Problematiche a partire dal contesto socio-sanitario.
Convegno di Bellamonte, 29 agosto 2014

CUSTODIRE L’UMANO
SalaIl titolo che è stato scelto per questo Convegno è veramente bello, perchè dà subito il senso dell’impegno, della progettualità, dell’avere uno scopo nella vita.
Custodire, dunque: cioè ricevere in dono qualcosa ed impegnarsi per trasmetterlo nell’ interezza dei suoi valori agli altri, ed in particolar modo alle generazioni future. Quando poi accanto al termine “custodire “ si affianca la parola “umano”, cioè tutta quanta la dimensione dell’essere uomini e donne in un contesto di valori, ecco che abbiamo tutto intero il senso per così dire solenne che nobilita questo impegno: un impegno che è o dovrebbe essere di tutti, ma che diventa particolarmente importante per il cristiano, per il quale, alla luce della parola di Dio e del magistero della Chiesa, il custodire e trasmettere questi valori intangibili di umanità configura una vera e propria “mission”.
Potremmo anche dire che si tratta di un grande discorso ecologico: di custodia cioè e salvaguardia dei valori di umanità che sono minacciati da un contesto culturale che fa molta fatica ad accettare l’idea dell’essere umano come persona, intesa secondo una dimensione unitaria di tutte le sue componenti (corporea, psicologica, spirituale); l’idea della continuità e della progettualità nel tempo, l’idea di una dimensione relazionale veramente profonda, che metta davvero in gioco le persone e non si limiti invece, come è nella maggior parte dei casi, a una dimensione puramente strumentale della comunicazione.
Oggi viviamo in un’epoca in cui la possibilità di comunicare tra le persone è giunta a livelli straordinari e mai prima conosciuti, ma è di tutta evidenza la necessità di una riflessione profonda sulla qualità della comunicazione, intesa come strumento per fare sì che le persone si mettano davvero in relazione tra loro.
È peraltro curioso come questo richiamo a una dimensione ecologica di custodia e salvaguardia venga accettato dai più quando si parla di ambiente, mentre incontra grandi difficoltà quando entra in gioco l’umano: in effetti, la cosa non è sorprendente se pensiamo al fatto che viviamo in un contesto che non condivide più un chiaro modello culturale di riferimento, come nella nostra realtà si è verificato fino alla metà del secolo scorso, con un modello sostanzialmente ispirato a valori cristiani.
Oggi viviamo in una società cosiddetta “multiculturale”, nella quale cioè rivendicano dignità visioni della vita profondamente diverse tra loro, ma nella quale in particolare si è fatta largo una cultura che si è costruita mettendo insieme elementi di culture diverse (cristiana, marxista, liberale e così via): in un contesto di questo tipo il proporsi a difendere e custodire determinati valori fondanti finisce per essere visto come un segno di arretratezza, di chiusura, o peggio di intolleranza, un perenne no alle conquiste della democrazia e del progresso tecnologico che invece garantirebbe all’uomo sempre nuove e stimolanti opportunità.
Un esempio di ciò ci viene dato dalla cosiddetta ideologia del “gender”, nella quale sono confluite tanto l’ideologia neomarxista dell’abolizione delle differenze di classe quanto il neoliberismo radicale, con l’affermazione dei diritti e delle libertà individuali.
Secondo questa teoria l’identità sessuale di ogni persona non è frutto della natura ma è il prodotto di una costruzione sociale e dell’autodeterminazione individuale: cioè il sesso che siamo può non coincidere col genere che possiamo divenire. In altri termini, la natura diviene irrilevante perchè è importante come ci sentiamo sulla base della nostra storia e del contesto sociale in cui viviamo, ma soprattutto come vogliamo essere. La corporeità non è più un fatto di natura, declinata al maschile e al femminile, ma diviene una corporeità liquida, dove i ruoli tradizionali divengono semplici costruzioni culturali socialmente condivise e come tali in perenne evoluzione e cambiamento.
La mia professione di medico fa sì che io eserciti in uno dei contesti in cui queste problematiche vengono maggiormente riproposte e sollecitate. Medicina salute, sanità costituiscono infatti per certi versi una palestra, un palcoscenico, a volte purtroppo anche un ring sul quale questi temi riguardanti la custodia dell’umano trovano ampio modo di essere riproposti e messi in discussione. In questo senso, mi pare utile sviluppare questa mia riflessione attraverso quattro rilievi.

