Il 2025 è un anno speciale, perché è l’anno del Giubileo ordinario indetto da papa Francesco con la Bolla intitolata “La Speranza non delude”. Dopo venticinque anni dall’ultimo Giubileo ordinario indetto da S. Giovanni Paolo II, questo Giubileo si propone all’attenzione dei fedeli nella ‘speranza’ di poter suscitare in ciascuno di essi un nuovo slancio nel cammino della fede e di aiutarli a interpretare da testimoni di Cristo “i segni dei tempi” secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, 4).
Di speranza hanno bisogno gli uomini e le donne del nostro tempo sopraffatti dalla cultura dell’effimero vana e labile, “liquida”, direbbe Zygmunt Bauman, perché li rende incapaci di sostare per vivere i tempi forti dell’attesa, della riflessione che danno spazio al silenzio e non permettono di farsi trasportare dalla fretta o vincere dalla fatica e dalle difficoltà.
Invece noi siamo calati nell’effimero quando cerchiamo l’ultimo modello di cellulare che la tecnologia ci offre, quando pensiamo che quello che viene dopo sia sempre e comunque migliore di quello che è venuto prima.
Viviamo angustiati e ansiosi con i volti bui e senza speranza, perché il futuro appare minaccioso e deludente, monotono e scandito da tempi sempre uguali che non lasciano spazio alla scoperta del nuovo nella nostra vita.
Ma “la speranza non delude”. È questo il titolo che papa Francesco ha scelto per caratterizzare il Giubileo 2025.
Per entrare meglio nel clima dell’anno giubilare, ci chiediamo: “Che cosa significa la parola ‘Giubileo’?” Gli eruditi non concordano sull’origine di questa parola. Per alcuni essa deriva dalla parola ebraica Jobel (‘ariete’) e, poiché con le corna dell’ariete si facevano gli strumenti a fiato, l’anno giubilare presso gli israeliti era annunziato dal suono del corno, suono di ‘giubilo’. Per altri deriverebbe da ‘Jobil’ (‘richiamo’).
E infatti il suono del corno richiamava gli israeliti al pensiero del Signore, riconducendoli sulla via dell’obbedienza alle leggi divine. Per altri ancora deriverebbe da ‘Jobal’ (‘remissione’). Infatti l’anno giubilare doveva rimettere gli israeliti nelle condizioni di cinquant’anni prima. Perciò i tre termini (Jobel, Jobil, Jobal) si fondono in un unico significato di allegrezza, di giubilo annunziato dal suono del corno d’ariete, per il richiamo di tutta la gente, in vista di un generale condono e della remissione dei debiti contratti durante il cinquantennio.
Dice il Levitico: “Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti” (Lv 25,10). Ogni tribù, ogni famiglia aveva avuto in concessione dal Signore la propria terra che non poteva essere totalmente alienata.
Chi, stretto dal bisogno, vendeva, aveva sempre il diritto del riscatto.
Il Nuovo Testamento approfondisce in senso spirituale ciò che nell’Antico aveva avuto peso materiale e valore civile. Con il cristianesimo rimettere i debiti vuol dire perdonare i peccati, come nel Padre Nostro: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (cf P. Bargellini, L’Anno santo, Marietti, pp. 7-10).
Papa Francesco nella Bolla di Indizione del Giubileo 2025 ‘spera’ che il Giubileo sia “momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, ‘Porta’ di salvezza”
La speranza è una virtù teologale, insieme alla fede e alla carità. Essa ha la peculiarità di imprimere l’orientamento, di indicare la direzione e la finalità dell’esistenza credente, come dice papa Francesco.
Questa ricerca di senso caratterizza tutta la vita di S. Francesco fin dai primordi della sua conversione. Anzi potremmo dire che già quando era immerso nella vita mondana ed era affascinato dal modello di vita del cavaliere, era animato da una vivace apertura verso il futuro, verso grandi ideali poiché si sentiva predestinato a compiere imprese gloriose. Poi il Signore gli parla e lo chiama a una vita diversa, lontana dalla mondanità e strettamente fedele al Vangelo, portatrice di una perfetta letizia, mai provata prima. È così che egli, dopo essere stato turbato da diversi moti dell’animo, alla fine, nella pubblica piazza di Assisi di fronte al vescovo Guido e al padre Pietro di Bernardone, dichiara di voler cambiare vita, e dice rivolgendosi al suo padre terreno: “Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con sicurezza: Padre nostro, che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza” (FF 1043).
Nel Calendario abbiamo passato in rassegna i diversi aspetti del cammino di speranza che hanno segnato la vita di S. Francesco: il coraggio, la comunione con gli afflitti e i poveri, il senso dell’attesa, la vera e perfetta letizia… Sono tutte situazioni di vita che esprimono la speranza che nasce dalla fiducia che il Signore “non abbandonerà tutti quelli che sperano in lui (Sl 95,13)” (FF 287; Ufficio della Passione del Signore), ma sarà sempre presente nella vita dei suoi discepoli e li accompagnerà nel Regno della vita eterna dove la gioia sarà piena e senza fine.
La speranza di S. Francesco non è la pretesa mondana di accumulare beni o titoli onorifici, ma è piuttosto da collegarsi ad un vissuto che Tommaso da Celano chiama “sterilità”. “Sterile davvero, perché non miete, non ammassa nei granai, non porta sulla strada del Signore una bisaccia ricolma. E tuttavia, contro ogni speranza, questo santo credette nella speranza che sarebbe diventato erede del mondo… Questa Religione infatti non si sostiene con cantine ricolme, dispense abbondantemente fornite, amplissimi poderi, ma dalla stessa povertà per la quale si rende degna del cielo, viene meravigliosamente alimentata nel mondo. O debolezza di Dio, più forte dell’umana fortezza, che porta gloria alla nostra croce e somministra abbondanza alla povertà!” (FF 823).
Di questa sterilità che apre al Signore il cuore purificato dall’ascolto della sua Parola, hanno bisogno gli uomini e le donne del nostro tempo i cui volti tristi rivelano l’assenza della vera speranza, quella che viene dal Signore.
Invochiamo Maria, “Madre della speranza” perché possa sorreggerci e proteggerci in questo anno di grazia. E affidiamoci a lei, invocandola con le parole di S. Francesco: “… tu in cui fu ed è/ogni pienezza di grazia e ogni bene”.
In cammino per sperare la pace, a tutti Buon Anno!

A cura di Lucia Baldo

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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