“La santa carità confonde tutte le tentazioni diaboliche e carnali
e tutti i timori della carne” FF 258 

Amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente
La carità è l’“anima di tutte le virtù”, poiché mortifica i vizi, fa avanzare nella grazia e fa raggiungere la perfezione per cui “né si può dir nulla di meglio né si può pensar cosa più utile della carità” (S. Bonaventura, Della vita perfetta, in “I mistici” Ed. Francescane, VII,1, p. 459).
Dice S. Paolo: “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità… non sono nulla” (1Cor 13,2). S. Bonaventura citando S. Agostino afferma: “Se la virtù deve condurre alla vita beata, affermo e dico che la virtù è un nome vano, tranne l’amore sommo a Dio” (S. Bonaventura, ibidem).
Ma come faccio ad amare in modo sommo Dio?
Quando S. Bonaventura parla dell’“amore sommo a Dio”, intende non “una carità qualunque, ma quella sola per la quale s’ama Iddio sopra ogni cosa ed il prossimo per amor di Dio” (ibidem).
E per realizzare la vera carità il pensatore francescano indica una via presa dal Vangelo: “Amerai il Signore Iddio con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua e con tutta la tua mente” (Mt 22,37; Mc 12,30; Lc 10,27).
Amare Dio “con tutto il cuore” per S. Giovanni Crisostomo, “significa che il cuore tuo non sia rivolto ad amare qualcuno più di Dio; che nulla ti diletti più di Dio, non le bellezze mondane, non gli onori e neppure i tuoi cari… Onde S. Agostino conclude; “Signore, ti ama poco chi con te ama qualche altra cosa”. Se dunque ami qualche cosa, e per questo amore non fai progressi nell’amore di Dio, già non ami più Dio con tutto il cuore. E se vuoi bene a qualche cosa, e per amore di questa cosa trascuri i tuoi doveri e la causa di Cristo, già non ami più Dio con tutto il cuore” (S. Bonaventura, ibidem, VII, 2, p. 460).
Ma il Signore Gesù bisogna anche amarlo “con tutta l’anima”.
S. Agostino insegna come amarlo con tutta l’anima: “Amare Dio con tutta l’anima vuol dire amarlo con tutta la volontà senza contraddizione” (ibidem, VII, 3, pp. 460-461). S. Bonaventura interpreta queste parole di S. Agostino dicendo che “amare Dio con tutta l’anima” significa fare volentieri “non ciò che tu vuoi, non ciò che consiglia il mondo, non ciò che suggeriscono i sensi, ma ciò che tu sai che Dio vuole” (ibidem), anche se questo dovesse esporti alla morte. In definitiva amare il Signore “con tutta l’anima” vuol dire conformare la propria volontà a quella divina
(cf ibidem).
E che cosa significa amare Dio con tutta la mente?
Risponde S. Agostino: “Amare Dio con tutta la mente vuol dire amarlo con tutta la memoria senza dimenticarlo mai” (ibidem).
Se seguiremo questa via evangelica, potremo distruggere tutti i vizi: “Come in faccia al fuoco si squaglia la cera, così dinanzi alla carità spariscono i vizi” (ibidem, p. 459).

Il debito dell’amore
Nel Prologo della seconda redazione della “Lettera ai fedeli” di S. Francesco, leggiamo: “Poiché sono servo di tutti, sono tenuto a servire tutti e ad amministrare le fragranti parole del mio Signore” (FF 180).
Ma perché il Santo vuole essere servo di tutti? Non è forse questa una pretesa eccessiva e ingiustificata?
Per rispondere a questa domanda leggiamo le parole di S. Paolo: “Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole”. E poi l’Apostolo aggiunge: “Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento si riassume in queste parole: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Rm 13,9).
“Sono servo di tutti”: in queste parole di S. Francesco riconosciamo la proposta di un amore che si traduce in un debito inestinguibile verso l’Altro presente in ogni altro (cf C. Bigi, Il linguaggio dell’amore, Ed. Francescane, p. 32 s.).
Più avvertiamo questa insolvenza, più cresce in noi l’amore; meno l’avvertiamo più si spegne in noi l’amore.
Se l’amore è infinito, anche la nostra sete di dare amore non può cessare mai. Non ci sarà mai nessun gesto, nessuna azione, conquista, traguardo, donazione che possa colmare l’infinito.
Non avviene come nel debito materiale, che è estinguibile, in cui è in debito chi riceve e non chi dà; invece nel debito inestinguibile dell’amore è in debito colui che dà amore.
L’amore è l’infinito, la presenza dell’eterno nell’uomo, che si rivela e prende sempre più spazio nella misura in cui ci si apre a lui. Chi si chiude all’amore diventa sempre più egoista, si crede autosufficiente e non avverte di avere alcun debito verso nessuno.

Vincere le “tentazioni diaboliche e carnali”
Per vivere il debito dell’amore, bisogna vincere le “tentazioni diaboliche e carnali” (FF 256).
S. Francesco dice: “La carne raccoglie lode dalle virtù e plauso, da parte della gente, dalle veglie e dalle preghiere. Niente lascia all’anima e anche dalle lacrime cerca profitto” (FF 718).
Per questo, sull’esempio del Santo di Assisi dobbiamo combattere due lotte contro le “tentazioni diaboliche e carnali”: una con noi stessi e una col mondo esterno.
Una delle tentazioni più frequenti, nella nostra vita, è data dalla ricerca di gratificazioni in noi stessi.
Quando raggiungiamo un traguardo, confrontandoci con gli altri ci sentiamo privilegiati per aver fatto una conquista che ci pone in un gradino superiore e ci fa credere di avere estinto il debito verso noi stessi.
Invece colui che vuole avere sempre il debito dell’amore in se stesso, non deve confrontarsi con nessuno, nemmeno con se stesso. Non deve compiacersi dei passi fatti, ma deve essere sempre in cammino, sull’esempio di S. Francesco che non considerava niente ciò che aveva fatto fino a quel momento. Egli, prossimo alla morte, diceva ai frati: “Incominciamo, fratelli, a servire il Signore Dio nostro, perché finora poco abbiamo progredito” (FF 1237).
Egli non faceva mai farisaicamente il bilancio di se stesso, come noi facciamo spesso, in conformità a una mentalità scientifica che verifica, confronta, misura.
La vita non è nelle nostre mani, nelle nostre misure. Essa è un destino d’amore che Dio ha progettato e che noi siamo chiamati a realizzare. Quindi non bisogna mai né lodarsi né autodenigrarsi di continuo, poiché c’è sempre un impegno futuro che è l’impegno del nostro debito.
Negli Scritti di S. Francesco più volte troviamo il timore della vanagloria, dell’autogratificazione, dell’autoesaltazione, che impediscono di abbandonarsi al mistero dell’amore infinito di Dio che indica un cammino da seguire.
L’altra lotta, collegata a quella con noi stessi, è la lotta con il mondo, l’ambiente in cui viviamo, dal quale certamente chi pratica la vera carità non riceve necessariamente una ricompensa, anzi!
L’amore inteso come debito infinito, va al di là delle possibilità di comprensione, di gratificazione che può dare il mondo. Chi vuole vivere la vera carità e sentirsi sempre in debito dell’amore, non può prendere la misura dell’efficacia di questo cammino dalla ricompensa che può dare il mondo, perché il finito non potrà mai compensare l’infinito. La ricompensa si può avere piuttosto nelle persecuzioni, nel disprezzo, perché si rinnova sempre lo scandalo di Cristo, di colui che vuole vivere il debito dell’amore infinito.
La risposta del mondo non ci dà il criterio della validità, della verità, della grandezza del debito dell’amore. Bisogna andare avanti anche se tutto il mondo è contro, anche se l’ambiente in cui viviamo non solo non capisce, ma anche ci denigra.
Dice il Celano: “… Francesco aveva rifiutato ogni gloria che non fosse di Cristo e aveva inflitto un ripudio radicale al plauso umano. Ben sapeva che il prezzo della fama diminuiva quello segreto della coscienza… Ahimè! Per noi invece la vanità è stimolo maggiore della carità e il plauso del mondo prevale sull’amore di Cristo” (FF 723).
Scopo della vita di S. Francesco era far amare l’amore. Questa è l’eredità che egli ci ha lasciato e che deve risplendere negli atti quotidiani della nostra vita.

Lucia Baldo

Il Cantico
ISSN 1973-2339
Pubblicazione riservata