McLuhan ha scritto che il medium è il “messaggio”, ma ha anche scritto che è il “massaggio”, poiché i media esercitano su chi li frequenta un’azione di cambiamento, di trasformazione di noi stessi, del nostro modo di vivere e di pensare. In questo senso costituiscono l’ambiente che ci forgia e ci plasma. Non siamo noi a disporre di essi, ma sono essi che dispongono di noi. Ovviamente questo non significa che il cristiano debba rinunciare a stare in quello che è il “nuovo contesto” culturale o che ci debba stare in un modo qualunque, tanto per occupare spazi che consentano di trovare risposte all’esigenza sempre più diffusa di riempire un vuoto identitario e di sfuggire all’ansia derivante dall’“anonimato sociale che si vive nelle grandi città” (Laudato si’ 148).
La modalità più propria dei cristiani di essere presenti nella Rete è costituita dalla testimonianza. Il testimone è colui che non si nasconde dietro costruzioni identitarie fasulle, come quelle che attraversano quotidianamente la Rete e gli spazi dei Social network. Non è nemmeno colui che si butta in una navigazione priva di discernimento e di difese ponendosi in balia delle onde che finiranno inesorabilmente per travolgerlo. È piuttosto simile (per usare un’immagine di McLuhan) a un surfista che sfrutta la forza della natura, ma cerca di dominarla, di non lasciarsi trasportare da essa.
Egli non sta a guardare da riva e al sicuro, le onde di una potenza apparentemente incontrollabile, ma le affronta come uno che ha imparato a solcarle utilizzandone la forza e l’energia. Per imparare a navigare e a orientarsi nella Rete il testimone ha dovuto fidarsi di qualcuno che ha esercitato su di lui un’autorevolezza che lo ha coinvolto in tutta la sua persona, mente e cuore.
Si è fidato dei testimoni che hanno saputo incarnare nella loro vita il Vangelo, si sono fatti mediatori tra la Parola del Signore annunciata e vissuta e il nostro tempo con le sue complesse problematiche.
Si è fidato dei santi che hanno realizzato una comunione piena con il Signore, anche a costo di pagare di persona.
Si è fidato di quegli evangelizzatori per i quali la comunicazione sociale non è stata solo un travaso intellettuale o un semplice espediente tecnologico, ma è divenuta un’esperienza di vita.
Si è fidato dei testimoni, ovvero dei martiri. Oggi ce ne sono tanti, troppi, sparsi nel mondo intero! A sua volta il cristiano dovrà farsi “martire”, che significa appunto “testimone”, anche nella Rete. Un’altra immagine (assunta come manifesto della Giornata delle Comunicazioni Sociali 2009) chiarificatrice del ruolo del “testimone nella Rete” è data dall’arrampicatore che sale a mani e piedi liberi su una parete verticale senza avere una rete di sicurezza, ma solo con appigli su cui dovrà attaccarsi con abilità e coraggio per arrivare in cima.
Il che non significa che debba inseguire parossisticamente tutti gli ultimi ritrovati della tecnica. “L’umanità si è modificata profondamente e l’accumularsi di continue novità consacra una fugacità che ci trascina in superficie in un’unica direzione. Diventa difficile fermarci per recuperare la profondità della vita… Non rassegniamoci a questo e non rinunciamo a farci domande su fini e sul senso di ogni cosa” (Laudato si’ 113). Il testimone avrà questa spinta a non arretrare, ma a procedere con coraggio sapendo affrontare i rischi e accettando la sfida di risvegliare l’umano proprio negli spazi della Rete dove esso sembra più fragile e volatile.
A questa volatilità promossa dalla Rete, il testimone opporrà una ricerca di stabilità, di decisione, di capacità di andare contro corrente, evitando, come in genere accade, di cercare di mimetizzarsi, di omologarsi per nascondere la propria identità fino al punto di perderla e di non riuscire più a ricuperarla.
A differenza dei mass media, ancora governati da una logica comunicativa unidirezionale dell’uno verso tutti, nei social media e nei personal media prevale la dimensione dell’“interattività” per cui ciascuno di noi da semplice fruitore diviene produttore. In questo modo si può coinvolgere l’altro risvegliando in lui domande assopite che aspettano di riemergere dall’abisso del silenzio e del non senso.
Oggi la domanda religiosa è molto diffusa, richiede solo di essere risvegliata da testimoni credibili del Vangelo i quali prendano spunto da Gesù che si lascia sommuovere dall’interlocutore, come sua Madre alle nozze di Cana, quando il tempo dei miracoli sembrava ancora lontano e, invece, ella lo spinge a manifestarsi prima del tempo stabilito.
Il testimone digitale dovrà, come Gesù, lasciarsi interpellare, avendo fiducia nella possibilità del risveglio dell’umano nell’altro e, insieme a lui, anche in se stesso.
L’immagine che il card. Ratzinger, nel 2002 in occasione del Convegno “Parabole mediatiche”, espresse per chiarire questo dinamismo che deve pervadere il testimone digitale, è quella dell’incisore di sicomori. In quella circostanza, richiamandosi al Padre greco Basilio, Ratzinger disse: “Basilio scrive: il sicomoro produce frutti molto abbondanti, i quali però non hanno alcun sapore se non vengono incisi accuratamente, cosicché il loro succo fuoriesca ed essi diventino gradevoli al gusto”. Egli precisava poi che gli “incisori di sicomori”, fuor di metafora, sono coloro che con esperienza, competenza e pazienza sanno leggere i segni dei tempi e dall’interno della cultura in cui sono inseriti operano dei “tagli”, delle “incisioni” benefiche che la rivitalizzano e la purificano alla luce della parola evangelica e in spirito di servizio all’uomo e alla Chiesa.
Questi collaboratori del Vangelo devono essere aperti a ciò che di grande, di vero e di puro è presente nella cultura attuale, ma devono anche saper decidere quando è il momento di “opporsi a tutto ciò che nella cultura sbarra le porte al Vangelo, che la Chiesa intende offrire per il bene del Paese in cui essa stessa vive e spera, lotta e testimonia”. I testimoni nella Rete devono, cioè, saper andare controvento e decidersi per Cristo.
Lucia Baldo