IL PROGREDIRE DELLA SCIENZA E DELLA TECNICA
Il primo rilievo riguarda il progredire incessante della scienza e della tecnologia nell’ambito sanitario, che ha di fatto reso possibili cose fino a pochi anni fa impensabili. L’attualità di oggi sarà peraltro certamente obsoleta tra qualche anno, il che sposterà ancora più in avanti i confini del possibile e quindi anche la relativa riflessione etica e sociologica. Tutto questo è stato vero in primo luogo nell’ambito della cura delle malattie, con conseguente aumento della vita media e della speranza di vita per ciascuno: un numero sempre maggiore di persone raggiunge le età più avanzate, e questo è sicuramente un bene, ma di fatto pone sul tappeto una serie di problemi di non facile soluzione: dal problema della assistenza quotidiana di cui queste persone, per lo più non autosufficienti, hanno bisogno, ai problemi economici che gli stati debbono affrontare per assicurare livelli accettabili e condivisi di welfare (spesa previdenziale, spesa sanitaria), per non parlare poi del grande problema di fondo che ancora purtroppo la scienza non è stata in grado di risolvere e che è quello della qualità della vita in persone per lo più affette da problemi di decadimento cognitivo. In altre parole potremmo dire che siamo riusciti a dare anni alla vita, ma non siamo ancora riusciti a dare vita (o perlomeno una vita come tutti la vorremmo) agli anni.
La tecnologia sanitaria peraltro ha inciso profondamente anche su ambiti ben diversi da quello della cura delle malattie: ad esempio sul grande ambito dell’inizio vita, cioè della riproduzione umana, come si dice con un termine scientifico che sembra rimandare tutto a un problema biologico e di tecnica sanitaria; personalmente, preferisco il termine procreazione, non tanto perché, col suo richiamo al concetto di creazione, rimandi a contenuti religiosi, quanto piuttosto perchè credo che il generare umano non sia soltanto un problema biologico ma concentri in sè tutta una serie di altre dimensioni e valori (affettivi, psicologici, relazionali, sociali). In questo senso credo che il termine procreazione sia più rispettoso di tutti i valori in gioco.
In questo particolare ambito il progredire delle tecniche di fecondazione ha proposto e reso possibili scenari impensabili, in un intreccio a volte inestricabile di opportunità e combinazioni nelle quali, al di là delle questioni legislative, credo che si faccia fatica ad individuare il filo sempre più sottile che li ricollega all’umano, cioè alla salvaguardia di valori che in quest’ambito non dovrebbero mai essere accantonati.
All’estremo opposto, troviamo il grande tema del fine vita, che ogni tanto viene riproposto in maniera clamorosa all’attenzione dell’opinione pubblica attraverso casi di cronaca di grande impatto mediatico (ad es., i casi Wellby ed Englaro), che, se hanno il merito di sollevare il problema, hanno il grande demerito di farlo nel modo forse più sbagliato, vale a dire attraverso il clamore assordante dei mass media che non consente una impostazione ragionata e riflessiva, ma finisce sempre per radicalizzare le posizioni spingendo allo scontro di matrice ideologica. In realtà, la quotidianità della pratica medica propone continuamente questi temi, perché anche in questo campo il progresso tecnologico è andato avanti e consente di spostare sempre più avanti la linea del non ritorno. Ecco allora proporsi il grande tema della cure palliative, che sono costituite da quell’insieme di interventi medici, e a volte non solo medici, volti a migliorare la qualità della vita in pazienti che non hanno più davanti a sé la possibilità di una guarigione completa e che quindi hanno una prospettiva di vita limitata.sala 2
Cure che in sostanza hanno l’obiettivo di consentire alla persona di esprimere ancora le sue potenzialità, anche affettive e relazionali, e di sperimentare ancora la cultura del prendersi cura, dello stare accanto, dell’accompagnare. È del tutto evidente che sotto questa luce l’intervento palliativo si pone perfettamente sulla linea del custodire l’umano, inteso in una dimensione di valori.
Altro esempio di grande importanza ed attualità, non solamente da un punto di vista etico, è cosa fare in certi pazienti affetti da particolari patologie (ad es. la SLA) o che sono comunque giunti ad una particolare fase della loro storia clinica (pazienti in coma per patologie cerebrali): in questi casi si pone il problema se rianimare o no, se nutrire artificialmente o no, se fare o no una tracheotomia e procedere a una respirazione forzata. Ma non solo: può porsi il problema del fino a quando continuare, cioè del quando togliere tutto, e poi il problema del rispetto delle volontà del paziente e di come queste siano state espresse, il problema infine di stabilire fino a che punto si tratta di terapia e quando invece diventa accanimento, cioè un intervento sproporzionato rispetto alla situazione oggettiva. In ultima analisi, si tratta sempre di stabilire fino a quando la tecnologia è sulla linea dell’umano e quando invece non lo è più.

