Intervento di Riccardo Moro alla Scuola di Pace *
1. DAL 2000 AL 2025, UNA EVOLUZIONE INCERTA
25 anni fa, con il Grande Giubileo dell’Anno 2000, papa Giovanni Paolo II aveva proposto tre grandi impegni: la cancellazione del debito dei paesi del Sud del mondo, una generale amnistia e la liberalizzazione del movimento dei migranti. Se questo terzo impegno venne sostanzialmente ignorato e il secondo ricevette appena qualche attenzione, il primo, quello del debito – che da diversi anni veniva proposto dalla società civile internazionale sino a quel momento quasi inascoltata – divenne centrale nel dibattito internazionale durante il passaggio di Millennio e portò ad un radicale rinnovamento delle relazioni politiche e finanziarie internazionali.
I paesi del Sud del mondo erano, e purtroppo sono ancora, caratterizzati da forte vulnerabilità e profonde fasce di povertà. In questi contesti il pagamento di debiti molto onerosi sottrae risorse preziose dall’investimento in salute, scuola e infrastrutture. Ma questo tipo di spese è essenziale per cambiare le condizioni di una comunità: occorre proteggere la vita (la salute), dare strumenti formativi alle persone (scuola) e strumenti tecnici perché le attività possano essere svolte più agevolmente (infrastrutture). Il permanere di un debito molto pesante diventa quindi una sorta di condanna alla povertà.
Fino alle soglie del 2000 il debito eccessivo veniva considerato un fenomeno di responsabilità dei debitori, che non avevano saputo gestire bene i denari presi a prestito. Per questo i paesi creditori del Nord imponevano ai debitori programmi economici e sociali come condizioni per nuovi prestiti e per riscadenzare i debiti pregressi, i cosiddetti programmi di aggiustamento strutturale, liberalizzazioni selvagge che di fatto impoverirono le società di quei paesi anziché migliorarle.
Con la Campagna Giubilare sviluppata nel 2000 fu possibile dimostrare che la responsabilità del debito non era solo dei debitori, ma spesso era dovuta al cambiamento delle condizioni internazionali (tassi di interesse e valori di cambio) dovuti alle scelte dei creditori che i debitori subivano, nonché a diverse altre imposizioni dei creditori (come i menzionati programmi di aggiustamento strutturale) o a programmi sbagliati spesso decisi insieme tra finanziatori e finanziati.
I risultati della Campagna furono di due tipi. In primo luogo si realizzarono molte cancellazioni del debito: anche i creditori riconobbero che questo era ingiusto, insostenibile, e di ostacolo per lo sviluppo. Questo avvenne con la Iniziativa HIPC (Heavily Indebted Poor Countries Initiative) per i paesi a basso reddito e attraverso conversioni del debito con i paesi a medio reddito, operazioni in cui il debitore versava su un fondo le somme dovute e questo veniva utilizzato per finanziare programmi di sviluppo all’interno del paese. Quindi si definirono nuove regole per il ‘prestito sostenibile’, col fine di prevenire crisi future. Oltre a questi risultati, i programmi di aggiustamento strutturale vennero abrogati e le Nazioni Unite, proprio nel 2000, lanciarono gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (ODM), un articolato programma che per la prima volta vedeva tutto il mondo impegnato per ‘dimezzare la povertà’ entro il quindicennio successivo. Si avviò insomma un quadro nuovo, attento alle esigenze dei Paesi più vulnerabili, e si sperò in un futuro migliore.
Oggi sono passati 25 anni. Nel 2015, al termine del quindicennio degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, le Nazioni Unite hanno lanciato l’Agenda 2030 e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG Sustainable Development Goals), un programma ancora più ambizioso, che unisce la lotta alla povertà con la protezione dell’ambiente, promuovendo una idea di sostenibilità che coinvolge allo stesso tempo la dimensione sociale, economica e ambientale e propone 17 obiettivi su cui devono confrontarsi tutti i paesi, anche quelli più ricchi, e non solo quelli più vulnerabili come era avvenuto di fatto per gli ODM. In passato l’agenda della lotta alla povertà e quella della tutela dell’ambiente si sviluppavano in modo parallelo ma distinto, oggi finalmente queste si completano negli obiettivi di sostenibilità e nell’Agenda 2030.
Se questa prospettiva è particolarmente apprezzabile, purtroppo alcuni percorsi degenerativi si stanno pericolosamente sviluppando. Da un lato assistiamo al crescere dei nazionalismi e populismi, che si propongono come del tutto alternativi all’idea di solidarietà che le Nazioni Unite promuovono. Anzi, propongono una idea di solidarietà degenerata e falsa, come lo slogan America First: prima noi, solidali fra noi, e del tutto ostili a voi, a chi non fa parte del ‘noi’. Questo contrappore ‘voi’ e ‘noi’ alimenta una cultura di violenza che è purtroppo degenerata con impressionante facilità in guerra negli ultimissimi anni e mesi, con una intensità sconosciuta nei decenni precedenti.
