lampedusa

Il 3 ottobre è stato dichiarato ” Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione”
ricordando il naufragio di Lampedusa: Una Giornata contro l’indifferenza

Il progetto dell’Associazione “Libertà era restare”

Chi opera nel sociale o semplicemente è persona attenta alle problematiche e ingiustizie che in tanti casi opprimono i più deboli, sa quante siano le Associazioni e le iniziative a favore di questo mondo spesso marginalizzato o addirittura dimenticato. Sì siamo in tanti, tutti desiderosi di farci conoscere e bisognosi di sostegno per costruire e fare crescere i nostri progetti. Ecco che allora rischia di scattare anche in noi il meccanismo del marketing, della promozione, dell’immagine, si sa, in questa società globalizzata e multimediale chi non emerge muore!
Che fare dunque? Come comportarsi per non cadere anche noi nel banale e nel qualunquismo?
Non è facile per me dare una risposta e di conseguenza capire come sia meglio muoversi per presentare i nostri progetti che naturalmente devono essere conosciuti, per poter poi essere condivisi e sostenuti.
Sono arrivato alla conclusione che nell’impegno sociale prima di “dire” bisogna “fare”, se crediamo nella nostra idea, troveremo sicuramente la forza per muoverci e costruire il nostro primo progetto; dimostrando concretezza, costanza ed impegno potremo essere credibili e saremo forse ascoltati con più attenzione.