IL RAPPORTO MEDICO E PAZIENTE
Il secondo spunto di riflessione ci viene fornito dal fatto che, assieme al modificarsi radicale del contesto tecnologico, in questi ultimi anni si è profondamente modificato il rapporto tra il medico e la persona che a lui si rivolge: in estrema sintesi, siamo passati da un rapporto paternalistico di vecchio stampo, nel quale è solo il medico che sa quello che è bene e di fatto lo impone alla persona, che supinamente accetta, ad una tipologia di rapporto assai diversa, che comprende il consenso informato, le dichiarazioni anticipate di trattamento e così via. Siamo passati cioè ad un contesto nel quale sempre più rilievo viene dato alla volontà della persona, che deve essere informata per poter poi esprimere consapevolmente la sua volontà.
Estremizzando questo percorso di coinvolgimento della persona, peraltro assolutamente condivisibile perché pienamente rispettoso di tutta una serie di valori, e che configura il modello della cosiddetta “alleanza terapeutica”, si corre peraltro il rischio evidente di assolutizzare il concetto di autonomia ed autodeterminazione della persona svincolandolo da un contesto di valori: il medico diviene soltanto un tecnico al quale si chiede una prestazione sulla quale egli non può nemmeno discutere. Esempio estremo di questo percorso è l’eutanasia.

QUALE CONCETTO DI SALUTE E MALATTIA?
Il terzo spunto di riflessione ci è dato dal modificarsi culturale del concetto stesso di salute e malattia. Mentre fino a qualche anno fa, la salute era sostanzialmente definita come l’assenza di stati patologici o malattie, oggi il concetto di salute si è notevolmente ampliato e si identifica col concetto di benessere psicofisico, come si evince chiaramente dalla definizione di salute che dà l’OMS. Questo cambiamento culturale, che ha indubbiamente degli aspetti positivi, nella misura in cui viene a definire una situazione nella quale la persona umana realizza la pienezza delle sue possibilità, pone peraltro una serie di problemi ed implicazioni alle quali non è semplice dare una risposta. È infatti del tutto intuitivo che è una cosa ben diversa cercare di conseguire in concreto l’assenza di stati patologici o piuttosto il benessere psicofisico, inteso come quella condizione in cui non solo la persona non ha in atto malattie acute o croniche, ma ha la possibilità di determinare la sua vita secondo la sua scala di valori che ci si è scelti, i desideri che mano a mano si elaborano. Anche qui non si tratta affatto di questioni filosofiche, ma di situazioni assai concrete che pongono seri interrogativi.
Basti pensare al grande ambito della chirurgia estetica, nata per curare e correggere difetti ed imperfezioni funzionali, congenite o acquisite, e che oggi è diventata un modo per cercare di adeguare la propria immagine esterna a quello che si desidererebbe essere. Lasciando per un attimo da parte i risultati, che peraltro sono sotto gli occhi di tutti e che tutti possono giudicare, possiamo dire che alla base di questo c’è l’idea che il corpo sia qualcosa di progettabile sulla base dei desideri, riducendolo di fatto ad un evento in continua mutazione e che può essere continuamente cambiato e reinventato. Tutto questo ha la stessa matrice e rimanda alla lunga all’ideologia del gender.

IL TEMA DELLE LIBERTÀ E DEI DIRITTI INDIVISUALI
Il quarto ed ultimo spunto riguarda l’affermarsi nel contesto culturale di oggi del tema delle libertà e dei diritti individuali, che in quanto tali debbono essere promossi e tutelati a livello legislativo e di ordinamento giuridico. Si tratta indubbiamente di un fatto positivo: chi potrebbe dire di non essere d’accordo sul fatto che l’istruzione, il lavoro e così via debbano essere un diritto?
In realtà, l’ampliamento culturale del concetto di diritti individuali ha fatto sì che ad esempio anche l’avere un figlio venga fatto rientrare nei diritti della persona, e questo a prescindere dal contesto complessivo dei valori, che in questo caso comprendono la coniugalità (il matrimonio), la coniugalità stabile, ma soprattutto l’idea che il figlio è un valore in quanto tale, cioè per se stesso, e non soltanto in relazione al mio diritto di essere padre o madre. Se questo concetto viene calato in un contesto tecnologico che rende oggi possibile tutta una serie di interventi in ordine alla generazione, ecco spiegate tutte le situazioni con le quali oggi ci troviamo a confrontarci e che generano tante perplessità.
La verità è che dei diritti individuali, che sono certamente un fatto positivo, noi non possiamo farne un totem, perchè ogni diritto va sempre contestualizzato, cioè collocato all’interno di un contesto di valori che sono la sola cosa che non ci fa perdere di vista il concetto di bene reale delle persone e della società. Anche il valore della vita, che pure per ogni cristiano è il valore centrale, deve essere necessariamente contestualizzato perchè anche il cristiano non può essere a favore dell’accanimento terapeutico, cioè di interventi medici sproporzionati al contesto e finalizzati a prolungare la vita ad ogni costo al di fuori di ogni ragionevolezza.
L’ultimo aspetto che vorrei sottolineare senza peraltro entrare nel merito perchè sarà oggetto di altri interventi, è che oltre a tutto quello che abbiamo detto la persona umana ha una sua dimensione relazionale e conviviale che la colloca al centro di una rete di relazioni con gli altri. Ecco allora che custodire l’umano alla fine è anche educare alla relazione.

Francesco Sala