Le guerre in Ucraina e a Gaza, le azioni militari in Libano, si aggiungono alle tante ‘guerre dimenticate’ e alla violenza quotidiana di molti paesi che vivono situazioni di democrazia limitata o esplicita dittatura, in cui le libertà fondamentali sono negate e il governo esercita il suo potere con violenza. Tutto ciò alimenta dolore, rancore e nuova violenza, come recentemente è avvenuto in Siria, e aumenta l’insicurezza generale. È un processo che compromette, anziché promuovere, migliorare e proteggere le relazioni internazionali e che crea la condizione fragile e pericolosa che ha portato papa Francesco a parlare di Terza guerra mondiale a pezzi.
Un altro percorso degenerativo, che incide sulle relazioni fra i paesi, è quello del debito estero.
Nonostante il successo delle iniziative legate al Giubileo del 2000, il debito è diventato di nuovo insostenibile sta nuovamente riducendo il cosiddetto ‘spazio fiscale’ dei governi, soprattutto di quelli dei paesi più vulnerabili, cioè la possibilità di investire nei servizi e nelle spese necessarie per la popolazione, come si spiegava all’inizio di questo intervento. Proprio per questo nuovo aggravarsi del debito, il papa ha proposto in occasione del Giubileo 2025 un nuovo impegno alla comunità internazionale, unendo al tema del debito finanziario quello del debito ecologico, una relazione non meno rilevante tra le diverse che uniscono i paesi più ricchi e quelli più vulnerabili, quelli ad alto reddito e quelli a basso e medio reddito procapite, quelli del cosiddetto Nord e quelli del cosiddetto Sud Globale.
2. IL NUOVO INDEBITAMENTO
Perché ci troviamo oggi di nuovo di fronte ad una crisi del debito? Che cosa ha generato di nuovo una situazione insostenibile?
Le cancellazioni avviate nel 2000 avevano sensibilmente migliorato le condizioni economiche dei paesi che ne beneficiarono e li misero nelle condizioni di accedere a nuovi prestiti, da erogare secondo le regole del ‘prestito sostenibile’ che erano state prefigurate a livello internazionale.Negli anni successivi questo avvenne anche con l’ingresso di gruppi finanziari privati nel ruolo di prestatori, che entrarono quindi a far parte del gruppo creditori, ora non più limitato a soggetti pubblici.
Di fatto però diversi attori non rispettarono i principi del prestito responsabile, offrendo denaro facile fuori dalle regole. Un ruolo particolare fu giocato dalla Cina, che voleva assicurarsi l’accesso alle risorse minerarie dei paesi del Sud necessarie per fornire il proprio apparato industriale che stava diventando di fatto la grande manifattura del mondo. Ma non ci fu solo la Cina: tra quelli che vennero chiamati i free riders (cavalieri solitari, che non seguono i comportamenti comuni) ci furono anche alcuni fra gli operatori privati che, ora che i paesi del Sud avevano migliorato la loro situazione economica, offrirono denaro senza preoccuparsi delle capacità di ripagare in futuro da parte di chi si indebitava. Non mancarono poi i comportamenti spregiudicati dei cosiddetti vulture fund, i fondi avvoltoio, che comprano sul mercato secondario titoli di credito a prezzi stracciati e poi intentano cause ai governi debitori per farsi pagare i titoli al prezzo di facciata.
L’aumento dei debiti legato a questi fenomeni non fu sufficiente però a generare una situazione di insostenibilità. Questa è stata alimentata anche da altri fattori e in particolare dalla crisi finanziaria del 2008 e da quella del COVID iniziata nel 2020.
In entrambi i casi l’attività economica si contrasse in tutto il mondo e conseguentemente la raccolta fiscale, proprio quando aumentava la necessità di spesa per i governi, che li portò a contrarre nuovi debiti.
Nel 2008 la crisi finanziaria generò una grave crisi economica. La paura generata dalle notizie dei crolli in borsa e di giganti come Lehman Brothers indusse le famiglie in tutto il mondo a rinviare gli acquisti di beni durevoli non immediatamente necessari (si contrassero gli acquisti di auto, di grandi elettrodomestici, di case… non perché si stessero riducendo i redditi, ma per paura, perché non si capiva che cosa stesse succedendo…). Ciò produsse perdite nelle aziende produttrici di questi beni, che furono costrette a licenziare i loro dipendenti e ridurre gli acquisti di semilavorati e materie prime, trasmettendo così la crisi agli altri settori, che a loro volta licenziarono e ridussero gli acquisti, alimentando una spirale negativa un cui la domanda di beni continuava a ridursi contraendo sempre di più l’economia.