Libertà era restare
lamp 1Insieme ai primi amici ecco che abbiamo costituito un’Associazione di Promozione Sociale e le abbiamo scelto un nome che le desse significato, l’abbiamo voluta chiamare: “Libertà era restare” e, se è vero che quando ci presentiamo dobbiamo spesso ripeterne un paio di volte il nome o correggere una parola sbagliata, è innegabile che dietro a quelle tre parole, coniugate insieme per la prima volta da Erri de Luca, c’è la perfetta descrizione del dramma delle migrazioni, Erri dice: “…Sono partiti da una tavola di fame, da una guerra, da siccità, da cavallette, questi partiti non hanno avuto libertà perché libertà era restare…”
Ecco dunque chiaro il motivo per cui tante persone affrontano, anche a rischio di perdere la vita, un viaggio drammatico alla ricerca della libertà e la possibilità di continuare a vivere ed essere “speranza” per la famiglia rimasta in una terra circondata dalla guerra o schiacciata dalla carestia!
Comunque non è stato tanto il voler affrontare “noi” i problemi dei migranti che ci ha spinti ad impegnarci, ma piuttosto il constatare l’atteggiamento di una gran parte delle persone, e spesso dei giovani, nei confronti di questo dramma; leggere sui social network o ascoltare le chiacchiere nei bar, cogliere la violenza con cui qualcuno dice di voler risolvere la questione, l’invocare mitragliatrici che sparano sui gommoni carichi di disperazione, la richiesta di respingere con tutti i mezzi chi si crede venga ad invadere i nostri spazi, a rubarci il lavoro, a minacciare il nostro “benessere”, insomma tutte quelle espressioni e richieste che sono solo l’urlare ed il prevaricare dell’egoismo, ecco questo ci ha spinti ad interrogarci e a farci chiedere come sia possibile aver perso tanta dignità, aver scordato che si sta parlando di nostri simili, di persone che solo per puro caso non siamo noi.
Anche molti dei nostri nonni si sono trovati in situazioni analoghe, ma lo abbiamo scordato o semplicemente non ci conviene ripensarci, ecco che si dice: “… sì ma era diverso, loro cercavano il lavoro, questi pretendono, non vogliono fare fatica, cercano la nostra assistenza…” e i luoghi comuni si sprecano!
Basta fermarsi a riflettere un attimo, avere voglia di approfondire un po’ la questione e magari avere la fortuna di conoscere e parlare direttamente con qualcuno di quelli che è fuggito dalla propria terra, abbandonando un luogo che amava, persone cui era legato, persone che in tanti casi gli erano state strappate perché uccise da guerre assurde o semplicemente da antichi odi castali, ecco sarebbe sufficiente fare questo per capire come davvero stanno le cose e ritrovare la dignità di persone in questi piccoli corpi che attraversano il Mediterraneo.
Un istruttore di sub a Lampedusa un giorno, parlando della bellezza del mare mi ha detto, “Non si può rispettare quello che non si conosce!”. Questo concetto, che lui esprimeva per fare capire come sia importante conoscere la fragilità di un ecosistema e la necessità di riservare al mare, ai fondali, alle specie che lo abitano tutte le attenzioni possibili per preservarne la bellezza e l’integrità, si applica altrettanto bene al fenomeno umanitario di cui sto parlando. Solo se conosciamo la storia, la sofferenza, i problemi che portano un ragazzo o una giovane mamma a rischiare la propria vita e spesso anche dei propri giovani figli, allora potremo “rispettare” quei bambini, quelle donne, quegli uomini, avremo, non solo la forza, ma il desiderio e la necessità di aiutarli.
Abbiamo quindi pensato di proporre e fornire l’occasione ad alcune di quelle persone che a casa propria, con gli amici, a scuola o sul lavoro dicono di voler chiudere le porte ai profughi, di “conoscere” chi invece ha sempre soccorso e accolto chi approdava sulle spiagge della loro isola.
Conoscemmo Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa dal 2012, a Monte Sole dove fu invitata per la festa della liberazione nel 2013. Giusi aveva da poco scritto quella lettera aperta dove chiedeva quanto doveva essere grande il cimitero della sua isola per continuare ad accogliere i cadaveri che arrivavano sulle sue coste. Da subito abbiamo capito che fra Monte Sole e Lampedusa c’era un legame, poi arrivò il 3 ottobre del 2013 con la tragedia del grande naufragio proprio in prossimità delle coste di Lampedusa dove morirono 368 persone, molte delle quali rimaste imprigionate nella stiva del barcone dove solitamente si mette il pesce. Ecco un nuovo e potente legame: le date, il naufragio a Lampedusa che andava a sovrapporsi all’eccidio del ’44 consumato fra il 29 settembre ed il 5 ottobre. Abbiamo quindi cominciato ad intessere relazioni con le altre realtà e Associazioni presenti su quello scoglio in mezzo al mare e abbiamo scoperto una realtà fervida e disponibile al confronto, aperta al dialogo, desiderosa di fare conoscere al mondo la propria storia, le difficoltà date dall’isolanità e la bellezza di un luogo meraviglioso dove tu che arrivi per la prima volta vorresti stabilirti per sempre.

Il primo campo di volontariato e formazione a Lampedusa
Nell’Ottobre scorso siamo quindi riusciti a organizzare il nostro primo campo di Volontariato e Formazione, siamo andati un po’ in avanscoperta con un gruppo variegato, c’era qualche giovane insieme ai Soci di “Libertà era restare” e altri amici che, essendosi appassionati al progetto, erano desiderosi di collaborare all’esperienza. Serviva un primo campo che fungesse un po’ come da fondamenta per un progetto che vorremmo potesse continuare negli anni volto a realizzare veri e propri scambi fra giovani del nostro territorio che scendono a Lampedusa e lampedusani che vorremmo ospitare, a cui fare conoscere la nostra realtà e la nostra storia.lamp
Siamo andati per conoscere in particolare i lampedusani, come hanno affrontato e come vivono l’essere un “ponte” fra due continenti, un luogo in cui è inevitabile, come lo è stato nei secoli scorsi, che la gente “passi” percorrendo quello che è il cammino della vita che non dovrebbe essere bloccato da muri o arginato dal filo spinato a lame di rasoio della frontiera esterna. Sull’isola abbiamo incontrato le Istituzioni, in particolare l’Amministrazione Comunale con il suo meraviglioso Sindaco, gli uomini della Guardia Costiera che ci hanno dimostrato con quanta passione operino ogni giorno in mare per salvare chiunque abbia bisogno del loro aiuto indipendentemente da quale sia la loro razza, la religione o il credo politico, questo non si stancavano mai di ripetercelo; abbiamo incontrato il Parroco, grande missionario in questo piccolo paese a contatto con tante etnie diverse che spesso, nei momenti difficili, vengono proprio a trovare riparo davanti alla porta della Chiesa dove non manca mai un’accoglienza concreta, una Chiesa che in alcune occasioni è rimasta aperta anche di notte per consentire un riparo dalla pioggia e dal vento.
Abbiamo conosciuto e stiamo collaborando con i volontari del Progetto Mediterranean Hope delle Chiese Evangeliche che a Lampedusa ha un osservatorio permanente e che insieme alla Comunità di Sant’Egidio sta realizzando il primo Corridoio Umanitario per mille richiedenti asilo a cui il Governo Italiano ha concesso il visto e che arriveranno sul territorio nazionale in aereo grazie al contributo dell’8 per mille alle Chiese Valdesi. Poi la bella collaborazione con Lega Ambiente in attività pratiche che ci hanno permesso di toccare con mano e godere di quelle spiagge e di quel mare; tante altre sono state le persone incontrate, alcune delle quali hanno raccontato la sconvolgente esperienza vissuta proprio in occasione del naufragio del 3 Ottobre.
In definitiva posso affermare, con certezza, che se si ascoltano queste storie di vita vissuta, se si entra un po’ nell’animo di questi giovani africani e siriani, che una sera abbiamo avuto anche occasione di accogliere insieme ai volontari del Forum Lampedusa Solidale, allo sbarco dalle motovedette che li avevano recuperati al largo delle coste libiche, allora non si dirà mai più che bisogna sparare sui barconi o che queste persone non devono essere da noi accolte, anzi forse ci si batterà un po’ anche per cercare di cambiare alcune di quelle regole assurde che stanno trasformando di nuovo i Centri di Accoglienza in prigioni dove sembra che l’obiettivo principale sia quello di distinguere fra rifugiati politici e migranti economici, laddove i primi (e non tutti) possono essere accolti ed i secondi vanno “respinti”, respingimenti spesso frutto di un semplice atto burocratico che “numericamente” ci assolve dagli obblighi imposti della Comunità Europea, ma che in realtà creano “clandestini” da sfruttare nei campi di pomodori o nei casi peggiori da avviare alla prostituzione e alla criminalità.

Per mettere in relazione
n pauraNoi questo facciamo, cerchiamo di mettere in relazione i giovani fra loro per fare conoscere questo mondo che dalla televisione e dai media spesso è presentato in modo deformato e parziale, cerchiamo di inserirci nei meccanismi e nella macchina dell’accoglienza per portare il nostro piccolo contributo affinché l’approdo sulle coste italiane, che nella maggioranza dei casi è ancora solo una tappa del “viaggio”, sia per il migrante l’inizio di una nuova vita in un mondo libero, è importante che scendendo dalla motovedetta qualcuno sia lì ad offrire un bicchiere di the e a dirgli “Welcome”.
Il progetto continua: in occasione del 25 Aprile saranno ospitati a Monte Sole una quindicina di studenti lampedusani accompagnati da alcuni docenti, sarà per loro l’occasione di scoprire cosa è successo sul nostro appennino l’Autunno del ’44, anche loro approfondiranno la conoscenza della lotta di liberazione e delle conseguenze della furia nazi-fascista culminata nell’eccidio. A Giugno ed Ottobre torneremo invece noi a Lampedusa per ripetere l’esperienza dello scorso anno potenziando le collaborazioni con le Associazioni del territorio.

Chiunque voglia saperne di più può farlo seguendoci sulla Pagina Facebook di “Libertà era restare” o visitando il Sito
www.libertaerarestare.org  dove alla voce “donazioni” se vorrà potrà anche sostenere il progetto.

Il Presidente
Francesco Manieri