Chi sono gli afflitti? Quali afflizioni colpiscono oggi l’uomo? Quali le più dolorose? E dunque quali le più urgenti da consolare? Si piange per ciò che non si ha ancora o non si ha più, ovvero per ciò che si è perduto o che non si ha speranza di ottenere.
Di fatto ogni uomo è afflitto, nella condizione post peccatum. È dunque la nostalgia dell’originario bene perduto che affligge ogni uomo e perciò ogni autentica consolazione non può prescindere dal tentativo di restituire la certa speranza di una felicità ritrovabile. «A me sembra che si debbano ricondurre gli uomini alla speranza di trovare la verità» (Ep. 1,1), diceva sant’Agostino.
Forse mai come in questo tempo di dittatura del relativismo l’uomo – che è sempre e comunque “mendicante di significato e compimento” – è manchevole di senso e di prospettiva, e perciò afflitto. L’uso massiccio di farmaci ansiolitici – in tutto il mondo – ce ne fornisce un segnale attendibile e allarmante. La mancanza di beni, materiali e spirituali; la malattia e la sofferenza; il disorientamento e l’abbandono causano il nostro pianto.
Chi dunque lo può consolare? E che caratteristiche deve avere la consolazione per essere efficace? Gesù, prima di salire al Padre, ha promesso agli uomini il Consolatore perfetto, come è chiamato nella sequenza del Veni Sancte Spiritus: Consolátor óptime,/dulcis hospes ánimæ,/dulce refrigérium./In labóre réquies,/in æstu tempéries,/in fletu solácium.
Paraclito è il termine con cui san Giovanni nel suo vangelo indica lo Spirito Santo. Tratto dal linguaggio giuridico, l’equivalente latino è ad-vocatus, letteralmente “chiamato vicino”, l’avvocato inteso come difensore e per estensione consolatore. Nei testi giuridici indica, in un processo, “colui che sta al lato dell’accusato” per difenderlo.
Anche a noi è dato di partecipare all’azione divina, quando ci mettiamo al fianco del prossimo, facendoci con le parole e gli atti concreti refrigerio per chi è arso nella passione ingovernabile, nel rimorso, nell’amor proprio ferito. Quando siamo rifugio per chi non sa dove appoggiare il dolore, o alleviamo la fatica del vivere quotidiano o quella straordinaria. Aiutare a ritrovare la calma nella tempesta delle emozioni, e consentire l’uso della ragione, tante volte pone i problemi in altra luce e, se non li risolve, almeno corrobora la forza d’animo.
Ma è forse nel pianto condiviso che si ritrova la radice stessa della con-solatio: “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto.”(Rm 12,15). Nei Vangeli ci viene descritto Gesù in lacrime tre volte: davanti alla tomba di Lazzaro, alla vista di Gerusalemme e nella preghiera che precede la Passione. Si tratta sempre di situazioni che gli ricordano la rovina dell’uomo causata dal peccato. Nella prima resuscita, nella seconda mette in guardia, nella terza sta per offrire se stesso come Redentore.
E poi c’è un episodio che contrasta con il moderno efficientismo, anche di certe prospettive caritatevoli: “Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.” (Mc. 6,34) Moltiplicherà anche pane e pesci, subito dopo, ma non inizia dall’assistenzialismo, va al principio: da profeta annuncia il vero, da Re si mette al servizio dell’uomo, da Sacerdote santifica. E fa di noi un popolo di sacerdoti, di re e di profeti.
Un ultimo piccolo spunto: l’unica Misericordia, quella del Padre, suggerisce agli uomini le opere di misericordia perché fare il bene cura e guarisce non solo chi lo riceve ma anche chi lo fa.
Chiara Mantovani
Medico odontoiatra, bioeticista
Consigliere nazionale S&V