Quando l’economia si contrae, quando il PIL diminuisce, si riduce conseguentemente anche la raccolta fiscale: le imposte sono proporzionate al volume dell’economia. Ma questo succede in un momento in cui contemporaneamente aumenta il fabbisogno dei governi per finanziare gli interventi necessari a contrastare la crisi. Nel caso del 2008 e degli anni seguenti, i governi aumentarono la spesa per gli strumenti di sostegno a chi perdeva il lavoro (in Italia la cassa integrazione o i sussidi di disoccupazione) e per sostenere l’economia (i tanti sussidi e incentivi, ad esempio nel settore dell’auto). I governi furono quindi costretti a indebitarsi per sostenere le spese che la riduzione della raccolta fiscale non poteva coprire.
Nel caso del COVID questa dinamica fu ancora più intensa. I lockdown del 2020 e del 2021 fermarono l’economia in tutto il mondo. La spesa sanitaria straordinaria aumentò immediatamente mentre le entrate fiscali si fermavano. I governi rimasero stretti nella morsa dell’aumento delle spese sanitarie e più in generale di quelle sociali, di quelle per il sostegno al reddito e per contrastare la crisi. In Italia ad esempio abbiamo avuto le spese per vaccini, per creare nuovi posti letto, per strutturare la risposta emergenziale di una sanità pubblica già violata da mille riforme che l’avevano indebolita a favore della sanità privata.
E dal punto di vista sociale abbiamo avuto i ‘ristori’, ancora una volta la cassa integrazione straordinaria, e il superbonus per l’edilizia, pensato per offrire opportunità ai lavoratori del settore, dove lavorano persone meno qualificate, che normalmente non hanno risparmi e che non riuscivano ad accedere ai meccanismi di solidarietà dello stato, magari perché stranieri ‘non regolari’, e poi gestito in modo poco attento e rigoroso.
Anche i paesi del Sud globali, con meno risorse a disposizione si trovarono a dover intervenire, e per farlo aumentarono il loro indebitamento. E l’iniziativa del G20 di sospendere il pagamento degli interessi sui debiti pregressi per due anni non portò a migliorare la situazione.
La fine della crisi del COVID, inoltre, produsse inflazione: la ripresa della domanda si concentrò subito dopo le riaperture, e questo, a fronte della lentezza delle produzioni che stavano gradualmente riprendendo, produsse aumento dei prezzi.
Le banche centrali risposero all’inflazione alzando i tassi di interesse (alzare il costo del denaro raffredda la domanda e può così ridurre la pressione sui prezzi). Ma questo generò maggiori oneri per i paesi che si erano indebitati, che videro aumentare la spesa per interessi.
La somma di tutte queste componenti ha generato oggi di nuovo un indebitamento grave, globale, che pesa gravemente sulle economie del Sud del mondo e richiede interventi urgenti e ‘di sistema’ per risolvere la situazione attuale e prevenire future crisi in futuro.
3. IL DEBITO ECOLOGICO E IL DEBITO ODIOSO
Al debito finanziario è opportuno contrapporre il cosiddetto debito ecologico.
Per decine di anni i paesi del Nord del mondo hanno sottratto risorse ambientali (minerali, produzione agricola intensiva impoverendo i suoli, etc.) dai territori del Sud Globale. Oltre a questo, i processi produttivi industriali e di consumo dei paesi ricchi hanno prodotto un impatto ambientale molto pesante che ha conseguenze su tutti i popoli del mondo e si riscontra nell’inquinamento globale, con la contaminazione di suoli e acqua, nel cambiamento climatico e nei fenomeni di desertificazione, che non sono confinabili nei territori nazionali, ma incidono su tutto il pianeta.
Il valore di quanto sottratto e il costo delle conseguenze generate dai comportamenti dei paesi storicamente più industrializzati origina anche un ‘debito ecologico’ di questi paesi verso quelli del Sud globale. I creditori in questo caso sono i paesi che quando si considera il debito finanziario figurano tra i debitori. La responsabilità del debito ecologico e la sua dimensione, entrambe molto pesanti, oggi non sono riconosciute in modo formale. Un intervento sul debito finanziario, sui ‘doveri’ di chi è debitore, dovrebbe prendere in considerazione anche questa relazione. Papa Francesco insiste molto, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della pace del 2025, su questa duplice dimensione, che dovrebbe indurre a una maggiore disponibilità a trovare accordi e nuove regole, soprattutto da parte dei creditori finanziari, che sono allo stesso tempo debitori dal punto di vista ecologico.
