Stiamo assistendo, in maniera crescente, a un rinnovato protagonismo dei cattolici in politica, e ciò sta avvenendo in tanti modi: convegni, incontri (si pensi solo agli ex popolari riuniti a Milano il 18 gennaio scorso e ai liberal democratici che fanno riferimento all’associazione Libertà Eguale convenuti ad Orvieto, due componenti distinte interne al PD), dibattiti, quotidiani interventi sulla stampa di esponenti politici e rappresentanti della società civile, legati alla tradizione del cattolicesimo democratico, i quali riflettono e si confrontano sul da farsi, in uno scenario che appare sempre più difficile, sia sul piano interno, sia su quello internazionale.
Alla base di tale protagonismo, vi è un’esigenza condivisa che è quella della costruzione di uno «spazio politico», il centro, di cui oggi si sente tanto parlare e la cui ricerca anima la discussione.
Ovvero di uno spazio politico in cui prevalgano competenza, responsabilità, senso delle istituzioni, nel segno di uno stile politico diverso rispetto a quello a cui assistiamo in modo diffuso e prevalente, nell’attuale scenario politico. C’è bisogno di uno stile caratterizzato dal confronto e non dallo scontro, dalla mediazione e non dal conflitto esasperato, da una politica non urlata ma ragionata. Si tratta, infatti, di confrontarsi mediante il dialogo, nella comune ricerca del bene comune, valore senz’altro fondamentale e distintivo dello stesso cattolicesimo democratico.
Ma un tale protagonismo non dovrebbe essere ridotto o appiattito sull’esigenza di un mero riposizionamento all’interno di un determinato partito, il PD, cosa che ha pure la sua importanza nel più ampio panorama politico nazionale. Dovrebbe essere interpretato soprattutto come esigenza di una politica nuova, di una politica autenticamente intesa, capace di affrontare i grandi problemi che si hanno davanti, interni e internazionali, alla luce di un pensiero pensante, di un nuovo umanesimo trascendente: dall’aumento delle disuguaglianze alle crescenti povertà educative, dalla precarizzazione del lavoro (il numero degli occupati aumenta, ma diminuiscono i salari) alla crisi del servizio sanitario (quanti italiani rinunciano a curarsi?), dalle difficoltà di portare avanti il progetto politico europeo entro un ordine, meglio dire un disordine, mondiale sempre più minaccioso, da processi innovativi e produttivi dominati da grandi corporazioni tecniche, scientifiche, economiche, finanziarie che agiscono sul piano globale e determinano oramai le politiche degli Stati, molti dei quali si intestardiscono nell’attenersi ad una dimensione meramente nazionalista, fatta eccezione per le grandi potenze mondiali come gli Stati Uniti e la Cina.
Non solo. Diventa sempre più concreto il rischio che le suddette oligarchie corporative si sostituiscano agli Stati sovrani dettandone le politiche anche in settori decisivi, quali lo Stato sociale, il welfare, la sanità, sgretolando ulteriormente i fondamenti e le prassi democratiche della convivenza civile. I padroni delle «macchine intelligenti» diventano i sovrani del mondo. In questo quadro anche le convenzioni e gli accordi internazionali che riconoscono i diritti della persona e dei popoli rischiano di divenire mere affermazioni di principio senza alcuna concreta efficacia giuridica capace di garantirne il rispetto. L’Europa che sinora non è riuscita a darsi una strategia politica unitaria sembra, nello scacchiere internazionale, destinata ad un inesorabile declino.
Volendo individuare, nel nostro mondo italiano, il momento, se non di apertura, di accelerazione di questa fase nuova, che si spera non si riduca ad un fuoco di paglia, ma che continui, si consolidi nel tempo, e si allarghi sempre di più all’associazionismo e alla società civile, nelle sue diverse articolazioni, sicuramente si può indicare come punto di riferimento ispiratore e, per certi versi, propulsivo, la stessa Settimana sociale dei cattolici in Italia, celebrata a Trieste dal 3 al 7 luglio 2024, dedicata al tema della democrazia, con una particolare attenzione alla partecipazione tra passato e futuro.
Ci fermiamo qui a pensare al discorso del Presidente Sergio Mattarella, proprio a Trieste, che, all’interno di una visione pienamente in linea con la migliore tradizione del cattolicesimo democratico, ha focalizzato la propria attenzione sul tema della partecipazione. E questo perché l’impegno del cittadino, in democrazia, correttamente inteso, non si esaurisce con l’esercizio del voto, con il rispetto delle regole del gioco, aspetti sicuramente fondamentali e imprescindibili, bensì richiede la pratica della democrazia, da parte dei cittadini stessi. Infatti, è tale pratica, ossia l’esercizio dei diritti, non solo di quello elettorale, ma anche di quelli correlati ad altre forme della partecipazione, a renderla viva e operante, in altri termini a renderla una democrazia ad alta intensità.
In tal senso, in suo recente intervento sulla stampa, bene ha fatto Ernesto Maria Ruffini, di cui abbiamo sentito parlare frequentemente, in questo periodo, come possibile federatore dell’area di centro, a richiamare un discorso di Alcide De Gasperi, risalente a quando si doveva scegliere fra democrazia e repubblica, il quale rammenta l’importanza della partecipazione. De Gasperi, rivolgendosi ai cittadini, li avvisava: la scelta per la democrazia implica un’assunzione di responsabilità, da parte loro, di cui devono essere consapevoli. Infatti, pur essendo, tutti, in democrazia, formalmente cittadini, di fatto senza tale esplicita assunzione ci si comporterebbe da sudditi. L’assunzione di responsabilità nella vita politica comporta il non chiudersi nel proprio particolare, contribuendo alle decisioni pubbliche.
Non a caso, nel periodo di formazione della Repubblica, si propose anche il voto obbligatorio (Del Noce), in quanto espressione di un legame fra il cittadino e la Repubblica: un legame tale da esprimersi anche nel dovere di non sottrarsi alla partecipazione elettorale. Perché, al fondo, in democrazia, la partecipazione è proprio questo, ovvero quell’insieme di attività, compreso l’esercizio del diritto elettorale, che i cittadini mettono in pratica per influenzare e orientare le decisioni pubbliche nella giusta direzione.
Naturalmente, se partecipare, ossia prendersi cura della cosa pubblica, in democrazia, è un dovere del cittadino, non si dovrebbe considerare questo dovere soltanto dal punto di vista dello stesso cittadino, perché, al dovere del cittadino di prendersi cura della cosa pubblica, corrisponde il dovere del potere politico, in quanto potere politico democratico, di costruire le condizioni più adatte, ovvero gli strumenti più idonei a favorire la partecipazione dei cittadini.
Non a caso, grandi teorici della democrazia hanno considerato consustanziale alla democrazia il proporzionalismo, perché esso consente l’espressione e la rappresentanza della pluralità delle opinioni e delle posizioni fondamentali esistenti nella società. In altri termini, promuove la partecipazione dei cittadini, la favorisce, consente ai cittadini stessi di sentirsi parte della cosa pubblica di più e meglio di altri sistemi elettorali.
Purtroppo, non si è andati e non si sta andando in questa direzione. La legge elettorale vigente taglia la partecipazione, perché la sostanziale assenza di competizione fra i candidati, a causa delle liste bloccate, diminuisce e svilisce la partecipazione, la rende pressoché inutile. Gli stessi candidati si impegnano meno, partecipano meno perché generalmente sanno da subito se saranno eletti o meno.
Al contempo, si sta affermando una sorta di premierato di fatto, al di là che passi o meno la riforma che ne porta il nome, cosa da non auspicare perché darebbe un’ulteriore spinta leaderistica a tutta la politica, quindi in contrasto con l’esigenza di rafforzare e incrementare la partecipazione, la stessa democrazia. Basti pensare, oltre alla legge elettorale con le liste bloccate, al sistematico ricorso alla decretazione d’urgenza e al voto di fiducia.
Lo stesso taglio dei Parlamentari va considerato una misura demagogica che non ha migliorato la funzionalità e la centralità del Parlamento nell’attuale sistema costituzionale.
Alla luce di questo scenario, in cui occorre riflettere sul ruolo da esercitare, da parte degli stessi cattolici, non pochi dei quali sembrano essere divenuti analfabeti di democrazia, non è stato forse inutile riproporre, in una seconda edizione, il volume Chiesa e democrazia (Società Cooperativa Sociale Frate Iacopa, Roma 2025), con una nuova Premessa e una nuova Conclusione, centrata sul da farsi, su alcune linee guida. Al riguardo, non è inutile porsi alcune domande di fondo. È possibile una presenza unitaria, non monolitica, certo, ma comunque tenuta insieme da istanze e valori fondamentali? È possibile o meno, oggi, una nuova soggettività politica centrata su questi valori?
Lo si nega, generalmente. Si ritiene che il tempo dell’unità politica dei cattolici sia definitivamente alle spalle. Ma è anche vero che un tempo si sarebbe ritenuto irrealistico pensare alla fine della Democrazia cristiana, cosa che poi è avvenuta. E, certo, la diaspora, che tanti hanno salutato come una grande conquista, non ha portato grandi risultati, non escluso il rischio dell’irrilevanza dei cattolici sulla scena pubblica. E non solo per i cattolici, ma per il Paese, perché questo è coinciso con il declino dell’Italia, che è avvenuto negli ultimi trent’anni, ed è sotto gli occhi di tutti.
Occorre andare, nei vari partiti in cui si milita, al di là del mutismo e dell’infeudamento. Si è chiamati a ricercare, con costanza, il dialogo senza perdere le proprie identità culturali, trovando punti superiori di sintesi. La storia sorprende sempre, non poniamo limiti al futuro. Nel frattempo, occorre fare rete, organizzarsi, quindi non muoversi all’interno di una dimensione individualistica, e ciò in direzione di una nuova progettualità. Più sarà solida tale progettualità, alla luce dell’Insegnamento sociale della Chiesa, e più facilmente troverà le forme non soltanto sociali, anche partitiche, più adatte e congeniali alla propria realizzazione.

+ Mario Toso, Vescovo di Faenza-Modigliana

Incontro al Alfonsine 23-1-2025.