Quale senso devono assumere la preghiera e il digiuno che abbiamo praticato
su richiesta di Papa Francesco?

«La libertà non è star sopra un albero», cantava Giorgio Gaber negli anni ‘70, poiché in quegli anni si avvertiva la necessità di attivarsi per prendere parte al cambiamento della realtà. Un discorso che col passare degli anni ci è sembrato sempre più faticoso, perché appare meno semplice interpretare gli eventi e attuare quella “partecipazione” auspicata dalla canzone.
Qualche giorno fa, per esempio, un’alunna mi ha chiesto cosa potessimo fare noi contro la guerra e io, che mi sono formato ormai alla fine del millennio scorso diventando adulto agli inizi di questo, non ho saputo cosa rispondere.
La guerra a cui si riferiva è quella intrapresa dalla Russia ai danni dell’Ucraina, che ha lasciato noi europei sgomenti e impotenti. Eppure negli ultimi anni abbiamo assistito a numerosi scenari bellici in paesi a noi anche molto vicini (la Siria su tutti, ma anche Israele o la Libia): non hanno destato la nostra attenzione solo perché pensavamo non avessero ripercussioni sul nostro continente. Stavolta è diverso, lo si nota anche dallo spazio insolitamente ampio occupato nelle testate di informazione. La sensazione, insomma, è che questa guerra ci tocchi da vicino, pur senza coinvolgerci direttamente. Anche le sanzioni delle grandi organizzazioni internazionali ci appaiono lontane, talvolta incomprensibili, e completamente indipendenti dal nostro agire quotidiano (ammesso e non concesso che siano un utile strumento e non l’ennesimo modo per far pagare ai popoli già vessati le decisioni dei governi). Insomma, ci ricordano Gilberto Borghi e Sergio Ventura, «sembra davvero impossibile fare qualcosa di sensato per fermare l’assurdità di questo conflitto bellico». Non resta che l’ultima arma dei poveri, la speranza, che può essere strumento potente se utilizzato con consapevolezza.
Ecco perché il Papa ci ha invitati ad affidarci alla preghiera e al digiuno. Gesti semplici, alla portata di tutti, che si possono declinare in molti modi ma che possono anche divenire un mero palliativo per le coscienze. Ecco perché – in un’altra occasione – il Papa ha benedetto gli operatori che costruiscono la pace nel concreto.
Ricordiamoci, con Sergio Di Benedetto, che «oggi noi dobbiamo avvertire con forza che abitiamo una Chiesa in pellegrinaggio […] che è chiamata ad abitare la tarda modernità o postmodernità, con sfide enormi»; la prima delle quali è costruire comunità “feconde” e “generative” anziché sterili ed autoreferenziali.Optare per la pace non significa impugnare l’una o l’altra bandiera, come da più parti, con maggiore o minore ipocrisia, ci viene mostrato, bensì sovvertire e disarmare la logica della guerra (M.Tarquinio), senza cedere alla tentazione di alimentarla con altre armi, fisiche o spirituali (T.Dell’Olio).
L’invito alla preghiera, dunque, incoraggia anche al discernimento, per intraprendere azioni che vivifichino la fede attraverso le opere, e arrivare ad issare – simbolicamente e faticosamente – bandiere della pace dall’una e dall’altra parte.
Tuttavia, nelle nostre parrocchie, tale invito giunge a contesti in cui il tessuto comunitario è spesso lacerato e sofferente, perlopiù incapace di intraprendere azioni congiunte, significative o efficaci.
Ci sentiamo chiamati in causa da questa guerra?
Possiamo fare qualcosa a tutela di quelli che ne pagheranno le conseguenze? A cosa siamo disposti a rinunciare pur di costruire la pace? Sono domande che nelle nostre comunità dovremmo porci, altrimenti la preghiera da sola non sarà altro che un modo vano per calmare il nostro senso di inadeguatezza.
Penso ad un episodio accadutomi in questi giorni. Riguarda una coppia di amici carissimi, colti e devoti, molto attivi nella propria diocesi, che ho il piacere di incontrare solo poche volte l’anno. Dovremmo vederci a breve, ma l’unica giornata disponibile è una per cui è previsto digiuno. Mi è venuto lo scrupolo di farlo presente e la loro risposta mi ha sorpreso: «digiunare si può fare in qualsiasi momento, ma incontrarci è così bello e importante che dobbiamo farlo comunque». Insomma, allo spirito di Marta, che prepara il bene senza guardarsi veramente intorno, hanno contrapposto quello di Maria, che sceglie di coltivare una relazione vera; dopo tutto, la nostra fede non è interamente fondata sulla celebrazione di un incontro?
La devozione senza la relazione perde di senso, perciò io auspico che l’invito del Papa al digiuno e alla preghiera ci sia arrivato con questo stesso spirito. Guardiamoci intorno, perché da ogni parte stanno prendendo vita iniziative di solidarietà e di accoglienza. Nelle nostre parrocchie ricominciamo a progettare e ad agire comunitariamente, con gli strumenti della nonviolenza, per partecipare al nostro presente: forse non potremo fermare le bombe, ma potremo costruire davvero la pace.

Daniele Gianolla, Vino Nuovo, 5-3-2022

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata