p.Lorenzo Di Giuseppe
Nel tempo della Chiesa ritornano ogni anno le feste che rendono vivo e più vivace il nostro camminare nel tempo. Sono sempre le stesse feste eppure le sentiamo sempre nuove. Anche quest’anno viene a noi il Natale, una festa che ci riempie di commozione e di tanto sentimento. Lungo i secoli si è ricoperta di tante tradizioni a volte vuote, frivole, e tuttavia conserva la sua bellezza e il suo fascino. Difatti sotto la cenere del consumismo, del folklore, dello sfavillio di luci e colori, permane vivo il fuoco del grande evento cristiano della nascita di Gesù, dell’ingresso del Figlio di Dio nella nostra storia. E questo è di sicuro il fatto più straordinario accaduto in tutto il cammino dell’umanità. La nascita di Gesù difatti segna in modo irreversibile e definitivo il legarsi di Dio alle vicende umane: è immessa nel centro del divenire umano, per cui abbiamo un prima di Cristo e un dopo Cristo.
Come accogliere il Natale perché ci trovi attenti e non ci scivoli sopra senza cambiarci e senza lasciarci niente dentro? Papa Francesco nella Lettera sul significato e il valore del Presepe (pubblicata a seguire), ci suggerisce di “metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo”.
Metterci in cammino interiormente: noi tendiamo a rimanere fermi, a volte adagiati nei nostri pensieri, nelle nostre preoccupazioni, prigionieri dell’accidia È difficile imbatterci in qualcosa che ci faccia balzare in piedi e ci metta in cammino. Certo l’umiltà di Dio che si è manifestata nella Incarnazione e nella Nascita di Gesù Cristo, è un evento così straordinario che potrebbe metterci in cammino, che dovrebbe svegliarci. Gesù Cristo ha messo da parte le sue prerogative di Dio e tramite la Vergine Maria è sceso fino a noi, si è fatto un essere umano come noi e si è presentato a noi come un bambino povero, senza pretese, fragile, bisognoso di tutto. Tutto questo è assurdo per noi uomini, ma è sapienza di Dio: in questo modo infatti ha potuto incontrare ogni uomo e nessuno ha sentito il bisogno di difendersi da lui; ma chi lo ha incontrato, lo ha sentito un fratello, un compagno di vita.
S. Francesco fu colpito dalla umiltà di Gesù e, proprio incrociando il suo sguardo nel Crocifisso di S. Damiano pregò: “O alto e glorioso Dio, illumina el core mio. Dame…humiltà profonda” (FF 276) e il Signore lo esaudì donando a lui una umiltà di una profondità misteriosa che coinvolse tutta la sua vita, per cui lo studioso Cargnoni dice: “appare evidente che si tratta del punto focale dello spirito francescano, si entra nel cuore di Francesco, tutto umiltà, che abbraccia ogni realtà in un atteggiamento profetico di umiliazione universale, che si trasforma in sottomissione e carità universale” (Dizionario francescano, 2115)
L’umiltà scelta dalla sapienza di Dio per incontrare ogni uomo è una via anche per tutti noi per andare verso l’altro. La via percorsa da Gesù è anche la nostra via se vogliamo amare e costruire relazioni nella pace. È la via per andare a Dio, per stare davanti a Dio in umiltà, con una consapevolezza profonda del nostro essere creatura, del tutto dipendenti dal suo amore: lui è il Signore, lui è l’Altissimo, senza il suo amore cadremmo nel nulla.
L’umiltà che ha caratterizzato la venuta di Gesù e che lo ha reso fratello di ogni uomo è anche l’unica strada per incontrare i fratelli, per andare agli altri, accogliendoli, non giudicandoli, non volendo che siano come diciamo noi, non sentendoci superiori: presentandoci agli altri come un bambino, indifeso, bisognoso di tutto, incapace di mettersi al di sopra. E allora nascerà la pace nelle nostre relazioni, la pace che gli angeli cantavano sulla mangiatoia dove giaceva Gesù.