo nemico colui che non si duole dell’ingiuria che gli è fatta, ma brucia del peccato dell’anima di lui per amore di Dio e gli mostra amore con i fatti” (FF 158).
Nell’obbedienza al Padre come figli nel Figlio si è uniti a Cristo, si guarda il mondo con i suoi occhi e con i suoi sentimenti. Si avvia così un circolo virtuoso che è partecipazione, nell’afflizione, alla logica di Dio assunta da Cristo che, nella Pasqua di risurrezione, ha realizzato l’unica vittoria possibile sul male del mondo.

Graziella Baldo

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata