Una fede operosa
Dice papa Francesco: “L’esistenza del cristiano è vita di fede, operosa nella carità e traboccante di speranza, nell’attesa del ritorno del Signore nella sua gloria” (Msg per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, 2).
Fede, speranza e carità sono strettamente congiunte e inscindibili tra loro. Ciò significa che la fede senza la carità delle opere non è vera fede e che la fede operosa è motivata dalla speranza del ritorno del Signore e non trova in se stessa una giustificazione e un senso.
L’operare della fede, però, non ha niente a che fare con l’attivismo del fare per il fare, proprio di chi ripone la fiducia nelle proprie azioni come se da esse dipendesse la salvezza del mondo.
L’operare della fede per S. Francesco è un “perseverante cooperare mutuo dello spirito dell’uomo e dello Spirito del Signore, che S. Francesco presenta come la beatitudine dell’uomo” (C. Bigi, Il lavoro e l’operare negli Scritti di Francesco d’Assisi, Porziuncola, p.50).
Coloro che cooperano con lo Spirito del Signore “sono figli del Padre celeste di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo. Siamo sposi, quando nello Spirito Santo l’anima fedele si unisce al Signore nostro Gesù Cristo. Siamo suoi fratelli quando facciamo la volontà del Padre che è nei cieli. Siamo madri, quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza, e lo partoriamo attraverso il santo operare che deve risplendere agli altri come esempio” (FF 178/2).
Solo in questa comunione con Cristo il nostro operare può diventare “santo operare”. Solo se lo Spirito del Signore trova spazio nello spirito dell’uomo, questi diviene la sua “abitazione e dimora” e può operare nella carità che è Dio.
Il Verbo eterno incarnandosi si è umiliato scendendo nella nostra fragile umanità. Sul suo esempio anche noi dobbiamo umiliarci scendendo a nostra volta verso il povero, sapendo che in questa discesa partecipiamo alla gloria di Cristo.
Colui che è la fonte di ogni speranza, ci ha fatto diventare luoghi di speranza.
Colui che ha scelto la povertà, l’obbedienza al Padre, il sacrificio per discendere nelle fibre più deboli, più fragili, più dolorose della nostra umanità, ci ha reso partecipi oltre che della sua morte, anche della sua risurrezione.

“Nulla è impossibile a Dio”
Nel Msg per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato del 2024, papa Francesco dice che la salvezza cristiana entra nello spessore del dolore del mondo che non coglie solo gli umani, ma l’intero universo, la stessa natura…” (n. 2). Il cristiano sa che “tutto tende alla gloria di Dio, alla consumazione finale nella sua pace… Nel tempo che passa, però, dobbiamo condividere dolore e sofferenza: la creazione intera geme… Il gemere manifesta inquietudine e sofferenza insieme ad anelito e desiderio” (ibidem).
Ma è proprio nell’oscurità dolente in cui l’uomo si trova, che si accende la stella di Betlemme, fonte perenne di speranza.
A Natale Dio si incarna. E ogni anno a Natale si rinnova la speranza fondata sulle parole dell’angelo a Maria: “Nulla è impossibile a Dio”. L’Onnipotente che scende nella storia incarnandosi, ci infonde la speranza del rinnovarsi della vita e della luce nonostante il buio che ci circonda.
Le parole dell’Angelo – “nulla è impossibile a Dio” – fondano la speranza del Natale, ma anche la speranza del morire sulla croce.

Lucia Baldo

Il Cantico
ISSN 1974 -2339
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