spaziocomunicativojpg«… La fiducia nella capacità dell’uomo di riconoscere e comprendere la verità può portare noi cattolici a pensare che sia sufficiente dire cose vere, e che questo basterà a persuadere le persone e orientarne la prassi. Ma oggi occorre parlare da testimoni: cioè avendo ascoltato la Parola e il mondo. Il nostro messaggio è spesso osteggiato da una serie di chiusure ideologiche e pregiudizi sulla Chiesa, precomprensioni viziate da stereotipi e semplificazioni; ma anche, da parte nostra, depotenziato dalla fretta, dalla distrazione e dalla mancanza di vero ascolto dei bisogni, delle inquietudini, dei desideri di chi ci sta davanti…
Oggi i nostri interlocutori sono spesso distratti, colpiti da miriadi di messaggi, abituati ad aprire e chiudere finestre di lavoro dove ricevono informazioni diversificate, talora contrastanti, poste tutte sullo stesso piano, pur se di diverso valore. Di tali caratteristiche dovremo renderci consapevoli, per poter realizzare un’autentica sintonia con coloro che sono raggiunti dal nostro messaggio.
Indispensabile a una comunicazione efficace da parte della Chiesa è, oggi più che mai, la riuscita di quest’opera di sintonizzazione, cioè la capacità che dobbiamo sempre più acquisire di parlare in un modo comprensibile e immediato, che sappia usare tutti i linguaggi, tecnici ma anche poetici; che sappia parlare anche ai cuori e non sia indirizzato solo alle intelligenze; che sappia portare una voce diversa in un dibattito spesso monocorde e appiattito su nuove ortodossie.
Per questi motivi, fare i conti oggi con il mondo della comunicazione richiede un coraggioso investimento di professionalità specifiche, che comunque non sono sufficienti, senza una passione autentica per l’umano. Molte esperienze comunicative riuscite rivelano l’intraprendenza di molti nel contribuire a un più fruttuoso rapporto tra scienza e vita, e mostrano la possibilità che concezioni radicate e stili di vita consolidati siano lentamente cambiati grazie alla capacità di ‘abitare’ il nuovo spazio comunicativo, adottandone la logica e ancor prima la grammatica relazionale.
Si può intravedere un simile cambiamento proprio nella vicenda accaduta all’ospedale san Filippo [la distruzione di embrioni crioconservati]. Un editoriale, appena qualche giorno dopo l’evento, è sembrato di colpo avanzare rispetto a dove il dibattito bioetico sembrava essersi arrestato per decenni. Ha scritto su Repubblica Michela Marzano: “Per una coppia che desidera avere un figlio, un embrione in attesa di essere trasferito nel ventre materno, rappresenta già, almeno da un punto di vista simbolico, il bambino tanto atteso. Anche se si tratta ancora solo di un embrione, è carico di aspettative e porta con sé tanti sogni. Certo, non si trova ancora nel corpo di una donna. Forse non sarà mai impiantato. La vita è iniziata da poco. Ma per chi ha fatto di tutto perché sia lì, per un uomo o una donna che sono già sottoposti a molti trattamenti farmacologici, è tutt’altro che un banale ‘materiale biologico’. È l’inizio della speranza. E la speranza non è facile da risarcire” (M. Marzano, La speranza spezzata, in La Repubblica, 1 aprile 2012).
Il cambiamento di prospettiva che emerge in questo brano è simile a quello che ha riguardato l’aborto: come negli anni sessanta erano le donne a essere considerate le vittime a fronte di una gravidanza indesiderata, oggi la sollecitudine per il non nato comincia ad essere almeno pari a quella per la madre sofferente. In tal modo la questione non è più definita dallo sterile dibattito tra due opposti diritti, ma si trasferisce su un terreno più esistenziale: la realtà della sofferenza.
La comunicazione – a questo punto dovrebbe essere più chiaro – è sempre un mix di razionalità e di emotività, di logos e di pathos e non bisogna farsi bloccare da false alternative. Infatti nessun sapere autenticamente umano è mai asettico, neutrale, anaffettivo. E, quando lo diventa, l’essere umano risulta capace di autentiche atrocità. Per questo scriveva ancora Guardini: “Non dobbiamo irrigidirci contro il nuovo, tentando di conservare un bel mondo destinato a sparire. E neppure cercare di costruire in disparte, mediante una fantasiosa forza creatrice, un mondo nuovo che si vorrebbe porre al riparo dai danni dell’evoluzione. A noi è imposto il compito di dare una forma a questa evoluzione, e possiamo assolvere tale compito soltanto aderendovi onestamente; ma rimanendo tuttavia sensibili, con cuore incorruttibile, a tutto ciò che di distruttivo e di non umano è in esso” (R. Guardini, Lettere dal lago di Como, la tecnica e l’uomo, Brescia, 1993, p. 95). Lo ha compreso in modo icastico Benedetto XVI quando ricorda a tutta la Chiesa e agli uomini di buona volontà: ”Non c’è l’intelligenza e poi l’amore: ci sono l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore”(CV 30).»
Domenico Pompili
Sottosegretario Conferenza Episcopale Italiana, Direttore Ufficio Comunicazioni Sociali CEI
(dal Convegno:“Comunicare scienza, comunicare vita”, Roma, 4-5 maggio 2012, Ass.“Scienza e Vita”)