Educare alla pienezza dell'esistere | ilcantico.fratejacopa.net

Una nuova antropologia del riconoscimento del prossimo

Pochi giorni dopo Natale è giunta all’improvviso una notizia tragica: la morte di un giovane di vent’anni accoltellato da un coetaneo mentre era in attesa di entrare in un pub. Assistiamo spesso purtroppo al ripetersi di tali episodi, che alla fine si sommano uno all’altro perdendo di significato. E così sarebbe stato anche stavolta, se non fosse per il fatto che questo giovane è coetaneo di uno dei miei figli, bazzicava gli stessi luoghi che loro frequentano, era fidanzato con l’amica di una loro amica… era cioè loro prossimo e i suoi manifesti mortuari sono stati affissi anche nella nostra città, contigua alla sua.

Parlando con loro, molte sono le domande, è forte un senso di smarrimento e di non senso: come può una vita umana finire così? Può una semplice spinta, o qualche parola di troppo costare una vita? È difficile rispondere, se non inserendosi all’interno di una riflessione più generale su cosa è la vita oggi, su quali siano i valori che ci guidano, se ancora ce ne sono di riconoscibili e condivisibili.

È del 2008 il grido di allarme che il Santo padre rivolse alla Diocesi e alla città di Roma: “alla radice della crisi dell’educazione c’è una crisi di fiducia nella vita”, una sorta di debolezza propositiva che investe tutta la comunità adulta, diventata apparentemente afasica perché insicura essa stessa della validità prima, e della trasmissibilità poi, di quei valori ai quali, in qualche modo, era stata educata. La nostra cultura ha ereditato dalle radici ebraico-cristiane un concetto di uomo persona ultimamente molto poco riconosciuto: per esso, l’uomo è inteso come individuo autocosciente, capace di porsi in rapporto con l’altro uomo e con Dio, una originalità che lo rende unico, “sacro”.

Questa umanità però per realizzarsi pienamente, non può prescindere dal rapporto di dono e d’amore verso l’altro da sé, assimilato a sé dalla comune umanità. Tale valore dato alla relazionalità della persona umana credo sia indispensabile da sottolineare, soprattutto in questa nostra società dove l’individualismo competitivo è la legge che guida le scelte esistenziali, economiche e politiche ispirando comportamenti personali, come l’incapacità di stringere relazioni affettive durature e fenomeni sociali, come il rifiuto del diverso, dell’immigrato che affligge ormai le nostre città.

La dimensione relazionale della persona è strutturalmente costitutiva per l’individuo che, se vive l’altro come co-essenziale alla propria realizzazione, riesce a penetrare in profondità la domanda su “chi è se stesso e chi è l’altro da sé”: Lévinas, ad esempio, pone in rilievo il forte nesso che unisce l’identità stessa dell’io con la responsabilità per gli altri: la possibilità che ogni essere umano ha di definire l’identità del proprio io è legata non solo alla relazione con l’altro, ma soprattutto all’assunzione, da parte dell’io, di una responsabilità etica nei suoi confronti. Così Ricoeur afferma che l’uomo trova il proprio senso e la propria costituzione nel rapporto con l’altro.

Più recentemente, il filosofo Jean Luc Marion mette in evidenza che è l’amore a costituire l’unica e più autentica possibilità di individuazione dell’altro, permettendoci di raggiungerlo nella sua insostituibile particolarità. Se l’uomo però smarrisce questo orizzonte… smarrisce anche se stesso. Per questo educare alla pienezza della vita non può prescindere da questa rifondazione antropologica, da questo riconoscimento del prossimo che, anche se per alcuni è morto, rimane l’unica via contro l’imbarbarimento. «L’uomo – afferma Benedetto XVI – è veramente creato per ciò che è grande, per l’infinito. Il desiderio della vita più grande è un segno del fatto che ci ha creati Lui, che portiamo la sua “impronta”. Dio è vita, e per questo ogni creatura tende alla vita; in modo unico e speciale la persona umana, fatta ad immagine di Dio, aspira all’amore, alla gioia e alla pace».

È necessario che questo ideale diventi non solo annunciabile, ma incontrabile, testimoniato dalla vita di chi sa mettersi al servizio dell’uomo, di ogni uomo, perché sa riconoscere l’inscindibile legame di fraternità che ci lega e per il quale l’accoglienza di ogni vita, la condivisione del dolore, il rispetto, l’empatia sono atteggiamenti del cuore che si riempie e si allarga, aprendosi all’altro e realizzando in se stessi quella pienezza della vita che non può non scaturire dall’amore.

Daniela Notarfonso
Vicepresidente nazionale Scienza & Vita