Meditazione sul Messaggio di Papa Francesco
per la giornata di preghiera per la cura del Creato

Don Stefano Culiersi *

1. L’ESPERIENZA RELIGIOSA DI AMOS (Am 5)
Il messaggio per la Giornata del Creato 2023 prende l’avvio da un appello del profeta Amos, che lega la ricerca della giustizia ad un fiume capace di dare vita e sollievo.
Iniziamo la nostra riflessione a partire da questa citazione, per accoglierne il significato e poter corrispondere meglio al proposito del messaggio. «Che scorrano la giustizia e la pace» (Am 5,24).

Amos è un semplice mandriano, che viene investito da uno spirito profetico per il quale da Betlemme di Giudea sale a nord, nel regno di Israele, politicamente e religiosamente diviso dal regno di Giuda, per annunciare una parola esigente da parte del Signore.
Egli quindi, per quanto israelita, è considerato straniero in Israele e scomodo per le parole che annuncia. Si muove in un contesto sociale di benessere, al tempo di Geroboamo II, dove la ricchezza ha aumentato le disparità sociali. Ma la sua critica investe anche la prassi religiosa, che dall’epoca dello scisma si è allontanata da Gerusalemme e dal tempio, ha privilegiato altri santuari storici che Davide e Salomone avevano unificato nella città di Sion, non senza imbastardire però il culto con le pratiche religiose di altre religioni Cananee come si vede nel libro dei Re e nei racconti profetici.

Amos si muove per una ventina d’anni circa, terminando la sua missione profetica trent’anni prima del disastro, ovvero della invasione Assira che spazzerà via il regno di Israele, deportando e disperdendo definitivamente tutte le sue tribù: rimarranno soltanto Giuda e Beniamino nel Regno del Sud.
Amos mette in guardia dalla distruzione imminente, che egli vede preannunciata nell’iniquità dilagante e nella corruzione del culto religioso.

5,1Ascoltate questa parola, questo lamento che io elevo su di voi, o casa d’Israele!
2È caduta, non si alzerà più, la vergine d’Israele; è stesa al suolo, nessuno la fa rialzare.

La caduta consiste in una riduzione della popolazione che immiserisce le città e la regione intera. Questo esito drammatico può essere ancora evitato, se si comincia a cercare il Signore:
«Cercate me e vivrete! 5Non cercate Betel, non andate a Gàlgala, non passate a Bersabea, perché Gàlgala andrà certo in esilio e Betel sarà ridotta al nulla».
6Cercate il Signore e vivrete, altrimenti egli, come un fuoco, brucerà la casa di Giuseppe, la divorerà e nessuno spegnerà Betel!

Perché il profeta prevede questo esito disastroso per Israele? Perché hanno abbandonato la giustizia.
7Essi trasformano il diritto in assenzio e gettano a terra la giustizia.

L’esercizio del diritto è diventato in realtà velenoso, non-vitale. La società si corrompe e si ammala perché è diventata iniqua. La virtù della giustizia è calpestata, ha perso di importanza e di dignità, ultima nella scala dei valori.
Qual è la giustizia di cui parla Amos? Qui e in tutta la Scrittura la giustizia non è una virtù astratta: è sempre la corrispondenza alla legge di Mosè. È giusto colui che segue la legge, che fa del comando del Signore l’orientamento della sua vita, proprio perché viene da lui.
Di tutta la legislazione divina, Amos rimprovera soprattutto il dovere di solidarietà verso i poveri, affidati alla misericordia dei fratelli. Così al lusso dei ricchi non corrisponde alcuna promozione della vita dei miseri:
10Essi odiano chi fa giuste accuse in tribunale e detestano chi testimonia secondo verità.
11Poiché voi schiacciate l’indigente e gli estorcete una parte del grano, voi che avete costruito case in pietra squadrata, non le abiterete; voi che avete innalzato vigne deliziose, non ne berrete il vino.
12So infatti quanto numerosi sono i vostri misfatti, quanto enormi i vostri peccati. Essi sono ostili verso il giusto, prendono compensi illeciti e respingono i poveri nel tribunale
13 Perciò il prudente in questo tempo tacerà, perché sarà un tempo di calamità.

La giustizia trascurata, proprio perché è trasgressione della Legge di Dio, ha un legislatore e giudice che è l’Onnipotente. L’ingiustizia non è una questione astratta e la mancata promozione del povero non è priva di conseguenze, dal momento che Dio è Signore.
8Colui che ha fatto le Pleiadi e Orione, cambia il buio in chiarore del mattino e il giorno nell’oscurità della notte, colui che chiama a raccolta le acque del mare e le riversa sulla terra, Signore è il suo nome.
9Egli fa cadere la rovina sull’uomo potente e fa giungere la devastazione sulle fortezze.