A questa relazione si potrebbe aggiungere anche la considerazione di quanto sottratto dal Nord del mondo durante la tratta degli schiavi: qual è il valore di una vita umana? Se calcolassimo il valore attuale delle persone che sono state deportate come schiavi dal Sud del mondo al Nord, otterremmo una cifra letteralmente impagabile per il mondo ricco, che oggi gode di privilegi anche grazie a questo scandaloso esercizio di potere le cui eredità gettano tuttora ombre sulla famiglia umana.
Come si può facilmente intuire, prendere in considerazione questi debiti del Nord verso il Sud, produce un quadro molto diverso da quello che appare solo dai numeri delle relazioni finanziarie.
4. CAMBIARE LA ROTTA. UNA CAMPAGNA PER IL GIUBILEO 2025
In occasione Giubileo 2025, con l’apertura della Porta Santa, la rete mondiale di Caritas Internationalis, insieme a molti partners, cattolici e no, ha lanciato la campagna Turn Debt into Hope, “Trasformiamo il debito in speranza”. Questa campagna si sta sviluppando in ogni nazione, anche in Italia, con il nome di Cambiare la rotta, un monito che ritorna con frequenza negli interventi di papa Francesco. Vi partecipano tutte le principali componenti della comunità ecclesiale, con l’alleanza di numerose organizzazioni della società civile, in uno spirito ecumenico e di condivisione. Nell’ambito della Campagna si stanno organizzando numerose iniziative di sensibilizzazione e formazione sul territorio e un momento speciale si svolgerà intorno al 24 maggio in occasione del 10° anniversario della pubblicazione della enciclica Laudato Si’.
La Campagna promuove alcune richieste, delineate in dialogo con la rete internazionale, per affrontare la attuale situazione di indebitamento e prevenire crisi future. In particolare richiede:
1. L’immediata cancellazione e ristrutturazione dei debiti ingiusti e insostenibili, senza imporre condizioni economiche dannose che ricadono sui più poveri.
2. Una riforma finanziaria a lungo termine che dia priorità alle persone e al pianeta, creando sistemi equi, sostenibili e liberi da pratiche di prestito predatorie.
3. La creazione di un quadro globale del debito basato sulla solidarietà e sull’armonia tra i popoli.
Per realizzare questi obiettivi la Campagna chiede di creare un meccanismo indipendente, presso le Nazioni Unite (UN Framework Convention), partecipato da tutti i creditori e i debitori, pubblici e privati che intervenga per:
• esaminare l’indebitamento e promuovere cancellazioni e alleggerimento del debito
• ridefinire i criteri di analisi della sostenibilità delle condizioni di indebitamento con la partecipazione della società civile e di attori indipendenti
• creare regole condivise per la erogazione di nuovi prestiti futuri.
• definire clausole che permettano cancellazioni e riduzioni automatiche del debito finanziario di un paese in caso di crisi ambientale, economica e sociale.
Un appuntamento importante si svolgerà a fine giugno con la Conferenza internazionale delle Nazioni Unite sul finanziamento dello Sviluppo a Siviglia, in Spagna. I governi di tutto il mondo concorderanno un documento finale che dovrebbe orientare l’architettura finanziaria internazionale nei prossimi anni. Le Campagne di tutto il mondo stanno facendo pressione sui governi perché i risultati della Conferenza permettano di gestire l’attuale crisi e prevenire nuove situazioni che pesano sui paesi più vulnerabili.
5. UNA PROSPETTIVA DI PACE
Situazioni come l’aggravarsi del debito estero provocano difficoltà e tensioni nelle comunità. L’emorragia finanziaria riduce le già scarse risorse, riducendo la possibilità di intervenire per la tutela dei diritti. In un mondo di profonde disuguaglianze e di tensioni sempre più violente questo aumenta i rischi di degenerazioni e conflitti, indebolendo il tessuto sociale e minando la coesione della comunità internazionale. Per questo un impegno sul debito e per la costruzione di una nuova architettura finanziaria internazionale oggi è un impegno che va nella direzione della costruzione della pace. La pace non è assenza di guerra, ma è fatta di relazioni positive che promuovono la vita, alimentate quotidianamente, e di regole che orientano quelle relazioni nella direzione del riconoscimento della dignità di ognuno, a cominciare dal più vulnerabile. Per trasformare questi auspici in realtà, e costruire la pace, è necessario l’impegno dei decisori, ma anche quello corale di tutti i cittadini.
* Docente della Politica dello sviluppo presso
l’Università degli Studi di Milano,
esperto internazionale delle questioni dello sviluppo
Il Cantico
ISSN 1974-2339