La conseguenza dell’iniquità è la rovina del “patto di stabilità” del mondo, il cui garante è il Signore, per questo la terra “rigetta” l’iniquo. Impressionante è il lamento dei lavoratori della terra, perché il giorno che il Signore passa, fa lui la giustizia che oggi essi non voglio fare. Perché la speranza che essi hanno nel Signore in realtà li deluderà: essi cercano il Signore per avere conferme della loro giustizia e invece saranno costretti a recedere.
16Perciò così dice il Signore, Dio degli eserciti, il Signore: «In tutte le piazze vi sarà lamento, in tutte le strade si dirà: «Ohimè! ohimè!».
Si chiameranno i contadini a fare il lutto e quelli che conoscono la nenia a fare il lamento. 17In tutte le vigne vi sarà lamento, quando io passerò in mezzo a te», dice il Signore.
18Guai a coloro che attendono il giorno del Signore! Che cosa sarà per voi il giorno del Signore? Tenebre e non luce!
19Come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; come quando entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde.
20Non sarà forse tenebra, non luce, il giorno del Signore? Oscurità, senza splendore alcuno?

La delusione religiosa è ancora più cocente perché cade addosso a persone religiose, che avevano messo la loro sicurezza nel culto a Dio, convinti che questo avrebbe garantito una certa condiscendenza da parte del Signore. È una feroce critica alla religiosità e al complesso cultuale di Israele, per la distanza del cuore da Dio e per la moltiplicazione degli altari e di santuari fuori del tempio di Gerusalemme. Dio mostra il suo disgusto per questa religiosità, perché se da un lato illude di seguire le leggi del culto, dall’altro ignora le leggi della solidarietà.
21«Io detesto, respingo le vostre feste solenni e non gradisco le vostre riunioni sacre; 22anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco le vostre offerte, e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo.
23Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo!

Ad Israele Dio rimprovera per bocca di Amos di aver perso la memoria del cammino nel deserto e di avere compromesso la propria religiosità con gli idoli della terra di Canaan.
25Mi avete forse presentato sacrifici e offerte nel deserto per quarant’anni, o Israeliti?
26Voi avete innalzato Siccut come vostro re e Chiion come vostro idolo, e Stella come vostra divinità: tutte cose fatte da voi.
27Ora, io vi manderò in esilio al di là di Damasco», dice il Signore, il cui nome è Dio degli eserciti.

L’esito dunque è quello di non poter più rimanere nella terra dell’Alleanza, nel giardino fiorito, per l’iniquità con cui Israele si è compromesso. Ha mancato nei confronti di Dio, dei fratelli, del paese in cui si trova, ha violato la propria fedeltà al Signore.
Davanti a tutto questo emerge l’appello del Signore ad Israele, quello di tornare a praticare la giustizia, perché abbondante come un fiume risani il paese, il popolo, il culto, il futuro.
24Piuttosto come le acque scorra il diritto e la giustizia come un torrente perenne.

Nessuna falsa sicurezza: senza la pratica della giustizia e senza l’obbedienza al comando di Dio, non c’è più la terra, non c’è futuro, perché la terra si ribella e si purifica dalle sue iniquità. I riferimenti del profeta Amos sono molto suggestivi anche per i nostri giorni. Avere dimenticato la giustizia di Dio e averla resa non un fiume ma un rigagnolo inaridito, ha portato il nostro “giardino” a reagire all’iniquità. Al lamento che Amos registra nelle piazze, nei campi e nelle vigne fa eco il lamento che sentiamo levarsi dai popoli che abitano luoghi desertificati, che patiscono fenomeni climatici estremi, che vedono da vicino gli esiti degli squilibri sociali sotto forma di conflitti e di sfruttamenti, dove la terra patisce l’iniquità e l’uomo finisce per perdere la terra. Se la giustizia chiesta da Dio non scorre, la terra patisce e l’uomo va in esilio, lontano dal suo bene.

2. LA NOSTRA CONDIZIONE ATTUALE. ARITMIE SPIRITUALI
L’esperienza religiosa di Amos ci viene annunciata perché in essa riconosciamo tratti significativi del nostro tempo attuale. Ci troviamo in gravi episodi di inequità che hanno ripercussioni gravissime e generano conflitti pesanti. Noi ne siamo spesso complici, specie per il sostegno, non sempre consapevole, a sistemi produttivi e di consumo che sono imposti a svantaggio dei paesi più poveri.
L’esempio dell’acqua è quello prioritario nel messaggio, incoraggiandoci a vedere una analogia tra la nostra poca pratica di giustizia e la portata sempre più scarsa dei fiumi, fino a minacciare di siccità e desertificazione intere aree geografiche un tempo floride. Noi abbiamo vicinissimo il nostro “grande malato”, il fiume Po.
Se cala la nostra pratica della giustizia, questo ha conseguenze sul pianeta, che manifesta tutta la sua insofferenza alla nostra iniquità con la crescita di fenomeni estremi e l’avanzare di luoghi inospitali che minacciano la vita.

Per mettere a tema la nostra pratica della giustizia il messaggio del papa ha una immagine suggestiva, quella del battito cardiaco:
E così come il battito dei bimbi, fin dal grembo, è in armonia con quello delle madri, così per crescere da esseri umani abbiamo bisogno di cadenzare i ritmi della vita a quelli della creazione che ci dà vita.
In questo Tempo del Creato, soffermiamoci su questi battiti del cuore: il nostro, quello delle nostre madri e delle nostre nonne, il battito del cuore del creato e del cuore di Dio. Oggi essi non sono in armonia, non battono insieme nella giustizia e nella pace. A troppi viene impedito di abbeverarsi a questo fiume possente.
Ascoltiamo pertanto l’appello a stare a fianco delle vittime dell’ingiustizia ambientale e climatica, e a porre fine a questa insensata guerra al creato.

Con l’immagine del battito cardiaco il papa dice molte cose con un tono poetico solo apparentemente superficiale. Il cuore, che conosce moto rilassamento e di contrazione, diastole e sistole, fa fluire il sangue in entrata e in uscita, diventa il simbolo della nostra giustizia che batte allora diffondendo giustizia e attirando pace. È un battito che tutti hanno ma che è possibile vedere guastato per diversi motivi: si tratta infatti di riconoscere che a volte noi la sistole non diffonde giustizia, che la diastole non attira pace, e quindi il nostro organismo è fuori dal ritmo vitale che lo anima. Un altro elemento degno di nota è la via femminile e materna di questa serie di battiti cardiaci: nostro, della madre, della nonna, del creato, di Dio. L’impressione è quella del grembo, nel quale madre e figlio hanno il loro personale battito cardiaco indipendente eppure consono.
Nell’elenco dei battiti del cuore, sembra riconoscere una sorta di matrioska, dove l’ultimo grembo che tutto accoglie è quello di Dio, che dà il ritmo al battito del cuore di tutti e impone il ritmo della vita, con la sua giustizia e la sua pace.
L’uomo accoglie, riconosce il battito di Dio e vi si armonizza offrendo la sua personale partecipazione a quel battito.
Quando il nostro battito non è a ritmo con quello di Dio, noi imponiamo un altro ritmo che è contradditorio e impedisce che fluisca giustizia e pace. L’esito è quello di creare opposizione che ammala noi, gli altri, il creato.

Se non vogliamo che questa difformità al ritmo del Creato, che è ritmo dell’opera divina nel Creato, causi danni di futura invivibilità, occorre che noi ascoltiamo quel battito e uniformiamo il nostro, convertendoci a quel ritmo di giustizia e di pace. Non è un panteismo o un ideologico naturismo quello che dobbiamo assumere, ma una sincera conversione cristiana, dal momento che Dio impone il ritmo di vita nella giustizia e nella pace che sentiamo conservato dalla Creazione nonostante il nostro peccato.

3. «VI DARÒ UN CUORE NUOVO». FARMACI E ATTIVITÀ “CARDIO”
Come possiamo contribuire al fiume potente della giustizia e della pace in questo Tempo del Creato?
Cosa possiamo fare noi, soprattutto come Chiese cristiane, per risanare la nostra casa comune in modo che torni a pullulare di vita? Dobbiamo decidere di trasformare i nostri cuori, i nostri stili di vita e le politiche pubbliche che governano le nostre società. […] Rendiamoci conto che un approccio d’insieme richiede di praticare il rispetto ecologico su quattro vie: verso Dio, verso i nostri simili di oggi e di domani, verso tutta la natura e verso noi stessi.

Accogliendo questi spunti noi abbiamo quattro importanti direzioni nelle quale orientare il nostro impegno di giustizia e di pace, che ora prendiamo in esame brevemente e singolarmente.

Nei confronti di Dio. Citando papa Benedetto XVI, il messaggio ci ricorda che la Creazione e la Redenzione non sono due atti diversi e indifferenti l’uno all’altro nell’azione divina, ma sono due tappe dell’unico evento di salvezza. Creare, dare vita è l’inizio della redenzione: liberare dal nulla e dalla morte, dando esistenza a ciò che Dio ama e che quindi desidera abbracciare e rendere partecipe della sua vita.
Tra le iniziative che rendono giustizia a Dio c’è anzitutto quella della riconoscenza, nel duplice senso del termine: un conoscere rinnovato e reiterato che offra piena consapevolezza dell’opera di Dio, della sua giustizia e pace che sono trasmesse al Creato e all’uomo perché ne goda e li ribatta. Ma anche una gratitudine che sfocia nella lode, nella benedizione, nella adorazione e nel culto al Dio creatore e redentore, perché … “è giusto così”.

Verso i nostri simili, di oggi e di ieri. La giustizia doverosa è quella di riconoscere l’esistenza e il diritto a partecipare alla vita di questo mondo anche degli altri, anche delle prossime generazioni. Quando siamo presi dall’affermare i nostri diritti, dimentichiamo il diritto degli altri e per questo finiamo per considerarli sacrificabili per uno scopo personale, per esempio il non cambiare il tenore del nostro stile di vita.
Una pratica importante alla quale siamo richiamati da più parti, soprattutto dall’enciclica “Fratelli tutti”, è quella della compassione, per soffrire delle sofferenze del fratello e per questo avere in odio l’iniquità che le ha provocate, specie quando noi ne siamo protagonisti o complici. Per citare con papa Francesco il magistero del patriarca Bartolomeo, si tratta di convertirci dai nostri peccati ecologici, che hanno conseguenze sui nostri fratelli, presenti e futuri.

Verso la natura. La natura non è un entità a sé stante, non è una risorsa infinita, non è priva di appartenenza e di destinazione: è creatura, voluta e generata da Dio, secondo la sua volontà, con la sua finalità intrinseca all’opera del suo Creatore. Non è pertanto a disposizione del primo e del più forte, ma è di Dio. A noi viene chiesto allora di accostarci ad essa come amministratori, per servire l’opera di Dio e continuare con lui la Creazione. Questa, come la Redenzione, non sono terminate. Sono opere divine ancora in essere. Noi che ci siamo messi a servizio di Dio possiamo esercitare la sua opera di Creazione/Redenzione, perché continuiamo a vivere nello Spirito di Cristo per il compimento del suo Regno. Noi siamo come in un grande cantiere, nel quale, sotto la guida del sapiente Architetto, contribuiamo a continuare l’opera della sua creazione. Annunciamo il Vangelo ad ogni creatura proponendo una liberazione dal male e dall’iniquità secondo Cristo Signore a tutte le creature che sono sotto la nostra responsabilità.

Verso noi stessi. Come per altre cose della nostra vita spirituale, abbiamo bisogno di un atto di fede con cui crediamo che la nostra vita sia più compiuta e felice quando segue il Signore e obbedisce a lui, piuttosto che quando è concentrata nell’imporre se stessa.
Anche dal punto di vista della conversione ecologica vale il principio che Cristo insegna a tutti i discepoli: chi vuole seguirlo neghi se stesso, quindi non cerchi l’affermazione di sé, dei propri appetiti delle proprie aspirazioni; prenda la sua croce, quindi non tema il giudizio del mondo che non sopporta altra autorità che la propria, tanto meno quella di Dio; mi segua, quindi imiti quello che fa il Maestro, prendendo lui come modello e ispirazione. Il timore che questo itinerario deluda le attese, sia una schiavitù, offra infelicità è una tentazione da vincere, perché solo il Vangelo compie le speranze di ogni uomo e di ogni donna.

4. SINODALITÀ. IL RITMO CONDIVISO DEL CUORE
L’immagine del fiume che può crescere serve al Papa per ricordare una preziosa analogia con i bacini fluviali. Questi si compongono dei ruscelli e dei fiumi di un’intera regione idrica, che convergono insieme diventando un corso d’acqua sempre più grande, imponente, grazie alla collaborazione di tutti i più piccoli rivoli che vi si sono immersi.
Così il cammino sinodale che vede la ricerca di tante collaborazioni su temi diversi, anche fuori dei confini ecclesiali e delle appartenenze più forti, ci invita a non misurare solo la nostra scarsa portata d’acqua, ma a cercare altri affluenti, che condividendo l’aspirazione a questa inversione di rotta, possano portare apporti significativi.
L’idea e che con i contributi i più di versi sia possibile far scorrere la giustizia come un fiume e porre rimedio alle iniquità che rendono sempre più inospitale la nostra terra.

Bologna, 18 settembre 2023
* Liturgia e Storia della Teologia,
Direttore dell’Ufficio Liturgico Diocesi di Bologna

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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